Da quando non potendo eludere le conclusioni delle più importanti organizzazioni governative e umanitarie internazionali, canali televisivi e stampa parlano apertamente di genocidio in riferimento alle azioni criminali di Israele nella Striscia di Gaza, cui si sommano le operazioni di pulizia etnica in Cisgiordania, assistiamo a una singolare reazione da parte di figure considerate da sempre l’élite culturale di questo paese. Storici, giornalisti e cosiddetti intellettuali invitati per anni, come il prezzemolo nella minestra, a “illuminarci” su cosa fosse il bene e cosa il male, chi i buoni e chi i cattivi, sono andati di matto a sentir parlare di un genocidio commesso dallo stato ebraico. Ora, non sarà sfuggito come gran parte dei personaggi in oggetto siano anche tra i principali divulgatori della ormai ventennale Giornata della Memoria, istituita dalle Nazioni Unite per commemorare le vittime dello sterminio nazista, e il cui scopo principale era proprio scongiurare che potesse ripetersi contro chiunque e ovunque. Allora, a cosa si deve questa risposta?
Alcuni illustri ebree e israeliani ci spiegano con ammirevole onestà intellettuale quanto, a dispetto delle nostre convinzioni, la Giornata della memoria non sarebbe stata affatto pensata per combattere l’antisemitismo, per fare ammenda del passato affinché le sue tragedie non si ripetessero, ma piuttosto per blindare da qualsiasi critica il colonialismo di Israele.
“La retorica che accompagna la memoria dell’Olocausto – osserva il giornalista e politologo Boaz Evron – è in realtà un’operazione d’indottrinamento e di propaganda, un ribollio di slogan e una falsa visione del mondo il cui vero intendimento non è affatto la comprensione del passato, ma la manipolazione del presente. […] Quasi ogni apparizione di funzionari israeliani all’estero include un riferimento all’Olocausto, in modo da inculcare nel pubblico un adeguato senso di colpa. Analogamente, tutte le più importanti personalità non ebraiche in visita in Israele sono condotte per prassi allo Yad Vashem (il Memoriale dell’Olocausto), per trasmettergli l’umore più appropriato e la rituale colpevolezza che ci si aspettano da loro”. (1)
Secondo la docente di Storia all’Università Ebraica di Gerusalemme, Idith Zertal, “Israele ha trasformato Auschwitz da un evento passato a un presente minaccioso e continuo, facendone un riferimento costante nelle sue relazioni con il mondo, definito immancabilmente ostile e antisemita. Questa vittimizzazione è diventata l’essenza dell’identità nazionale israeliana, ormai immune alle critiche e al dialogo razionale”. (2)
“Tutto quello che succede in Israele – ha affermato l’ex funzionario del Dipartimento di Stato USA Alfred Lilienthal – ha oggettivamente un risvolto razzista, criminale, discriminatorio, ma viene perpetrato invocando continuamente lo spettro di Hitler e parlando in termini di sicurezza e difesa. Si discute di Medio Oriente con riferimento alla sopravvivenza dei superstiti dell’Olocausto e mai della costruzione di una nazione Sionista che richiede l’espulsione della maggioranza della popolazione nativa”. (3)
L’ex Ministra dell’educazione di Israele Shulamit Aloni ha ammesso che “Quando in questo paese qualcuno critica Israele, viene chiamato antisemita. È un trucco che abbiamo sempre usato… e tirare fuori l’Olocausto e la sofferenza del popolo ebraico giustifica tutto quello che facciamo ai palestinesi”. (4)
Per finire con le dichiarazioni inequivocabili del docente di Scienze Politiche della New York University, Bertell Ollman, che ha condannato il “cinico abuso della peggiore violazione dei diritti umani nella storia (l’Olocausto) per razionalizzare una delle peggiori violazioni dei diritti umani del nostro tempo (il Sionismo)”(5) e della linguista presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, Nurit Peled-Elhanan, che ha dichiarato senza mezzi termini: “Più l’occupazione in Palestina è diventata crudele, più si è fatta centrale la memoria dell’Olocausto”. (6)
Dunque, per i suddetti insospettabili a questo doveva servire inondare i programmi scolastici con iniziative di sensibilizzazione, visite guidate, proiezioni di film e dibattiti sul tema. E la dimostrazione che non vi fosse alcun sincero monito contro nuove possibili tragedie, quanto un subdolo fil-rouge con la difesa del progetto sionista in Medioriente è proprio il comportamento dei principali divulgatori nostrani del Giorno della memoria davanti alla tragedia di Gaza. Fra tutti, la senatrice Liliana Segre, che contestando l’idea che lo sterminio di Israele a danno dei palestinesi possa configurare un “genocidio”, come avanzato già un anno e mezzo fa dalla Corte Internazionale di Giustizia e dal Tribunale Penale Internazionale, e confermato negli ultimi giorni da una Commissione d’inchiesta indipendente del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite dal titolo “Analisi giuridica della condotta di Israele a Gaza ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio”, ha rinnegato in un colpo solo anni e anni di incontri con studenti di ogni ordine e grado a raccontare la sua personale tragedia.
