Il ricercatore mesagnese Emilio Gianicolo, che lavora all’Istituto di biometria, epidemiologia e informatica dell’Università Johannes Gutenberg di Magonza, in Germania, ha pubblicato sul sito Salute Pubblica l’articolo che riportiamo qui sotto. Buona lettura
Le vicende belliche in Ucraina e l’interruzione delle importazioni di gas e petrolio provenienti dalla Russia hanno reso ancora più attuale il tema dell’approvvigionamento energetico.
Alcuni governi europei, per esempio quello tedesco e quello italiano, per fronteggiare la necessità di energia elettrica di famiglie ed imprese, hanno optato per un ritorno massiccio alla combustione di carbone. Uso questo che si stava avviando verso un drastico ridimensionamento a causa dei suoi considerevoli impatti. Si pensi per esempio agli effetti sanitari delle centrali Enel di Cerano (Brindisi) o Tirreno Power di Vado Ligure, ed al processo in corso a Savona per disastro ambientale e sanitario proprio contro i dirigenti della centrale ligure.
Accanto al ritorno massiccio al carbone, viene, inoltre, sempre più caldeggiata la produzione di energia nucleare. A sostenerne l’uso sono sia governi, come quello francese, sia partiti e movimenti politici. In Italia, prevalentemente i partiti di destra reazionaria o liberale.
Tra gli argomenti a favore del nucleare, sono citati spesso: la necessità di differenziare le fonti di energia, la necessità di svincolarsi da sistemi politici dittatoriali e la necessità di produrre energia in modo pulito ed in modo da contenere le emissioni di sostanze clima-alteranti.
Tra gli argomenti contrari si citano, invece, gli impatti sulla salute dell’esposizione a radiazioni tra i lavoratori delle centrali nucleari e tra le persone residenti nelle immediate vicinanze, la gestione delle scorie e la possibilità che le centrali siano, in caso di guerra, un facile bersaglio. Emblematica a tal proposito è la vicenda bellica attorno alla centrale nucleare di Zaporižžja in Ucraina.
Con riferimento agli effetti sanitari, recentemente un gruppo di epidemiologi italiani e tedeschi si è focalizzato sull’incidenza di leucemie infantili nelle vicinanze di centrali nucleari ed ha pubblicato alla fine di settembre del 2022 un articolo sulla rivista International Journal of Cancer, cheè consultabile al seguente indirizzo: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/ijc.34303.
L’associazione tra tumori infantili e residenza nelle vicinanze di centrali nucleari è un tema oggetto di studio da molti anni. Nel 1982, in Inghilterra, un documentario in prima serata fece molto clamore e destò allarme nella popolazione, in quanto studiosi indipendenti denunciavano in quel documentario il possibile legame tra l’insorgenza di tumori in età infantile e le emissioni dei reattori nucleari di Windscale. Sito già noto alle cronache per essere stato luogo, nel 1953, di uno dei peggiori incidenti nucleari della storia inglese ed europea. Successivamente alla trasmissione televisiva del 1982, il governo inglese affidò ad una commissione scientifica il compito di approfondire il tema e di condurre uno studio epidemiologico nei dintorni di Windscale. Seguendo l’esempio inglese, studi sono stati condotti nel tempo anche in altri paesi europei, negli Stati Uniti, in Canada, ed in Giappone. I risultati di questi studi non sono uniformi ed infatti la comunità scientifica non ha ancora raggiunto un consenso sull’associazione tra insorgenza di tumori infantili e residenza nelle immediate vicinanze di centrali nucleari. Al contrario, un maggior consenso si riscontra per quanto concerne i danni alla salute dei lavoratori delle centrali stesse.
Lo studio italo-tedesco appena pubblicato ruota intorno ad un annus horribilis per la produzione di energia nucleare: il 2011.
Il 2011 è l’anno della catastrofe nucleare di Fukushima. La centrale nucleare giapponese, a seguito di un terremoto, fu investita da uno tsunami, che provocò il blocco dei sistemi di raffreddamento dei reattori, a cui seguì la fusione dei reattori ed il rilascio in mare di elementi radioattivi. Oltre 150.000 persone furono evacuate. Alcuni di loro, a distanza di undici anni, non sono ancora potuti rientrare nelle proprie case.
