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Dal governo giallo-verde al rimpastellum mesagnese – di Giovanni Galeone

da Cosimo Saracino
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Conte-Molfetta

Mentre Cottarelli, zainetto e trolley al seguito, si ritirava con stile e dignità, finalmente è arrivata a soluzione dopo 3 mesi tormentati e sull’orlo di una crisi di nervi la crisi politica con il varo del nuovo governo giallo-verde guidato dal prof. Giuseppe Conte, di cui avevamo già archiviato le incongruenze curriculari. Era doveroso dare uno sbocco al responso elettorale del 4 marzo ed evitare un pericoloso stallo con un ritorno alle urne che poco avrebbe cambiato nella sostanza. L’avvio della legislatura permette di consumare il matrimonio tra il governo sovranista e il paese che ha conferito loro un ampio consenso. Se quindi è da salutare positivamente la formazione di un governo, non si possono tuttavia non rilevare le ambiguità e le contraddizioni che la compagine giallo-verde si porta in carico. A sbloccare la situazione quasi un mese fa è stato Silvio Berlusconi che ha liberato il partner leghista dall’alleanza, ciò nonostante Forza Italia si appresta a votare contro il governo.

E così mentre nelle sale era ancora in proiezione il bel dittico cinematografico di Sorrentino (Loro1 –Loro2) con la suggestiva descrizione del decadente universo berlusconiano di questi anni, il Cavaliere appena riabilitato, con pragmatismo interessato (con le elezioni l’alleato leghista avrebbe schiacciato Forza Italia) aveva dato l’avvio alla tormentata trattativa. Ora il rinominato Giuseppe Conte dovrà trovare un ruolo autonomo ed autorevole tra i due ingombranti azionisti di maggioranza e già questo non sarà semplice, Di Maio è convinto di aver scritto la storia, ma lui e i 5Stelle, anche per la fragilità identitaria e le contraddizioni emerse in queste settimane, sono quelli che rischiano di più in questa operazione, Salvini ha sempre la carta di riserva dell’alleanza di centro destra di cui è ormai il padrone e così dopo aver partecipato come dirigente leghista al banchetto dell’epopea berlusconiana si presenta sulla soglia del Viminale come l’uomo forte con video anti immigrati annesso; l’operazione giallo verde dovrà fare adesso i conti con la realtà che è meno propagandistica della narrazione semplificatoria propinata in questi mesi.

Il sovranismo del velleitario contratto di governo combina due correnti politiche distinte, il nazionalismo e il populismo, cui si è aggiunta una componente professorale-accademica importante, pezzi di establishment che sino a qualche mese fa si volevano abbattere, qualcuno dice che questo è il governo più tecnico dopo quelli di Monti e Dini. Il Mezzogiorno è stato relegato a pochissime asfittiche righe, e temo non basterà la nomina della pasionaria leccese Barbara Lezzi, i cui precedenti estivi di un anno fa sull’aria condizionata che faceva crescere il Pil, non giovarono alla sua reputazione. Vedremo presto se i risultati saranno pari alle aspettative allegramente alimentate o se prevarranno i contraccolpi delle delusioni. Certamente siamo ad un anno zero della politica italiana, quasi una sorta di post-politica.

Diceva qualche settimana fa Ezio Mauro in un editoriale su Repubblica: “la grande semplificazione del populismo è continuamente scusata e riscattata da una radicalità che inganna, da un estremismo illusorio, e non ci si accorge che alla semplificazione del linguaggio corrisponde una spoliazione culturale, storica, identitaria, valoriale.”

Già, e passando nell’altro campo il meglio che si possa dire è che si naviga a vista. Non si può non constatare che il governo che muove i primi passi è proprio quello sognato ed agognato da Matteo Renzi, che dopo aver brutalmente affondato il principio di dialogo Pd-M5S, aspetta con i pop-corn in mano di registrare “i disastri” grillo-leghisti sperando di riabilitarsi nel Paese con un’opposizione fin troppo dura. Una teoria miope e probabilmente illusoria che conferma l’estraneità del ras di Rignano alla tradizione della sinistra storica che si è sempre mantenuta distante dalla logica del tanto peggio-tanto meglio.

Da qui al destino del Pd il passo è breve: ormai fallito il progetto del partito a vocazione maggioritaria e verificata l’incapacità di una discussione seria e approfondita sui gravi limiti e le sconfitte di questi anni, messe da parte le velleità di un fronte repubblicano a guida Calenda/Gentiloni, è opportuno prendere atto che nel Pd convivono ormai due partiti, quello a trazione renziana che punta a divenire un partito macroniano che eredita l’elettorato moderato di centro e di Forza Italia (in concomitanza del declino di Berlusconi), e la stagione renziana, se si guarda bene, è stata coerente con questa visione di fondo, l’altro partito è quello della sinistra riformista, umiliato ed emarginato dalla gestione del fiorentino persino dopo la sconfitta del 4 marzo, che ha uno sguardo più critico verso le gravi ricadute della globalizzazione e delle risposte sinora fornite, ma senza credibili prospettive. La domanda è: per quanto tempo potranno convivere 2 partiti così diversi e lacerati e che raggiungono fragilissime tregue dopo poco ore smentite? Potrà il Congresso sciogliere questo nodo?

Altri più realisticamente hanno preferito prendere atto da qualche anno che non c’erano più le condizioni, il risultato elettorale che hanno avuto è stato pessimo, e non se la passano per nulla bene, e tuttavia una domanda di rappresentanza a sinistra c’è e potrebbe rafforzarsi con il tempo se l’offerta risultasse più credibile e innovativa ed anche alla luce di contraddizioni e limiti che potrebbero presto emergere dalla prova di governo giallo-verde.

