Home Cultura Ecco chi erano Enrico Guarini e Antonio Carmelo Devicienti – di Enzo Poci

Ecco chi erano Enrico Guarini e Antonio Carmelo Devicienti – di Enzo Poci

da Cosimo Saracino
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Domani verrà intitolata a Mesagne una piazza a questi due mesagnesi. Finalmente si realizza una volontà espressa nel 1947 dagli amministratori di quell’epoca. Una scelta proposta all’attuale Consiglio dal Partito Democratico e dall’Anpi sezione “E. Santacesaria”, accolta dal sindaco e dal presidente del Consiglio comunale Omar Ture. Da domani lo spazio di via San Pancrazio, dove adesso c’è la madonnina, sarà dedicato a un partigiano e a un resistente che persero la vita nella Seconda Guerra Mondiale. Di seguito proponiamo uno studio del prof. Enzo Poci che ci racconta la storia di questi due giovani ventenni morti a causa del fascismo. Grazie ad Enzo Poci, Società di Storia Patria per la Puglia.

La bella notizia della dedica a Mesagne di un’area cittadina, sita tra via San Pancrazio e via Catania, ai due nostri concittadini Antonio Carmelo Devicienti e  Enrico Guarini militari deceduti durante la Seconda guerra mondiale, giunge in un periodo particolare ed in una giornata particolare per ricordare che è necessario prestare attenzione e lottare ogni giorno affinché rimangano ben saldi i principi di libertà e di democrazia conquistati dai nostri Padri. 

Nel lavoro scritto dal Prof. Damiano Franco e dallo scrivente-mi riferisco alla storia dell’Unione Cooperativa dei Lavoratori di Mesagne- abbiamo già parlato di questi due nostri Caduti per la libertà, ma anche di altri antifascisti che hanno subìto il carcere ed il confino durante quel terribile periodo, poiché il fascismo era una forza paramilitare, anzi una banda armata. Ogni giorno reperiamo documenti su altri cittadini mesagnesi che hanno subito soprusi e violenze, i cui nomi non vengono riportati dalle varie pubblicazioni, ma noi ne daremo conto.

Mi pare opportuno ritagliare da un mio recente articolo, pubblicato il 25 aprile del 2021 con il titolo UnResistente e tre Partigiani, i paragrafi riguardanti i due giovani menzionati, in modo tale che possa essere riletto da chi già lo ha fatto, o possa essere utile ai docenti di storia di ogni ordine e grado come sussidio di lettura per tutti gli alunni e che serva a loro tutti come monito per la difesa della Libertà, della Giustizia e della Democrazia.

Una breve premessa: non bastava aver partecipato alla Guerra di Liberazione, ma il 19 maggio 1945, appena terminata la guerra, il Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà emanò una circolare avente per oggetto i Requisiti e le norme per la concessione del brevetto di Partigiano, del brevetto di Patriota e per gli attestati di benemerenza. Si tratta di alcune norme rigide che vincolavano le Commissioni di Riconoscimento della Qualifica di Partigiano, situate in ogni capoluogo di regione, con le modalità per la concessione di brevetti ed attestati. La circolare divenne legge dello Stato con il Decreto 21 agosto 1945, n. 518.

Una delibera della Giunta municipale del 23 gennaio del 1947, non resa esecutiva perché non erano trascorsi dieci anni dalla morte, avente per oggetto “Intitolazione di vie e piazze a Caduti mesagnesi per la causa della liberazione d’Italia dalla tirannia nazi-fascista”, ha permesso di condurre una ricerca su Enrico Guarini e Antonio Devicienti, pubblicata in un lavoro scritto da me e Damiano Franco: L’Unione Cooperativa dei Lavoratori nella storia di Mesagne.

ENRICO GUARINI

Nasce a Mesagne il 18 aprile 1921. Aviere nella Regia Aeronautica, ruolo servizi, parte da Mesagne il 30 maggio 1941 e dal Centro di affluenza di Grottaglie (Taranto) è inviato al Centro istruzione di Cameri (Novara). Dopo l’addestramento, il 18 luglio del 1941 viene trasferito all’aeroporto di Cameri dove rimane fino al 20 ottobre 1942. Durante il servizio a Cameri è trasferito al distaccamento di Ghemme, un paesino a circa quaranta chilometri da Novara, sede di un campo di aviazione “occulto” (Aeroporto n. 7 nei codici militari dell’epoca) con funzioni logistiche e con una pista di riserva in caso di emergenza all’aeroporto di Cameri. A Ghemme conosce Carla, una bella ragazza che diviene presto la sua fidanzata.

