Ci sarà anche il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) domani Martedì 20 Giugno (inizio alle ore 16,00) al convegno “Ho udito il tuo grido – dall’indifferenza all’accoglienza” a Brindisi presso il teatro della Parrocchia San Vito Martire al rione Commenda, evento organizzato e promosso in occasione del 25° anniversario dell’apertura di Casa Betania, realtà impegnata nell’accoglienza degli ultimi. Nel corso del convegno interverranno Mons. Giovanni Intini (Arcivescovo di Brindisi-Ostuni) e don Peppino Apruzzi, parroco iniziatore dell’esperienza di Casa Betania insieme alla comunità parrocchiale San Vito Martire. A seguire gruppi sinodali con i partecipanti
Cos’è Casa Betania
Le origini
Certe storie iniziano “per un caso”, ma non sempre “per caso”. E così è accaduto per Casa Betania. Due fatti di cronaca avvenuti in tempi ravvicinati scossero, nei primi anni 90, la vita cittadina. Due senzatetto morirono in circostanze simili: uno per assideramento, l’altro bruciato mentre dormiva in un tubo di cemento che aveva scelto come sua dimora nei pressi del canale Li Patri, il canalicchio. La comunità parrocchiale di San Vito Martire, al rione Commenda, allora guidata da don Peppino Apruzzi, da tempo si andava formando sui temi della Carità, della giustizia sociale, dei diritti. Questi casi determinarono un punto di svolta tra coloro che seguivano questo cammino: non si poteva accettare che due persone morissero per strada, di freddo e di stenti nell’indifferenza generale. Si doveva agire con coraggio e dare un segno e il segno fu la costituzione dell’associazione Compagni di strada che aveva ed ha ancora oggi a distanza di 24 anni il suo luogo operativo in Casa Betania.
Casa Betania, lo spazio fisico e lo spazio umano
Il nome scelto denuncia la sua radice evangelica. Betania era il villaggio della casa degli amici di Gesù: Marta Maria e Lazzaro. Era lo spazio dell’accoglienza fraterna, il luogo del recupero delle forze, dell’ascolto, del riposo prima di riprendere il cammino. E questo è lo spirito di Casa Betania: non un dormitorio o un rifugio o una “struttura” (come si usa dire) ma una casa, un posto semplice e accogliente, caldo e rassicurante dove non si trova solo un letto pulito e un pasto caldo, ma persone che ascoltano, accompagnano per un tratto di strada, aiutano a riprendere le forze per ricominciare, offrono un’opportunità per ripartire. Nei primi anni la casa era costituita da due stanzoni con una piccola cucina e il bagno, oggi occupa un triplo appartamento (reso unico) adeguato negli spazi e nei servizi. La casa, al piano terra di un grande condominio (anche questo è un segno e una conquista), è spaziosa e comoda, ordinata e semplice negli arredi: 3 camere con 4 letti e due bagni nella zona dedicata agli uomini, 2 camere con 4 letti e 1 bagno per le donne, cucina, lavanderia, dispensa, ufficio, camera per il volontario di notte, 2 spazi comuni di soggiorno, cortile e terrazzo.
I Volontari
Nessuno dei volontari di Casa Betania è un esperto, non ci sono psicologi, sociologi, assistenti sociali, solo persone attente, cordiali, disponibili, ciascuno per la sua parte, ad accompagnare queste persone nei vari bisogni che manifestano. Suddivisi in turni settimanali si occupano di tutto: l’accoglienza, l’ascolto, la cucina, la spesa, il guardaroba, la pulizia, gli aspetti burocratici e sanitari, in un clima sereno e collaborativo. L’unica competizione è quella nel…fare bene il bene. Molte volte capita che i volontari che si accostano a Casa Betania siano essi stessi bisognosi di ascolto e di amicizia e allora Casa Betania diventa anche terapeutica per tante solitudini.
Gli ospiti
Chi bussa alla porta di Casa Betania? La più varia umanità! Stranieri e italiani, uomini e donne, bambini, giovani e anziani!
Negli anni, gli ospiti stranieri che sono arrivati hanno descritto, nel loro avvicendarsi, i cambiamenti geopolitici che avvenivano nel mondo: albanesi, rumeni, pakistani e afghani, bengalesi, siriani, ancora afghani e poi gli africani dal Senegal, dalla Nigeria, dal Ghana, dal Burkina Faso… tutti con il loro carico di fatiche, di sofferenze, ma anche di coraggio e di speranza. E le badanti dell’est Europa, con le loro numerose valigie, negli intervalli tra un servizio e l’altro. Il popolo dei migranti che lascia la propria terra per vari motivi, mai per turismo o avventura, in cerca di un futuro dignitoso.
Gli italiani che si presentano a Casa Betania sono spesso uomini soli, separati che non riescono a mantenere due nuclei familiari, sfrattati, disoccupati e questi sono i casi più difficili perché insieme alla casa o al lavoro hanno perso la speranza di potersi riprendere, ed anche le istituzioni faticano a dare loro aiuti che non siano puramente assistenziali. Più raramente e sempre per periodi molto brevi, arrivano i classici clochard che, per tanti casi della vita, hanno scelto la strada, la libertà, la solitudine, il nomadismo come forma di vita, poi i pellegrini che, zaino in spalla, percorrono le vie della fede. Volti, nomi, storie segnati nei registri, ma anche e soprattutto nel ricordo.
La rete
Da qualche anno a questa parte, la complessità delle situazioni, i numeri sempre più elevati, le esigenze di controllo da parte delle autorità hanno reso necessario che l’attività di accoglienza si svolgesse in rete con le istituzioni: Prefettura, Questura, Carabinieri, Amministrazione comunale, Servizi sociali, ASL ed altre realtà associative presenti sul territorio. I rapporti sono di piena collaborazione e di fiducia, purtroppo la burocrazia è soffocante e complicata, a volte incomprensibile e mal si adatta a risolvere questioni che richiedono interventi immediati: una famiglia sfrattata con bambini, una donna che sfugge a violenze domestiche, un anziano solo dimesso dall’ospedale. Casa Betania, nei limiti degli spazi di cui dispone, spesso interviene nell’immediato. Le emergenze purtroppo sono tante e per definizione si presentano inattese, allora si entra in un’altra dimensione che non è più quella di Casa Betania, e richiederebbe una programmazione e una sistematicità che ancora oggi non esiste.
I fondi
La prima risorsa sono gli stessi volontari che offrono il servizio gratuitamente e generosamente per circa 20 ore al giorno dalle 15,30 alle 8.00 del mattino successivo avvicendandosi in turni settimanali. La seconda risorsa importante è l’apporto riveniente dal 5×1000 che tanti amici e conoscenti ci assegnano. A questo proposito segnaliamo il nostro Codice Fiscale 91015140741 da indicare nella dichiarazione dei redditi, che insieme alla firma non costa nulla.
La terza risorsa è costituita dagli aiuti alimentari dell’AGEA. Ed infine c’è l’imponderabile e sorprendente risorsa della Provvidenza che è molto più concreta di quanto non si pensi e ha mani e nomi, si chiama Forno Cucinelli, bar Blu Moon, pizzeria Giglio, Ipercoop, e spesso non ha neanche un nome, è la parrocchia, una vicina del condominio, un pensionato, una coppia di sposi, una scolaresca, una famiglia che ha subito un lutto… e sceglie di fare un gesto di carità.