Ma è di un qualche interesse verificare anche i riverberi che le elezioni del 4 marzo hanno prodotto nella nostra città. La travolgente ondata grillina si è sentita anche a Mesagne portando in Parlamento il mesagnese avv. Giovanni Luca Aresta, candidato a sorpresa nel M5S. Un passato in Lab-dem, il neo-onorevole è stato eletto quando ha ottenuto la candidatura, al momento il governo non ha ancora mosso i suoi primi passi e non si può dare ancora una valutazione sul suo operato, per il momento si limita a girare sul suo profilo i post della propaganda grillina.

Il quadro politico a Mesagne dopo il voto ha avuto un discreto riassestamento e la Giunta ha finalmente avuto dopo lunga attesa il suo rimpastellum. Tutto bene dunque? Sembrerebbe di si, ma ad approfondire meglio il fuoco cova sotto la cenere e la situazione politica lascia abbastanza perplessi. Stiamo ai fatti.

Tre anni fa il sindaco Molfetta, appena insediato, formò una Giunta di assessori esterni sottolineando in pompa magna assieme ai suoi maggiorenti politici, il grande valore politico e di innovazione di quella scelta. Di quella Giunta tra dimissioni e sostituzioni non è rimasto più nessuno. Qualcuno può spiegare senza banalità le motivazioni dell’esito infausto di quella “stagione innovativa? Si è passati quindi dalla primazia dell’innovazione alla primazia delle rappresentanze politiche? Una correzione in vista delle elezioni amministrative prossime? Non ci sarebbe da scandalizzarsi, ma per quello che si intuisce, potremmo però sbagliarci, il Sindaco si appresta a concludere la legislatura e a consegnare la guida della città ad altri protagonisti.

Non è stato un percorso semplice quello della Giunta Molfetta, essa è rimasta per diverso tempo senza assessori, il Sindaco ha sopperito su molte deleghe, alcuni assessori sono stati tali per pochissimo tempo, tanti sono stati avvicendati più che nella precedente legislatura, difficile associare la girandola di assessori a una continua e solida attività amministrativa che infatti ha lasciato più di qualche falla nel suo cammino.

il quadro politico che ha accompagnato l’Amministrazione comunale è sempre rimasto indefinito e ambiguo: due uomini forti, nessun gruppo politico che facesse riferimento a movimenti o partiti nazionali, un trasversalismo che ha portato in maggioranza persino una destra subalterna. D’altro canto bisogna dire che sono rimaste incerte nel corso del tempo anche i riferimenti politici dei principali rappresentanti istituzionali: in genere le idee determinano una collocazione politica, se invece è il contrario e cioè la scelta non sempre definitiva di un’appartenenza di partito/gruppo/movimento fa scaturire una narrazione politica poi rimessa in discussione a stretto giro, a prevalere sono solo le ambiguità. Così dopo la fugace stagione di Leu, c’è chi è rimasto nel limbo e c’è chi è ritornato nel gruppo del governatore Emiliano proprio nel momento di massima contraddizione politica del presidente della Regione, autore di una prova di governo per la Puglia davvero sconcertante e deludente (sanità, Xylella, Ilva, etc) da cui cerca di sottrarsi alimentando polemiche politiche su scala nazionale.

Potrà sembrare strano dirlo, ma io penso che se nella nostra città il centro destra si riappropriasse del suo ruolo, il movimento grillino costituisse un riferimento amministrativo solido e credibile, se i nuovi e interessanti gruppi nati in questi anni si affrancano dal rischio del localismo asfittico, in questa città si potrebbe tornare ad avere un confronto di più ampio respiro politico rispetto alla melassa di civismo indistinto e trasversale che ha caratterizzato questa stagione politica.

Altrimenti il rischio che la città possa scivolare progressivamente verso una deriva brindisina (augurandoci che il capoluogo con le elezioni di giugno venga fuori dal vicolo cieco in cui si trova da troppo tempo) non è affatto esagerato: detentori di pacchetti di voti che contrattano le migliori condizioni al di fuori di un quadro politico coerente, la creazione di liste  a servizio personale e dalla debole impronta politica che con difficoltà si riuscirà a instradare su un terreno politico-amministrativo coerente e puntuale, accordi amministrativi contingenti e politicamente contraddittori.

Dopo le elezioni politiche il Sindaco era sembrato consapevole della necessità di avviare una nuova fase di confronto e approfondimento politico-amministrativo, ma il rimpastellum della maggioranza, con allegata dissociazione consiliare, si è limitato ad inserire i 4 nuovi assessori, Omar Ture per il gruppo Mesagne al centro, Maria Teresa Saracino per la lista Vizzino, Anna Maria Scalera per i gruppi controllati da Matarrelli ed Esperte, Roberto D’Ancona anch’esso facente parte della Lista guidata da Matarrelli.

Non basterà limitarsi a generiche dichiarazioni consiliari di apertura accompagnate da pratiche politiche che confermano logiche strumentali e furbesche perché si venga fuori dai limiti che la stessa maggioranza riconosce. Se una nuova fase si vuole davvero aprire, occorre maggiore coraggio, mettere da parte le ambiguità politiche e aprirsi a un confronto serio e senza condizioni precostituite.

Se tutto si deve limitare a una logica di sostituzione o cooptazione, se il consenso e le leadership si formeranno sulla capitalizzazione della debolezza sociale sempre più marcata e al di fuori di credibili e coerenti progetti politico-programmatici, costruire percorsi alternativi sarà più che doveroso e dignitoso.

Giovanni Galeone

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