Nel 2011, in Germania, il governo dichiara il cosiddetto Atomausstieg, ovverol’uscita programmata dal nucleare. Dinanzi al Bundestag, il nove giugno di quell’anno, Frau Merkel apre il suo discorso sostenendo che la catastrofe di Fukushima aveva rappresentato un punto di non ritorno nella storia della produzione di energia atomica. Quella catastrofe aveva mostrato al mondo la vulnerabilità perfino di un paese come il Giappone, tra i più forniti di tecnologie avanzatissime. E quanto sia impossibile da prevedere in tutti i suoi dettagli anche un rischio di eventi catastrofici ritenuto residuale, come appunto lo era stato lo tsunami del 2011, caratterizzato da un’onda più alta di quella messa in conto nella costruzione delle barriere difensive della centrale di Fukushima.
A seguito della decisione della cancelleria tedesca, parzialmente rivista in un passato molto recente, vi fu nel 2011 lo spegnimento dei reattori di sette centrali nucleari.
I ricercatori del Master di Epidemiologia dell’Università di Torino e dell’Institut für Medizinische Biometrie, Epidemiologie und Informatik dell’Università di Mainz con il loro lavoro hanno voluto rispondere alla domanda, se dopo lo spegnimento dei reattori nel 2011 vi sia stata una variazione nell’incidenza di leucemie infantili.
Punto di forza dello studio, oltre ad un disegno cosiddetto quasi-sperimentale, sono i dati del registro tumori infantile tedesco. Un registro che ha una copertura nazionale ed in passato già fonte di studi epidemiologici. Per rispondere alla loro domanda i ricercatori hanno confrontato le incidenze di leucemie infantili nel periodo dal 2012 al 2019 con le incidenze degli otto anni precedenti lo spegnimento.
Dopo la disattivazione dei reattori nel 2011 si registra tra le persone sotto i 14 anni, residenti entro 10 chilometri delle centrali nucleari, un lievissimo calo dell’incidenza di leucemie. L’incidenza di leucemia infantile è invece costante tra i bambini e gli adolescenti residenti in luoghi più distanti dalle centrali, più precisamente tra i 10 ed i 50 chilometri. Gli autori, inoltre, hanno riscontrato la persistenza di rischio nelle vicinanze della centrale di Krümmel, nel nord della Germania. Centrale nucleare oggetto sin dagli anni novanta di studi e di approfondimenti.
Lo studio italo-tedesco appena pubblicato ha delle limitazioni. Il periodo di osservazione non è sufficiente per trarre considerazioni conclusive sull’eventuale beneficio sanitario che può derivare dalla chiusura delle centrali. Inoltre, gli autori non hanno disposto di misure dirette di esposizione alle emissioni della centrale. Hanno potuto infatti solo osservare il fenomeno sanitario in zone più o meno vicine alle stesse. I risultati possono essere considerati comunque di interesse e suggeriscono la necessità di continuare a monitorare il quadro sanitario in particolare della comunità residente nei dintorni della centrale di Krümmel.
In conclusione, mi sovvengono due passaggi di un manoscritto dello scrittore e cardiologo Giorgio Bert, allievo di Giulio Maccacaro. Questi passaggi sono riportati in un articolo di Enzo Ferrara pubblicato sulla rivista Medicina Democratica (247/248). Scriveva Bert, che secondo Maccacaro, “Non esistono certezze assolute ma solo ipotesi più o meno ragionevoli: non c’è un solo modo di descrivere la realtà […] la visione binoculare è più completa di quella monoculare”. In un secondo passaggio scriveva della necessita di “scommettere sul cambiamento” ovvero di agire “come se un cambiamento in meglio” siapossibile.
Anche nel caso dello studio sulle centrali nucleari tedesche, per limiti oggettivi, non sarà l’occhio dell’epidemiologia a poter fornire una valutazione conclusiva ma è necessario attingere ad altri ambiti del sapere, non ultimo l’etica, per valutare complessivamente l’impatto di produzione di energia nucleare.
La scommessa per il cambiamento non può invece che essere sulla riduzione dei consumi energetici, sulle energie rinnovabili e sull’autoproduzione. Una scommessa che è più in generale sul dialogo, sulla ricerca di alternative, anche allorquando il potere ne cela l’esistenza. Qui intendendo il potere, citando ancora Bert, come “quella parte non secondaria di noi che ci porta a credere che esista una ed una sola descrizione della realtà: la nostra; che ci semplifica la vita distinguendo nettamente e senza la minima ombra di dubbio, i buoni (noi) dai cattivi (gli altri), il vero dal falso”.