(da BuoneNuove Aprile 2020) – Io e la mia amica scrittrice Rina Santoro, mesagnese di nascita, ma residente in Francia, nei mesi scorsi, abbiamo avviato una ricerca sulla spagnola a Mesagne, quella influenza pandemica che contagiò tra il 1918 e il 1919 un miliardo di uomini, uccidendone in tutto il mondo 50 milioni, ma ci sono fonti che si spingono ad ipotizzare anche 100 milioni. E a Mesagne?
Mesagne, per quanto riguarda la sua storia, è stata passata al setaccio in lungo e in largo, ma di spagnola non c’è traccia in nessuno studio. C’è da dire che la pandemia influenzale del 1918 è stata rimossa per quasi un secolo dalla memoria collettiva: ci fu subito una censura a tutti i livelli, soprattutto in campo militare, si taceva per non demoralizzare le popolazioni già provate dalla guerra. Il nome stesso dell’influenza nasce dalla censura: si chiama “spagnola”, non perché provenisse dalla Spagna, ma perché la Spagna nella Prima guerra mondiale era rimasta neutrale e la stampa era libera di riportare le notizie sugli infetti.
Consultando i documenti d’archivio abbiamo potuto constatare che quello che si verifica sul resto dell’Italia, in Europa e nel mondo intero, nelle stesse modalità si verificava a Mesagne e anche a noi, come altrove, per esempio, colpiva soprattutto i giovani adulti e forti con un’età tra i 15 e i 45 anni e non le persone deboli.
Nel bel mezzo della nostra ricerca siamo state di colpo catapultate indietro di un secolo a rivivere oggi quella terribile esperienza. Se teniamo conto delle differenze storiche politiche sociali tra quegli anni e oggi, per il resto le analogie sono davvero tante. L’impotenza della medicina a dare una risposta terapeutica efficace è, purtroppo, anche attuale.
Mentre leggevamo, nei documenti, di famiglie travolte da quel terribile morbo, istintivamente si pensava che certamente a noi non poteva succedere: tanti i progressi della scienza!!! Oggi come allora ci siamo scoperti vulnerabili di fronte ad un virus di dimensioni nanoscopiche.
Nel 1918 misure di isolamento e forme di quarantena furono adottate, ma con risultati davvero scarsi!
Anche oggi misure di isolamento e quarantena, ma quale fatica per farle rispettare! Bisognava vedere con i propri occhi le bare allineate prima di capire che la pandemia fa sul serio. Oggi sono quasi del tutto scomparsi i testimoni diretti della pandemia di un secolo fa, ma se qualcuno ancora c’è o ricorda di storie raccontate dai propri parenti e vuole condividere quelle esperienze, ci possiamo certamente sentire più vicini a quelle famiglie, perché le notizie ricavate dall’archivio sono notizie fredde, che non arrivano al cuore e non trasmettono tutto il dramma vissuto. Se avete testimonianze di fatti vissuti potete contattarci tramite il giornale. Melina Deleo
1 commento
Salve,
da una ricerca fatta in famiglia ho scoperto che mia moglie ha dei ricordi su dei racconti fatti da sua nonna che ci ha lasciato ormai da un po’ di anni. La nonna in questione, Concetta era il suo nome, viveva in un piccolo paese del leccese, Castrignano De’ Greci, e all’epoca della spagnola aveva circa 10 anni.
Raccontava spesso di aver vissuto la paura di quegli anni ed aveva una paura indelebile dei virus. Il ricordo e la paura infatti si trasformavano in consigli, come spesso accade con i nonni, ogni volta che in casa ci si ammalava di influenza. “Attenti” ripeteva spesso, “i virus sono una brutta cosa, quando ero piccola un virus portò via una madre con sei figli vicino a casa mia”. Questo però era il ricordo più brutto che avesse ma di certo il virus ha fatto molte più vittime nel piccolo paese ma non abbiamo altri riferimenti che possano dare un dato sul numero di decessi.
Un altro ricordo faceva riferimento alle restrizioni, in particolare al divieto di accesso alle “pozzelle”, un bacino naturale di raccolta delle acque piovane a cui le persone si ricavano per rifornirsi d’acqua. Questo divieto se contestualizzato in un epoca di crisi e miseria dove l’accesso all’acqua non era scontato come ai giorni nostri da un indizio di quanto fosse forte questa restrizione e di conseguenza per i cittadini dover fare a meno di una fonte certa di un bene primario.
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