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ESPONIAMO UNA BANDIERA DELLA PALESTINA SUI NOSTRI BALCONI

da Redazione
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Oggi 1 Ottobre 2025, io Paolo Summa insieme a Gino Stasi, sono salito sul terrazzo della biblioteca comunale di Mesagne per issare una grande bandiera della Palestina. Specifico che siamo stati noi ad issarla perché sia chiaro che la volontà di questo gesto è solo delle persone che si sono realmente spese perché questo potesse accadere.

Molte altre persone si sono impegnate per raggiungere questo risultato, chi ha fatto materialmente questa bandiera, confezionata artigianalmente, chi ha messo i soldi per pagare la sarta e per comprare il materiale per confezionarla.
Ci tengo che sia chiaro che le istituzioni hanno fatto il minimo indispensabile affinchè questo risultato fosse raggiunto. Abbiamo chiesto per la prima volta il 7 luglio, cioè quattro mesi fa, l’autorizzazione per issare questa stessa bandiera sul torrione del castello, ci è stato detto che non andava bene, non bastava che qualche cittadino lo chiedesse.
Allora abbiamo indetto una raccolta firme, dopodichè abbiamo inoltrato nuovamente la richiesta allegando tutte le firme. Non bastava.

La soprintendenza ai beni culturali voleva una scheda tecnica che chiarisse le modalità di ancoraggio della bandiera sul torrione del castello Normanno Svevo e l’architetto Luca Cavallo si è impegnato gratuitamente per fare la stesura di questa scheda. Oggi a distanza di più di tre mesi la soprintendenza ai beni culturali ancora non ha fornito una risposta alla nostra richiesta.

Insieme all’ufficio all’urbanistica di Mesagne abbiamo concordato di cambiare sito. In attesa della risposta della soprintendenza. Abbiamo scelto la biblioteca comunale della Città.
Una volta che tutto sembrava in ordine siamo stati fermati, al momento di installare la bandiera, dall’ennesimo burocrate, che affermava che non gli era giunta nessuna autorizzazione, nonostante gli fosse giunta già una comunicazione dagli uffici preposti.
Ancora non andava bene. Un ennesimo foglio.
Sono passati ben quattro mesi da quando abbiamo inoltrato la prima richiesta. Quattro mesi per issare una bandiera e siamo stati anche ostacolati in questo, fino all’ultimo momento e anche dopo esserci riusciti siamo stati sottoposti agli sguardi torvi dei funzionari della biblioteca.
Se abbiamo deciso di issare questa bandiera è perché in Palestina oggi si muore gratuitamente. Abbiamo deciso di farlo perché è troppo doloroso rimanere a guardare mentre migliaia di fratelli e sorelle vengono massacrati. Quella bandiera rappresenta un grido di aiuto, un tentativo di fare qualcosa, perché in certe situazioni è giusto non lasciare niente di intentato.

Cosa può cambiare una bandiera?
Come fa una bandiera a fermare le pallottole e le bombe. Non lo può fare.
Ciò che può fare e cercare di innescare una catena di eventi, muovere l’opinione pubblica affinchè eserciti pressione politica, affinchè la politica prenda una posizione a partire da quella locale, sperando che il seme si trasformi in foresta e un granello di sabbia possa entrare negli ingranaggi dell’industria delle armi, dell’industria della morte, che ha bisogno dei burocrati, che ha bisogno dei documenti e delle carte bollate.
Perché una nave cargo piena di armi ha bisogno di autorizzazioni, ha bisogno delle istituzioni locali per transitare, per essere caricata o scaricata.
Un’industria come Leonardo, i cui profitti si basano sulla morte delle persone, ha bisogno di accordi, di una filiera, dell’appoggio istituzionale, dei trattati commerciali.
Ed è chiaro che la nostra azione più efficace per fermare un genocidio che sta avvenendo sotto i nostri occhi, sia quello di cercare di impedire al governo del nostro Paese, di aiutare i criminali e gli assassini che facendosi forza delle loro menzogne continuano ad uccidere impunemente.
Che cos’è una bandiera in tutto questo? Che cos’è una bandiera quando ormai praticamente tutta la striscia di Gaza è stata rasa al suolo? Che cos’è una bandiera di fronte alle centinaia di migliaia di morti che già ci sono state.

Di fronte al pianto disperato delle madri che piangono i figli dilaniati, di fronte ai cani che si nutrono dei cadaveri sotto le macerie, di fronte ad un popolo che viene distrutto tra le risate di un esercito malato che si vanta di uccidere bambini.