Dal 26 dicembre del 1942 all’8 settembre del 1943 partecipa alle operazioni di guerra che si svolgono in Francia, prestando servizio presso la base aerea di Le Luc, nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra.

Dopo la caduta di Mussolini, divulgata nella tarda serata domenicale del 25 luglio del 1943, gli Italiani reagirono con gioia incontenibile. In seguito all’Armistizio, nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre 1943, gli avvenimenti precipitarono. Nei Balcani, in Francia, in Grecia, in Albania, in Polonia e nelle isole, migliaia di militari italiani sfuggirono alla cattura da parte dei tedeschi.

La maggior parte dei soldati, che all’epoca si trovavano fuori dall’Italia, sognavano di raggiungere il paese, la casa, la famiglia.

Enrico, dopo l’8 settembre, fuggì dalla Francia e nei primi giorni di ottobre del 1943 rientrò in Italia a Ghemme, dove ottenne ospitalità presso la famiglia della fidanzata.

Mentre l’Esercito italiano era allo sbando, l’Italia era occupata dai tedeschi, e Mussolini, arrestato dopo il crollo del 25 luglio, venne liberato dalla prigione di Campo Imperatore e condotto in Germania, dove diede l’impulso alla nascita del nuovo stato fascista con la denominazione di Repubblica Sociale Italiana (RSI).

Ovviamente fin dall’inizio la RSI era uno stato succube dei tedeschi più che uno stato sovrano. Infatti, il comando effettivo dell’Italia passò nelle mani dei tedeschi che lo esercitavano controllando, approvando ed eventualmente modificando tutti gli atti del governo di Salò. A centinaia di migliaia di giovani si imponeva l’alternativa tra servire la RSI o entrare nella Resistenza.

Il primo bando Graziani di chiamata alle armi era stato emanato il 9 novembre del 1943. Circa un mese dopo, le adesioni erano circa il quaranta per cento: molti disertarono. Enrico, come tanti altri giovani, non rispose ai numerosi bandi di chiamata alle armi della RSI e trascorse il periodo di clandestinità presso la famiglia di Carla. Alla fine del luglio 1944, i comandi fascisti di Novara preparavano una vasta e capillare operazione di controllo sui renitenti alla leva. Nella lista di coloro dei quali era da precisare la posizione rispetto agli obblighi militari, era riportato il nome di Remo, fratello di Carla, e l’indirizzo dell’abitazione a Ghemme (Fonte: Archivio di Stato di Novara, Fondo Gabinetto Prefettura). Remo aveva risposto al bando di chiamata per i nati nel 1924 ma, dopo aver prestato qualche mese di servizio presso la caserma Aeronautica di Asti, a luglio del ’44 non aveva più fatto rientro.

La mattina del 20 agosto, una domenica, il fratello di Carla si era appena recato in campagna, mentre Enrico era rimasto in casa. Vi fu un vasto rastrellamento nei comuni di Cavaglio, Barengo, Briona e Ghemme operato dai reparti fascisti della Brigata Nera e tedeschi della Gendarmeria Zug di stanza a Novara (Gendarmerie-Hauptmannschaft Piemont) alla ricerca di renitenti e disertori: i tedeschi andarono a casa di Remo, a Ghemme, e presero Enrico.

Dopo la cattura, il giovane Guarini fu portato nel carcere di Novara con la seguente motivazione: “indagini”. Nel registro delle carceri (Archivio di Stato di Novara) vi è l’annotazione: “uscito dal carcere il 23 agosto”, con la motivazione “rilascio per ordine di Gendarmeria Zug”.

Non avendo risposto ai bandi di chiamata della RSI, che per la sua classe di età era scaduto a giugno, egli era considerato un renitente e, in questi casi, era prevista la fucilazione. Dal 21 al 23 agosto vennero compiuti nella zona ripetuti atti di sabotaggio da parte di un plotone partigiano della “Volante Loss”. Alle ore 19,15 del 22 agosto, sulla linea Domodossola-Novara nei pressi di Suno, dopo avere fatto scendere dal treno i passeggeri ed il personale di servizio, i partigiani avevano staccato la locomotiva, l’avevano fatta avanzare per circa cento metri e poi lanciata a forte velocità in retromarcia contro le altre carrozze, provocando danni ingenti e la fuoriuscita del convoglio dai binari. Il secondo sabotaggio fu effettuato il 23 agosto alle ore undici, ai danni della locomotiva e del carro attrezzi giunto in stazione nella prima mattinata per ripristinare la circolazione ferroviaria. Il successivo treno con carro attrezzi, partito subito dopo da Novara e scortato da militi della GNR ferroviaria, veniva fermato dagli spari dei partigiani costringendo il convoglio a rientrare. Solo grazie all’intervento del treno blindato tedesco si poteva raggiungere nella giornata del 24 il luogo dell’incidente (Rapporto della GNR Ferroviaria di Novara del 24.8.44, Archivio di Stato di Novara). 

