La doppia preferenza di genere è ora realtà anche in Puglia. Il Governo ha varato oggi il decreto legge che introduce il sistema della doppia preferenza in vista delle prossime elezioni regionali, sanando di fatto la difformità dalla normativa nazionale.
Un sofferto punto di arrivo che segna nuovi punti di partenza. Sono sinceramente felice per l’obiettivo conquistato, sono tuttavia rammaricata per le difficoltà del percorso di approvazione, che ha dovuto allertare i poteri sostitutivi del Governo dopo la pioggia di emendamenti che ha investito la seduta del Consiglio regionale di martedì scorso. Ha vinto la prospettiva. Hanno perso le trincee dei pregiudizi.
Ora, anche la Puglia, oltre alla Liguria, andrà al voto a settembre con la doppia preferenza di genere. Un risultato destinato a correggere lo smisurato squilibrio di 5 donne su 51 dell’ultimo quinquennio, consentendo alla nostra Regione di integrare uno strumento che assicuri la qualità della rappresentanza. Una svolta storica che tuttavia non assurge, a mio avviso, a una rivoluzione culturale. Perché si tratta di un gap di civiltà che bisognava colmare, una distanza che tante Regioni avevano già azzerato.
La strada che conduce alle elezioni di settembre è finalmente in discesa. Chi ha gli interpreti migliori, senza più differenze di genere, punti a vincere la partita senza alibi e recriminazioni. La crisi sanitaria degli scorsi mesi ha esasperato il peso sociale sulla vita delle donne facendo emergere con bruciante, spietata evidenza quanta strada, purtroppo, sia ancora da fare per la parità. La vita pubblica è solo uno dei banchi di prova che attesta la distanza da un modello degno di essere chiamato paritario. Quella di oggi non è solo una conquista per le donne, anche se alla base ci sono movimenti e associazioni di genere, come il comitato «2votimegliodi1» che ha incalzato le istituzioni in questa che è una riforma di civiltà e cui va anche il mio sentito ringraziamento. È un punto decisivo per la democrazia e la democrazia è un bene e un valore per tutti.
Ma è solo uno step. Perché la strada non termina oggi ma prosegue verso il traguardo della parità di fatto: quella non scaturisce dalle regole o dalle leggi, seppure indispensabili, ma si compie con una rappresentanza culturale delle donne nelle istituzioni e negli organismi. Il Governo ha rimosso una volta per tutte un odioso vulnus e si avvia verso una rappresentanza che valorizzi il ruolo delle donne e, soprattutto, sia in regola col minimo sindacale della civiltà.