Da bambino mi sono fidanzato innumerevoli volte con bambine che neppure lo sapevano. Da ragazzo poi mi sono innamorato altrettante volte di ragazze che praticamente ignoravano la mia esistenza. Io mi limitavo ingenuamente a mandare segnali, più spesso soffusi, impalpabili, criptici che con tutta evidenza non venivano colti. In diverse occasioni (vorrei dire: molte, ma non credo che sia onorevole confessarlo), erano le ragazze a disseminare indizi, magari anche vistosi, per invitarmi al corteggiamento o suggerirmi di passare al dunque. E, anche in quel caso, ero un disastro: non li coglievo proprio.
Ora, mi pare che più o meno la medesima cosa stia accadendo a Mesagne tra i soggetti che si richiamano al campo progressista. Cioè, non so se si tratti di un sentimento reale o di una necessità impellente (del genere che affligge le zitelle di lungo corso), ma da qualche settimana è come se le parti in causa provassero a comunicare tra loro senza dirselo e ciascuno non intendesse i messaggi dell’altro.
Ha esordito all’indomani delle elezioni politiche (l’8 marzo) il primo cittadino Pompeo Molfetta che, in una doviziosa intervista video a QuiMesagne (dal minuto 9.40 in poi), ha ammesso: «Abbiamo il dovere di rielaborare il progetto cercando le aperture necessarie, gli spazi di confronto politico con i cittadini che vogliono ripristinare un’idea di centrosinistra plurale, allargato, al passo coi tempi e di dare quelle risposte che non siamo stati in grado di dare».
A ruota è seguito un documento politico del locale PD in cui esplicitamente si è affermato: «L’impegno dovrà essere quello di ridurre la frattura con importanti settori della società. Questo lavoro comporta la costruzione di una nuova idea di città e la definizione di un campo di forze sulla base del convincimento sul quale restammo isolati nel 2015: tessere la tela di un centrosinistra rinnovato e plurale nelle sue espressioni».
Appena poche ore dopo, l’onorevole uscente Toni Matarrelli pubblica una inequivocabile riflessione sull’Huffington Post in cui ipotizza la fine politica della sinistra che LeU aveva provato a rappresentare e conclude, ammiccando agli sviluppi congressuali democratici, con: «Nel frattempo, Zingaretti caratterizza la sua candidatura al congresso PD sul tema dell’uguaglianza…».
Infine giovedì scorso, durante il consiglio comunale, il capogruppo democratico Fernando Orsini la fa più esplicita. Incastonato in una onesta riflessione sul bilancio, ecco l’invito a darsi da fare: «Noi pensiamo che sia giunto il momento in cui le forze di una sinistra progressista e riformatrice si accingano a pensare e riconsiderare quale città costruire quanto meno nei prossimi 10 anni, quali scelte innovative individuare, quali politiche di sviluppo porre in atto. Al di là dei destini personali di ognuno di noi, lo facciano prima che sia troppo tardi. Lo penso anche ed a maggior ragione alla luce degli ultimi eventi che il panorama politico nazionale ha registrato».
Gli «ultimi eventi» sono, neanche a dirlo, il forte urto delle consultazioni politiche ed il riverbero, non meno robusto, dell’elezione a deputato di un professionista onesto ma fondamentalmente misconosciuto, con un bottino di voti che neanche Elio Bardaro.
Pare dunque di capire che si sia un po’ tutti d’accordo – il sindaco e, presumibilmente, la maggioranza che lo sostiene, Matarrelli, la gerenza del PD – sulla necessità di ristrutturare il centrosinistra. O piuttosto di edificarlo nuovamente, su basi e con premesse diverse dal modello consumato in passato, anche considerata l’attuale condizione di sfascio, che rappresenta una sorta di salto vorrei dire: logico rispetto al flusso storico dei governi o delle coalizioni politiche imperniate sulla sinistra.
A chi spetta avviare le danze? Con tutta probabilità proprio al sindaco che, per biografia politica, fisico del ruolo ma anche corde culturali, potrebbe ora accollarsi l’onere di una aggrovigliata fatica per poi domani rivestirsi del giusto onore di aver fatto da garante in una operazione storica tanto significativa.
Quando lanciare i giri di waltzer? Presto ed anzi prestissimo, dato che la scadenza naturale della consiliatura lascia un margine di appena due anni per liberarsi dalle scorie del passato, nettarsi dalle tossine, ripulirsi e vestirsi a nuovo preparando una classe dirigente più fresca possibile e mettersi in posa per la foto di gruppo, possibilmente sfoderando sorrisi adeguati.
E’ il caso di approfittare dell’imminente rimpasto di giunta per intavolare la trattativa tra le parti, così come qualche commentatore prevede o auspica? Non sia mai, per decenza umana prima che politica. Sarebbe umiliante un po’ per tutti – sindaco e PD, maggioranza e opposizione – e avvilente per la città.
A meno che, ma qui si dovrebbe sfoderare un po’ di ardimento (o di incoscienza), non si voglia affidare, ad esempio, la delega consiliare alla legalità e alla trasparenza all’opposizione (praticamente su misura per Fernando Orsini); o rintracciare una personalità di area (democratica, of course) per un ruolo assessorile in quota sindaco; o (e questa è la boutade che mi intriga di più) chiedere a Cosimo Faggiano, formidabile deus ex machina dell’Associazione Di Vittorio, di rivestire l’incarico di «direttore culturale» della città, realizzando in grande quell’encomiabile lavoro di propulsione che ha fin qui concretizzato in piccolo.