La rappresaglia fu decisa nel primo pomeriggio del 23 agosto 1944, come risposta ai ripetuti atti di sabotaggio dei partigiani. La decisione prevedeva la fucilazione di otto detenuti prelevati dalle carceri di Novara, anche se essi non avevano avuto alcun ruolo in quegli atti di sabotaggio. Enrico morì a 23 anni, fucilato insieme agli altri sette giovani da un plotone di tedeschi e fascisti nei pressi dei binari della stazione di Suno, alle ore ventuno del 23 agosto 1944. I responsabili sono rimasti impuniti.

Del triste episodio si trovano notizie in un giornale partigiano del tempo e in un’opera di Pietro Secchia e Cino Moscatelli sulla Resistenza. Sul luogo dell’eccidio a Suno vi è una stele di marmo sulla quale vi è inciso il nome di Guarini e degli altri sette giovani fucilati insieme a lui. A Enrico fu attribuita l’iscrizione “Ad Honorem” al Fronte di Resistenza dell’Aeronautica (Foglio N. 9/D/7238-4115 del 18 settembre 1948 del Ministero della Difesa Aeronautica – Dir.Gen.Pers.Mil. – 9^Div.).”

DEVICIENTI ANTONIO CARMELO

Nacque a Mesagne da Cosimo e Angela Molfetta il 14 gennaio 1923. Si arruolò nell’Arma dei Carabinieri: infatti la locale sezione dell’Associazione Nazionale Carabinieri, ora non più attiva, era a lui intitolata.

Dai dati riportati sul foglio matricolare apprendiamo che venne inviato in territorio dichiarato in stato di guerra (al nord est d’Italia, ai confini con la Jugoslavia): era il 10 agosto 1942. Dopo avere superato il periodo di addestramento, il 20 novembre 1942 fu assegnato in qualità di carabiniere ausiliario alla Legione Trieste. Dopo due giorni, fu inviato a prestare servizio presso la Stazione Carabinieri di Cave Auremiane e il due dicembre dello stesso anno venne trasferito alla Caserma dei Carabinieri di Prevacina. Queste due località, prima italiane, passarono al territorio della ex Jugoslavia dal 15 settembre 1947 in base al trattato di Parigi. Quindi, dal due dicembre 1942 all’otto settembre 1943 rimase a fare il carabiniere a Prevacina. Il nove settembre in seguito all’Armistizio “cessò di essere mobilitato presso la stazione di Prevacina per la smobilitazione del reparto”.

Sbandato in seguito agli eventi bellici, e sottrattosi alla cattura dei tedeschi, scappò per raggiungere un comando italiano.

La Germania aveva da tempo studiato un piano di intervento militare nella regione Friuli-Venezia Giulia per garantirsi libere le vie di comunicazione sia dall’Italia centrosettentrionale che dalla ex Jugoslavia. Entrambe le direttrici portavano in Germania, nel cuore del Reich tedesco.

Subito dopo l’Armistizio, in questa parte orientale d’Italia si costituirono ed operarono diverse formazioni partigiane, composte da elementi antifascisti della popolazione italiana. La prima fu la “Brigata Triestina”, attiva tra Gorizia e Monfalcone.

La brigata combatté contro i tedeschi con alterna fortuna. Dai documenti forniti dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento della Liberazione con sede in Udine, dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Gorizia e dal foglio matricolare si evince che Antonio Devicienti, dal 25 febbraio 1944 al 28 maggio dello stesso anno, fece parte della “Brigata Triestina” con numero di matricola 101986 e che cadde in combattimento a Prevacina il 28 maggio 1944.

Dal foglio matricolare risulta la qualifica di partigiano combattente, deceduto per azione di guerra contro i tedeschi. Per inciso, diciamo che il “Battaglione Triestino di assalto” identificato anche con successive denominazioni “Brigata Triestina” e “14^ Brigata Garibaldi d’assalto triestina”, operò nelle province di Trieste, Gorizia e Udine, in territori etnicamente misti, riuscendo ad accattivarsi dall’inizio le simpatie della popolazione slovena della fascia di confine, dimostrando con eroiche azioni che il popolo italiano non aveva condiviso la politica di oppressione dal fascismo.

