Don Maurizio Mirilli, sacerdote mesagnese e parroco a Roma, invia una riflessione dopo la morte del dj Fabo: “Credo fermamente che ogni essere umano abbia diritto ad essere amato perché solo l’amore rende pienamente umani. Ma cos’è concretamente l’amore se non un atto di cura? Attenzione dico cura, quella tenera presenza con la quale si sta accanto a chi ne ha bisogno, e che si esprime attraverso gesti concreti che danno dignità alla vita. Con una carezza dico che il volto di una persona è bello ed è importante per me, anche qualora fosse rugoso o sfregiato. Alimentare qualcuno che non è in grado di farlo da solo significa donargli un po’ del proprio tempo e quindi della propria vita. Curare è donare vita e dare ad essa senso e dignità.
Altra cosa è la terapia, con la quale si cerca di combattere una malattia. Questa potrebbe anche ledere la dignità umana qualora non fosse accompagnata dall’amore ma si accanisse contro la persona. L’accanimento terapeutico non credo sia un dono di vita e d’amore. Un atto di cura invece lo è.
Penso che uno Stato che sia al servizio dei cittadini debba favorire ciò che li rende umani e combattere ciò che li rende disumani, creare le premesse affinché abbiano accesso alle cure e metterli nelle condizioni di rifiutare le terapie invasive.
Si tratta di distinguere ciò che è cura da ciò che invece è accanimento terapeutico. Credo sia giusto rifiutare una terapia artificiale per avere ad ogni costo sia la vita che la morte. Credo che la cosa più giusta da fare sia accogliere e accompagnare naturalmente il dono della vita, come accogliere e accompagnare naturalmente il dono della morte. Credo che la vita e la morte non ci appartengano. Non appartengono a ciascuno di noi, tantomeno ad uno Stato”.