Il fenomeno relativo al consumo di bevande alcoliche sul piano locale non sarà argomento di questo intervento, anzitutto perché in assenza di dati solidi e parametri puntuali su classi d’età, tipologia, modelli e luoghi di consumo non risulta certamente possibile individuare interventi efficaci e funzionali per contenere comportamenti a rischio. Ci sono i dati, e poi ci sono le opinioni, di solito raffazzonate. La penuria dei primi genera pregiudizi caserecci e pervasivi, spesso sbandierati istericamente sui social network per accaparrarsi una manciata di like e una botta di dopamina.
Neppure la posizione di parte della classe politica locale sul tema è interesse di questo post. Resta vero che quel set di competenze sintetizzabili come “intelligenza emotiva” pare molto poco sviluppato in alcune cariche pubbliche e che certe recentissime interlocuzioni – come asserire di affrontare con “spirito costruttivo” alcuni temi tranne quelli sollevati da “piccole miserie umane” – suonano al limite della schizofrenia comunicativa.
Qui i nervi scoperti sono altri. La capacità di avere visione e generare un’offerta politica che determini e gestisca cambiamenti (invece che consolidare prassi obsolete): quella ti aiuterebbe, tra le altre cose, a proporre una conversazione aperta, inclusiva, trasparente e non un caffè per discutere, ad esempio, del futuro di uno spazio cittadino. La volontà di impostare politiche, tra cui quelle giovanili, coinvolgendo tutti coloro che ne sperimentano quotidianamente gli effetti: quella ci farebbe compiere un passo in avanti dai tradizionali ambiti di intervento con focus su prevenzione e vulnerabilità mirando, piuttosto, al protagonismo e alla cittadinanza attiva di bambini e giovani. E’ svilente continuare a leggere commenti e diagnosi col piglio paternalistico per cui “dobbiamo aiutarli questi giovani”, queste povere vittime che, invece, pretendono legittimamente ascolto, confronto e spazio di azione. Posto che – dato oggettivo – sono il futuro di questa comunità.
Chiara Orsini