Nella primavera del 1944, il Battaglione triestino d’assalto contava, ormai, circa duecento uomini discretamente armati (moschetti e mitragliatori leggeri) e variamente equipaggiati: “la Brigata Triestina” diventò una vera “piccola Italia”. Accanto ai veterani della Venezia-Giulia, vi erano combattenti di quasi tutte le regioni d’Italia: operai e contadini, studenti e impiegati, ex finanzieri, ex carabinieri, ex alpini, ex artiglieri, ex fanti, tutti combattenti per la libertà.

Nel maggio del 1944 le forze di occupazione tedesche, che avevano dimostrato molto interesse alla riattivazione delle vie di comunicazione, intendevano ripristinare il traffico ferroviario sulla Trieste-San Daniele-Gorizia, rimasto impraticabile dal settembre 1943 perché lunghi tratti di binari erano stati divelti dai partigiani.

Si decise di prevenire l’attuazione del piano tedesco e venne effettuata, da una brigata slovena, una rapida azione di smantellamento di altri tratti dei binari e degli impianti ferroviari. I partigiani, lavorando instancabilmente per due notti consecutive, distrussero 2700 metri di binari ferroviari e fecero saltare viadotti e ponti senza incontrare alcuna resistenza o disturbo da parte nemica.

Soltanto dopo alcuni giorni, i tedeschi misero insieme forze sufficienti per presidiare la ferrovia e installarono forti guarnigioni di reparti fascisti e tedeschi a Montespino, Prevacina e Valvociana.

Nella notte tra il 24 e il 25 maggio del 1944 fu avviata un’ampia operazione militare congiunta tra le forze slovene e la brigata Garibaldi-Trieste, finalizzata ad eliminare i tre presidi fascisti.

Mentre il contingente sloveno assaltava i presidi di Valvociana e Prevacina, i partigiani della “Brigata Trieste” partecipavano all’attacco contro la guarnigione fascista che si era asserragliata nei locali della scuola elementare di Montespino. Il combattimento durò diverse ore, fino a quando, a colpi di bombe a mano, i partigiani della Trieste riuscirono a penetrare nel caposaldo nemico e ad occuparlo. Nello scontro rimasero uccisi quindici alpini fascisti e ottantasei furono fatti prigionieri, mentre tra i partigiani si registrarono due caduti: Antonio Devicienti ed un altro giovane di Monfalcone.

Nel corso di una ricerca presso l’Ufficio storico del Comando Generale dell’Arma dei carabinieri a Roma ho ricevuto la seguente comunicazione <<Legione Territoriale dei Carabinieri Reali di Padova, Gruppo di Udine del 5 ottobre 1945: […]6°) C/re De Vincentins[sic] Antonio, ucciso dai partigiani [slavi] nel settembre 1944 a Ranziano. Fu sepolto in quel cimitero […]>>.

Con il prof. Cosimo Greco ci siamo attivati contattando diverse personalità slovene e i comuni interessati, anche Ranziano, per cercare di individuare il luogo di sepoltura del nostro carabiniere. Purtroppo, nonostante le diverse ricerche curate dai nostri corrispondenti, l’esito è stato negativo, perché, secondo alcune informazioni, quando venivano sepolti, i partigiani venivano tumulati per diversi motivi come ignoti. La mia ipotesi, comunque, è che il luogo di morte sia stato Prevacina per una semplice constatazione. Il 30 marzo 1953, dal Ministero della Difesa dell’Esercito arriva la seguente comunicazione: <<A seguito di espressa raccomandata pari numero del 15.5.1949, pregasi rettificare la data del decesso del nominato in oggetto:

da deceduto il 25.5.1944 a deceduto il 28.5.1944. Pertanto leggasi: Carabiniere DEVICIENTI Antonio di Cosimo classe 1923 è deceduto per azioni di guerra contro i tedeschi>>. Quando inviano questa comunicazione, non sono trascorsi molti anni dai fatti raccontati. Inoltre, è da sottolineare che il 25 maggio 1944, reparti della Brigata Garibaldi “Trieste” e di alcune formazioni slovene conquistano il presidio nazifascista di Montespino: nel combattimento vengono uccisi 15 alpini fascisti e 86 ne vengono fatti prigionieri; due sono i caduti partigiani in quel giorno. È molto probabile che il 25 maggio, il Nostro, sia rimasto ferito e poi sia deceduto il giorno 28 maggio 1944. La stessa ipotesi viene confermata da Giorgio Visentin in “Guerra di Liberazione sui confini orientali, 25 luglio 1942-9 maggio 1945”.

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