Spett.le QuiMesagne,
sono un cittadino di Mesagne che vorrebbe condividere con voi una riflessione. Nelle prime ore del pomeriggio di oggi, sabato 15 novembre 2025, una testata giornalistica locale (non la vostra, giusto per fare subito chiarezza) ha dato voce ad un cittadino mesagnese che denunciava un possibile tentativo di truffa ai suoi danni: il cittadino ha dichiarato che in mattinata si è presentato presso la sua abitazione privata un tale identificatosi come rilevatore ISTAT del Comune di Mesagne che gli proponeva di effettuare un’indagine per il Censimento della popolazione.
La testata giornalistica, di conseguenza, ha pubblicato sulla propria pagina Facebook, intorno alle ore 14,30, un articolo contenente la lettera di denuncia del cittadino nei confronti del presunto truffatore e nei confronti del Comune di Mesagne, colpevole, a sua detta, di non aver sensibilizzato adeguatamente la popolazione cittadina sullo svolgimento di un possibile Censimento ISTAT. Fin qui tutto giusto: la nostra Costituzione, all’art. 21, dichiara, infatti, che “ Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.” La libertà di espressione, invocata anche dalla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, all’art. 10, è fondamentale e sacrosanta, per cui Il cittadino mesagnese ha diritto a denunciare così come la testata giornalistica a pubblicare ciò che ritiene opportuno.
Quest’ultima, però, decide di pubblicare, non solo la lettera di denuncia, ma anche una foto mandatagli dal cittadino. La foto illustra un biglietto lasciato dal possibile truffatore al malcapitato in cui compaiono in bella vista il nome e il cognome con cui si è presentato il probabile truffatore, oltre a due numeri di telefono da contattare.
Ecco, dunque che qualcosa mi sfugge su tale modus operandi. Non sono un giornalista e lungi da me dare lezioni di giornalismo, ma vorrei appellarmi ai tre principi cardine enunciati nella “Sentenza decalogo” della Cassazione n.5259 del 18 ottobre 1984: verità oggettiva o putativa, forma “civile” dell’esposizione dei fatti, pertinenza o interesse sociale alla notizia. Siamo sicuri che quanto detto dal lettore corrisponda ad una verità oggettiva? Oggettivamente non è stato verificato se ciò che è stato scritto dal cittadino corrisponda al vero. Ci sarebbe, a discolpa della testata giornalistica, la cosiddetta verità putativa, cioè, presunta sulla base dei fatti riportati; tuttavia, la suddetta Sentenza dichiara espressamente che la verità putativa debba essere “frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca”.
Qual è stato il serio e diligente lavoro di ricerca effettuato dalla testata giornalistica per accertare che il nome sul biglietto fosse fittizio e non vero? Era davvero pertinente pubblicare una foto con nome e cognome senza verificare prima? È strano che per reati accertati si pubblichino solo le iniziali del nome e cognome, mentre per un episodio non verificato vengano fornite tutte le informazioni personali, violando nel dubbio la possibile privacy di una persona. L’essenzialità dell’informazione è un principio deontologico a cui devono attenersi i giornalisti, purché, come viene riportato nella Sentenza, non leda la dignità e la reputazione di nessuna persona. Oggi, è stata calpestata la dignità e la reputazione di un cittadino, di un uomo che lavora onestamente e rispetta la legge.
Oggi è stata calpestata la dignità del sottoscritto, accusato ingiustamente di possibile truffa solo perché cercavo di svolgere onestamente il mio lavoro. Oggi è stata calpestata la mia dignità, in quanto ho dovuto leggere pubblicamente il mio nome e cognome e il mio contatto telefonico privato su una pagina social conosciuta a livello locale. Ciò che più dispiace di questa spiacevole storia non è l’accusa di un cittadino che ha diritto di allarmarsi. A tal proposito, potrei raccontare la mia versione dei fatti sull’episodio di questa mattina, ma evito di farlo perché sarebbe comunque la mia versione contro quella altrui. Ciò che fa più male è la mancanza di sensibilità di una testata giornalistica che dopo aver chiarito con il sottoscritto, si è limitata a cancellare l’articolo senza pubblicare smentite e soprattutto scuse nei miei riguardi.
PS: A differenza delle altre parti coinvolte in questo episodio, che con troppa leggerezza hanno preferito rendere pubblici nomi e cognomi, ritengo opportuno non fare nomi.
Cordialità. Marco Aurelio Antonacci









