Home Attualità Cosa si può aggiungere ancora oggi parlando del Crocifisso? – di Daniele Chezzi

Cosa si può aggiungere ancora oggi parlando del Crocifisso? – di Daniele Chezzi

da Cosimo Saracino
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Riportiamo di seguito l’intervento del prof. Daniele Chezzi pronunciato ieri sera in occasione della presentazione del Cristo iperrealistico realizzato dai gemelli Magrì. Ricordiamo che può  essere visitato fino all’11 aprile presso il Museo di Arte Sacra sito in piazza Orsini del Balzo a Mesagne. Il testo che segue è una occasione per riflettere sul mistero della morte di Cristo in vista della Settimana santa.

Da circa 2000 è li, silenzioso… presenza scomoda per tutte le culture e le generazioni. Scomodo per chi ne ha voluto fare vessillo di vittoria perché troppo difficile da vivere e scomodo per chi, volendo comprenderlo non ha avuto il coraggio di lasciarsi interpellare dal suo silenzio. E quindi dopo secoli di alta teologia ed alta contemplazione, egli è fondamentalmente ancora Solo e fuori dalla portata della ragione umana e forse, ancora anche della fede.
Perché, diciamocelo francamente, credere che nel Crocifisso, possa nascondersi il volto di Dio è, ancora oggi, ripugnante alla natura più spiccatamente “filosofica” dell’uomo.

Possiamo anche accettare di avere una Causa prima o un Motore immobile di aristotelico/tomista memoria, ma aderire ad un Dio Crocifisso e per di più conformarvisi, è assoluta follia. Ed il fatto che, una buona fetta di “cristiani” in Occidente, non senta più la difficoltà razionale difronte ad un Dio Crocifisso, è paradigma di una malattia spirituale di cui un pò tutti soffriamo: l’indifferenza e l’apatia. E’ cosa normale ormai associare Cristo alla Croce, alla morte ed alla Risurrezione, come se fosse la ricetta più scontata di questo mondo. Venerdì Santo, Pasqua e si ricomincia daccapo….
Ed invece…. semmai c’è stata una vera rivoluzione nella storia , una vera sovversione di tutte le logiche umane, quasi Contraddizione vivente, è affermare che “il Crocifisso è Dio”.

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La crocifissione è il frutto dell’alta capacita dell’uomo di trovare il modo migliore per far soffrire un suo simile (s’intende meritevole,per noi, di tale sofferenza…).
Cicerone lo definì “il supplizio più crudele e il più tetro”.
Sulla croce non ci si va per morire, ma per desiderare la morte…
Il corpo appeso, con corde o chiodi o entrambe le cose, lotta continuamente per evitare di cedere al suo stesso peso e quindi venire schiacciato e morire soffocato; e tale lotta non durava un’ora ma anche giorni finché la fibra durava. ( Possiamo dire , in questo senso che Gesù fu “fortunato” ad arrivarci quasi dissanguato…). Ma la vera invenzione delle civiltà orientali, si pensa i persiani, poi ripresa dai Romani-che erano un popolo che ben volentieri mutuava dai conquistati ciò che poteva servire- era quella del significato della crocifissione: il crocifisso non era più essere umano, ciò che noi definiamo “persona”; la condanna al supplizio ti faceva diventare un “Maledetto cosmico”: maledetto dagli uomini, maledetto dagli dei. Il panno che avvolge i fianchi del Crocifisso è di dubbia origine, perché i Romani crocifiggevano completamente nudi. Il condannato non aveva più nulla, era un morto che camminava dal momento in cui la sentenza veniva emessa.

I Romani, che come abbiamo accennato, era un popolo pratico, a volte uccidevano il condannato a colpi di flagrum, ossia una frusta a cordicelle sulle cui estremità vi erano ossa o altro materiale contundente atto a scarnificare. Ciò avveniva anche per evitare che, durante la crocifissione, potessero sollevarsi tumulti ma anche perché, se facciamo un piccolo sforzo psicologico e proviamo ad entrare nella testa di un soldato, l’atto della crocifissione non penso fosse cosa piacevole da compiere…
Tralasciando, insulti, pietrate, intemperie, uccelli, cani che potevano mangiarti i piedi ecc, tutto ciò che abbiamo detto è accaduto a Colui che definiamo dogmaticamente “Vero Dio e vero Uomo”. Come, ci si possa abituare a chiamare Figlio di Dio un Crocifisso e pensare a questo senza esserne quantomeno impressionati è incredibile.

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Torniamo al silenzio del Crocifisso…
Chiediamoci: il silenzio è assenza di rumore o boato insopportabile?
Abbiamo detto che la Croce aveva un valore cosmico: Il palo orizzontale detto patibulum abbraccia il tempo e lo spazio mentre quello verticale detto stipes unisce la terra al cielo. Il frutto che pendeva a tale albero era il Male maledetto…. Ma se chi vi pende è il Figlio innocente, la Croce non abbraccia forse l’universo, tutta la storia e ci unisce al Padre? La domanda: vi può pendere il Servo di Dio, il Messia, o ancora Dio eterno? Era la stessa domanda che si fece Pietro quando fu chiamato Satana, che si faceva Giuda quando baciava le gote del Cristo, che si fecero i discepoli d Emmaus mentre tornavano da Gerusalemme dopo che una pietra tombale aveva messo fine alle loro speranze, che si fece una Madre che “stava” ma forse non “CI stava” a quella logica illogica di un Dio silenzioso nascosto dietro ad un’oscurità mentre il grido lacerante squarciava il petto del Crocifisso: Eloì Eloì lemà sabactani?

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E poi, in mezzo alle tenebre e davanti allo spettacolo maestoso e tragico di un Uomo che per misterioso, personale e nello stesso tempo cosmico disegno, giace ormai senza spirito vitale, silenzioso penzolante su una croce, troviamo lui, il senza nome, il senza fede, il senza Dio… L’ultimo dal quale ci saremmo aspettati lezioni di teologia e filosofia, chi non sarebbe , forse mai diventato, Papa o Vescovo o Insegnante o comunque fine studioso ascoltato e seguito; troviamo il carnefice che, forse ancora con il martello in mano, con il quale ha eseguito, senza volerlo la volontà silenziosa di un Dio silente, soldato romano pagano, dice: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio”.
E senza stare li a continuare a chiederci, cosa o chi gli ha fatto pronunciare tali sconvolgenti parole, ci accorgiamo che siamo entrati nella scuola del Maestro, del Signore e dell’Amore: senza più pensieri e parole inutili, la scuola del silenzio divino che è boato dirompente solo se siamo capaci di ascoltare .
In fondo “Cor ad cor loquitur” come ebbe a dire il Beato Cardinale Newman: il Cuore parla al cuore di chi vuole ascoltare .
Solo così Dio si può comunicare all’uomo.

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