Una bandiera è solo un pezzo di stoffa, un simbolo, un monito.
E se è stato così difficile installare una bandiera sulla facciata di un ufficio pubblico, immaginate quanto è difficile mettere in atto azioni che veramente cambino le cose.
In sé, issare una bandiera non è qualcosa di difficile, anzi è semplice.
E’ stato difficile perché nessuno a livello istituzionale si è preso la responsabilità, nessuno si è assunto un rischio.
Tutti, hanno tergiversato fino a che hanno potuto e alcune istituzioni continuano a farlo ancora oggi.

Ma esiste una sottile differenza tra opporsi a qualcosa e non favorirla. Non favorire qualcosa permette non assumersi la responsabilità. In questo modo molti burocrati utilizzano subdolamente il piccolo potere che hanno, facendo perdere tempo.
Se questo vale per l’installazione di una semplice bandiera immaginate voi quali apparati burocratici esistono per chi volesse opporsi ad un mercato internazionale che ha come unico obbiettivo vendere armi e accaparrarsi terre e lotti immobiliari, costi quel che costi.
Allora comprendo perfettamente chi decide di intraprendere azioni non autorizzate rischiando in prima persona, perché una bandiera issata quattro mesi fa avrebbe avuto un altro significato e magari avrebbe potuto accendere un barlume di speranza in più.
Ma adesso qualcuno mi può spiegare perché perdere quattro mesi mentre un esercito dall’altra parte del mare è capace in maniera totalmente illegale di effettuare decine di raid aerei nell’arco di pochi minuti?

Issare una bandiera è un gesto molto piccolo e ci sono voluti quattro mesi.
Nessuno adesso si permetta per campagne elettorali o per altri motivi di fregiarsi del fatto che la città di Mesagne è ornata della bandiera della Palestina.
Sono stato io, Paolo Summa ad issarla, insieme a tante persone che mi hanno dato una mano. Sono stato io a nome di un popolo ed ho ricevuto pochissimo aiuto, anzi.
E non lo dico perché voglio dei meriti. Che meriti ci sarebbero nell’issare una bandiera?
Però è giusto fare venire a galla la retorica della classe politica attuale a livello nazionale che fa il doppiogioco e cerca di mascherare la propria connivenza, perché un conto e dire di essere contro qualcosa e invece un conto è impegnarsi ad utilizzare tutto il proprio potere per ostacolare questa strage.
Questo piccolo episodio spiega nel piccolo il motivo per cui al giorno d’oggi un genocidio possa avvenire ed essere giustificato e supportato.
Invito tutta la popolazione ad esporre una bandiera della Palestina, ovunque sia possibile.
Invito tutti ad usare tutti i mezzi a disposizione per provare ad intervenire, ognuno come può.
Discutere, fare opinione, continuare a parlarne, scendere in piazza. Non possiamo accettare come normale quello che sta avvenendo in Palestina.
Oggi c’è chi cerca di cambiare il significato delle parole, c’è chi cerca di negare la realtà, c’è chi cerca di plasmare la realtà sulla forma delle proprie menzogne.

Allora il piano su cui bisogna combattere oggi è quello delle parole, dei simboli, dei significati.
Oggi è giusto affermare che ogni popolo ha diritto all’autodeterminazione, è giusto affermare che una società sana è una società basata sull’amore, sull’aiuto reciproco, sulla comprensione, sull’ascolto.
Bisogna affermare a gran voce il dovere di proteggere e tutelare le minoranze, il rispetto di chi professa un credo religioso diverso dal nostro, il rispetto per chi è diverso da noi, per chi è straniero.
Non dobbiamo dimenticarci che su questo Pianeta non siamo soli e che possiamo contare gli uni sugli altri e che l’esistenza non deve essere per forza una lotta per la sopravvivenza di tutti contro tutti.
Oggi è giusto affermare che la guerra, che il riarmo sono la strada sbagliata, che la violenza non è la soluzione ai problemi.

E’ giusto affermare che la povertà non è una colpa ma una condizione sociale e che va rispettata.
Allora una bandiera non riamane una bandiera che ci ricorda che in questo momento centinaia di migliaia di donne, uomini e bambini vengono massacrati senza alcuna pietà, una bandiera allora diviene anche uno strumento di lotta per affermare che l’unità e la fratellanza sono l’unica strada che ci permetterà di vivere tutti una vita piena in cui ognuno di noi possa liberamente esprimersi per ciò che è.
Invito tutte e tutti a trovare una bandiera della Palestina, a comprarla a cucirla e ad esporla nel punto più visibile che potete e presto vi renderete conto che non siete soli, che non siamo soli e che non siamo costretti a rassegnarci a questo stato di cose.

Paolo Summa

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