Il risvolto positivo della faccenda è che se il Giorno della memoria non è fallito del tutto è unicamente merito della sensibilità di tanti studenti che, senza introiettare alcun senso di colpa altrui, hanno fatto tesoro di quell’insegnamento e proprio per aver riconosciuto uno sterminio nella mattanza israeliana a Gaza sono scesi in piazza più numerosi che mai a manifestare. Anche beccandosi dell’antisemita dai loro stessi “maestri”.
Quello negativo, e anche parecchio inquietante, è che fatta eccezione per alcune figure ebraiche da sempre critiche con le politiche coloniali israeliane, come Moni Ovadia, la rete ECO (Ebrei Contro l’Occupazione), il collettivo LEA (Laboratorio Ebraico Antirazzista) e poche altre associazioni, le numerose e onnipresenti figure ebraiche del panorama mediatico – da Mieli a Parenzo, a Mentana, ad Augias, ecc. – e tutte le comunità ebraiche di questo paese hanno abbandonato l’idea dell’ebraismo quale mero culto religioso, sposando visceralmente l’approccio identitario nazionalista incarnato da Israele e tradendo così la stessa ortodossia giudaica che per tutta la prima metà del ‘900 aveva aspramente condannato il progetto coloniale sionista in Palestina, reo di aver stravolto le scritture e rovinato secoli di pacifiche relazioni con le vicine comunità islamiche. Questa deriva identitaria, tradottasi in un appoggio incondizionato a Tel Aviv anche a genocidio in corso, sta generando un crescente risentimento della società civile che pur non avendo nulla a che vedere con pregiudizi religiosi o culturali, si sta cercando di far passare per atteggiamento antisemita.
Qual è il problema? Che poche settimane fa, mentre il Ministro Salvini riceveva il premio “Amico di Israele 2025”, il leghista Massimiliano Romeo da una parte e l’ex piddino, oggi renziano, Ivan Scalfarotto dall’altra, hanno depositato due proposte di legge speculari per chiedere che lo Stato italiano, nell’ambito della presunta lotta all’antisemitismo, recepisca la controversa definizione dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance) che in sostanza assimila l’antisionismo all’antisemitismo. Una “definizione politica sviluppata grazie all’azione congiunta di governi e lobby pro-Israele”, secondo il docente di relazioni internazionali all’università di Edimburgo, Nicola Perugini, e che per il professore di storia alla Stanford University, l’ebreo ed ex sionista Joel Beinin, rappresenta “un attacco alla libertà di parola, alla libertà accademica e alla libera indagine […] tenta di censurare le discussioni sul colonialismo, il razzismo sistemico, l’apartheid e ora il genocidio che hanno caratterizzato la storia e le politiche attuali dello Stato di Israele”. (7)
Approvata quella, chiunque nel prossimo futuro dovesse manifestare o anche solo esprimere posizioni anti-israeliane rischierà la galera, così Israele potrà continuare a ripulire la Palestina dai suoi abitanti e nessuno potrà contestarglielo, per legge! Fate voi.
Luca Debenedettis
Comitato contro il genocidio del popolo Palestinese – Brindisi
- Boaz Evron, Holocaust: The Uses of Disaster – Radical America, 1983, vol.17, n.4
- Idith Zertal, Israel’s Holocaust and the Politics of Nationhood – Cambridge University Press, 2010, p.4
- Alfred Lilienthal, The Zionist Connection. What price peace? – North American Inc., 1982, 106
- Amy Goodman intervista Shulamit Aloni – Democracy Now, 14 agosto 2002
- Bertell Ollman, Lettera di dimissioni dal popolo ebraico – Tikkun, Vol.20, genn-febb 2005, pp.10,58
- Nurit Peled-Elhanan, La Palestina nei testi scolastici di Israele. Ideologia e propaganda nell’istruzione – Edizioni Gruppo Abele, 2015, p.263
- Joel Beinin, Why I violated the IHRA definition of antisemitism – Middle East Eye, 24 aprile 2025