(Luca Debenedettis *) – Il Governo ha assegnato la scorta all’Amministratore Delegato della Rai, Roberto Sergio, per presunte minacce ricevute in seguito al comunicato stampa col quale ha voluto ribattere al cantante Ghali – che nelle serate del festival di Sanremo aveva chiesto un cessate il fuoco e lo “stop al genocidio” – esprimendo solidarietà a Israele e alla comunità ebraica per i fatti del 7 ottobre scorso, astraendoli contestualmente sia dai precedenti 76 anni di ininterrotta e barbara occupazione della Palestina (caduta nell’oblio più assoluto), sia dalla criminale mattanza della popolazione di Gaza lanciata subito dopo, e che Netanyahu pare intenzionato a portare avanti fin quando la Striscia non l’avrà completamente rasa al suolo e svuotata dalla sua gente. Peraltro, il giovane cantante di origine tunisina parlava a titolo personale. Quindi, poteva starci che a rispondere con un pensiero di segno opposto, del tipo “che lo sterminio di bambini continui pure” o “facciamo fuori altri 30 mila civili”, fosse un suo collega. Se ciò non è accaduto, è perché evidentemente nessuno di loro ha ritenuto opportuno farlo. Ora, che a sentire tale esigenza sia stato l’attuale Ad della TV di Stato, la dice lunga sul taglio politico che ha voluto imprimere al suo mandato e sull’asservimento del nostro servizio pubblico verso “non più innominabili” poteri.
È altrettanto surreale che dopo 4 mesi di massacri, migliaia e migliaia di bambini morti e amputati, quasi due milioni di sfollati e interi centri abitati prima inceneriti dalle bombe e poi spianati dai bulldozer; che, cioè, di fronte a un panorama di distruzione ormai sotto gli occhi del Mondo alcuni ministri europei continuino ancora a dirsi “preoccupati” per le intenzioni del governo israeliano, o sostengano il “diritto di Israele di attaccare Hamas”, come dichiarato da Antonio Tajani a nome del popolo italiano. Ma chi glieli avrebbe riconosciuti tutti questi diritti a Israele? Il diritto di demolire case, di espropriare terre, di impedire gli spostamenti, di costruire colonie, di giustiziare rivali, di imprigionare civili, di segregare quartieri, di assediare due milioni di persone? Di continuare a rubare un pezzo di terra dopo l’altro, un pezzo di vita dopo l’altra? Chi glieli ha riconosciuti?
Il nostro Ministro degli Esteri probabilmente non sa o finge di non sapere, in entrambi i casi dimostra di non essere all’altezza del suo ruolo, che i discorsi propagandistici stanno a niente di fronte al Diritto internazionale. E per il Diritto internazionale Israele è una potenza occupante e Hamas un movimento di resistenza. Pertanto, nei confronti della popolazione nativa di Palestina Israele ha “solo” doveri da adempiere e alcun diritto da reclamare.
Ma, a parte la loro pochezza politica, cosa diranno Tajani, la Meloni, Renzi, il PD e tutti i supporter di Tel Aviv se, come si prospetta, l’accusa di genocidio della popolazione di Gaza, avanzata dal Sudafrica contro Israele, dovesse essere confermata da un verdetto della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja? No, perché la Convenzione ONU sul genocidio del 1948, oltre a punire chi lo commette direttamente, all’art.3 comma e) considera corresponsabili anche i Paesi complici. E l’Italia questo ruolo lo sta svolgendo a pieno titolo, almeno per tre motivi: per l’appoggio diplomatico incondizionato offerto a Israele, per non aver fatto nulla per impedire che il massacro della popolazione di Gaza fosse portato a compimento e per il supporto militare fornito allo Stato sionista nel quadro di consolidate relazioni bilaterali, del quale lo stesso si è avvalso per compiere i crimini in corso (i piloti israeliani si sono addestrati su aerei italiani; la Alenia – Gruppo Leonardo S.p.A. – ha venduto velivoli M-346 a Israele, trasformati in aerei d’attacco; le corvette missilistiche della marina israeliana che colpiscono Gaza dal mare, usano anche cannoni da 76mm. fabbricati dalla OTO-Melara – sempre Gruppo Leonardo S.p.A., ecc.).
Dunque, come la metteremo noi italiani se, dopo averla fatta franca in Iraq, Afghanistan, Libia e Siria, il tribunale dell’ONU dovesse ritenerci corresponsabili per il genocidio dei Palestinesi? Lo accuseremo di antisemitismo? Continueremo a dirci un popolo amante della pace e rispettoso dei diritti altrui? Ci crederemo ancora “brava gente”, o avremo finalmente il coraggio di mettere in discussione quest’idea di Paese benevolo che ci siamo cuciti addosso?
Allora, se è vero che per redimersi non è mai troppo tardi, facciamo tesoro delle parole di Ghali, che hanno avuto il duplice merito di spezzare le catene del politicamente corretto che imprigionava la “questione palestinese”, ancora profondamente sentita dall’opinione pubblica, e di offrire all’Italia l’opportunità di tornare a essere nel Mediterraneo ciò che, nonostante i vincoli dell’alleanza atlantica, è stata ai tempi di Mattei, Moro e della tanto vituperata Prima repubblica: un Paese giusto con le popolazioni di oltremare.
L’occasione non si ripresenterà più e dovremmo saggiamente coglierla, perché se è vero che la storia la scrivono i vincitori, non abbiamo alcuna certezza che lo saremo anche questa volta.
- Comitato provinciale di solidarietà col popolo Palestinese