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“Ferdinando” occupato, l’intervento del preside

da Cosimo Saracino
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Ho riflettuto molto sugli avvenimenti di queste ultime ore, attraversando tutti gli stati di animo e provando, a tratti anche vorticosamente, i più disparati sentimenti.

Poi ho capito.

Probabilmente il comportamento dei nostri studenti ci ha sorpreso. Non ci aspettavamo che potessero fare una cosa simile. Che fra tutte le forme di protesta potessero scegliere la più estrema.

Probabilmente ci ha “disturbato”, ci ha “seccato”, ci “ha deluso”, ci “ha fatto male” sentire riassumere e riferire al vice-commissario di polizia che sostanzialmente il motivo della protesta è stata la mancanza di dialogo con i docenti e la dirigenza…

Probabilmente in qualcuno di noi si è affacciata, anche per un solo momento, l’idea di “punirli”, se non altro con un minor “investimento” personale nella relazione con “loro”….

Probabilmente….

Non c’è dubbio che questo è un momento critico, proprio come  quelli che capitano in ogni famiglia e che capitano proprio perché la famiglia è sana, perché ci sono relazioni affettive significative, importanti…e noi siamo una grande famiglia…siamo una comunità educante…fino in fondo.

Ma è’ proprio quando capita che qualcuno della famiglia si comporta in un modo inaspettato che si deve prestare maggiore attenzione, perché quel comportamento “strano” è una manifestazione di disagio, è una richiesta di attenzione, è il segnale della necessità di un cambiamento.

Noi siamo educatori e adulti e dobbiamo avere uno sguardo più aperto. Non dobbiamo giudicare ma capire.

Avevo pensato di non interessarmi a questa protesta; di “recitare” la parte dell’offeso, del deluso; di pensare solo ad assicurare che nessuno si faccia male, che le famiglie potessero sentirsi tranquille e tutelate; chiudere la porta della palestra non è stata, forse, solo una misura “di sicurezza” per assicurare il diritto allo studio a chi lo volesse esercitare, ma, simbolicamente (..e  neanche tanto simbolicamente..) significa chiudere ogni possibilità di dialogo,  un evidente e clamoroso rifiuto in una scuola che dovrebbe essere invece inclusiva.

Invece non può essere così. Non possiamo rifiutare il dialogo solo perché hanno infranto le regole. E non si tratta neanche di sforzarci di proporre  loro un modello di scuola alternativa. Non sarebbe  giusto e neanche credibile. La scuola è quella che noi sperimentiamo ogni giorno, con impegno.

La questione è diversa. Dobbiamo ascoltare. Dobbiamo sentire. Dobbiamo capire. Se non lo facciamo adesso, potremmo correre il rischio di non capire più, perché il cambiamento è in atto e dobbiamo cambiare insieme.

E poi insieme dobbiamo trovare un nuovo codice di comunicazione.

Sicuramente tra di loro ci saranno studenti che non hanno veramente la voglia di mettersi in gioco per cambiare le cose, per migliorare, ma che stanno solo giocando; ma molti altri, invece, credo che si siano decisi a questo atto estremo, accettandone i rischi (assenze, provvedimenti disciplinari, non concessione dei viaggi di istruzione…), perché hanno veramente la voglia di provare a noi e a loro stessi di essere capaci di porsi un obiettivo e di raggiungerlo.

Mi hanno detto una cosa che mi ha fatto pensare, dopo aver passato il momento emotivo della rabbia e della delusione. Mi hanno detto che si erano ispirati a me, che avevo parlato a loro del mio ideale di scuola, di una scuola che non c’è, ma che io avrei provato a rendere reale seguendo il mio sogno. Anche loro avevano in mente una scuola che non c’è e che questa volta avrebbero voluto provare a realizzare…ma con noi.

Per questi motivi, io, domani, aprirò quella porta e andrò ad ascoltare.

A.G.

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