Home Politica “Fatto il deserto l’hanno chiamato pace” di Luca Debenedettis

“Fatto il deserto l’hanno chiamato pace” di Luca Debenedettis

da Redazione

Non esiste in tutta la storia contemporanea un luogo per il quale tale citazione calzi meglio. Dopo due anni di devastazione siamo effettivamente a un momento storico, ma non per quello che ci si aspetterebbe. Lo sarebbe se anziché fiancheggiare Israele, potenza occupante, la Comunità Internazionale l’avesse costretto a rispettare risoluzioni ONU vecchie di decenni. Se l’avesse obbligato a lasciar tornare i profughi cacciati nel ’48 alle loro case (Assemblea Generale – ris.194/1948), a ritirare il suo esercito e gli 800.000 coloni dai Territori Occupati (Consiglio di Sicurezza – ris.242/1967), a permettere la nascita di uno Stato di Palestina (A.G. – ris.181/1947) sui confini del 1967 con Gerusalemme est per capitale. Dopo ottant’anni di ingiustizie, si parlerebbe finalmente e non più a sproposito di pace.

Nulla di così lontano, invece. L’accordo firmato il 9 ottobre da USA, Egitto, Qatar e Turchia, con l’appoggio dell’Unione Europea, degli Stati arabi sunniti e la benedizione della Santa Sede, ma dal quale sono rimasti esclusi proprio i Palestinesi, è un ulteriore passo avanti nel progetto coloniale sionista.

“Colpa di Hamas”. “Uno stato di Palestina? Si ma senza terroristi”. Laddove “terrorista” designa genericamente chiunque opponga una qualche resistenza all’occupazione israeliana, inclusi ragazzi di 12 anni che lanciano sassi contro i blindati. Per la legge marziale vigente nei Territori Occupati dal ’67 anche loro sono dei terroristi. E per chi finisce in carcere ce ne sono altri meno fortunati: come il piccolo Mohammad Bahjat al-Hallak, 11 anni appena, freddato con una pallottola all’addome a Hebron lo scorso giovedì.

Al netto dei ben pensanti rimasti in letargo fino al 6 Ottobre 2023 è veramente un paradosso che si chieda il disarmo di un movimento di liberazione, truce per quanto sia ma pur sempre legittimato alla lotta armata dal Diritto Internazionale, e non si giudichi in alcun modo una potenza militare che in totale impunità bombarda da anni luoghi e funzionari di paesi come Libano, Siria, Iran e Yemen, e che ha appena condotto un genocidio, riportando una Striscia di terra “all’età della pietra” (cit. generale Benny Gantz).

Ad Aprile, le Nazioni Unite stimavano in 436.000(1) le case distrutte in toto o in parte dall’IDF, alle quali se ne sono aggiunte altre 81.000 della sola Gaza City(2) fatte saltare in aria nell’assalto finale di settembre. Ipotizzando pure che tutti e 67.000 i palestinesi ammazzati (in un futuro censimento emergerà la vera catastrofe) fossero uomini di Hamas, starebbe a significare che per ogni abitazione, dimora di un miliziano, bombardata Israele ne avrebbe distrutte altre 7 nelle quali di miliziani non ce ne erano.

Dato che le organizzazioni umanitarie stimano le vittime civili all’83% del totale, il reale rapporto tra edifici colpiti nei quali si annidava un miliziano e altri in cui non ce ne erano affatto schizzerebbe a 1 su 42. Dunque, statistiche alla mano, per ogni palazzina bombardata in cui era presente un singolo combattente di Hamas l’IDF ne ha rase al suolo altre 42 che ospitavano solo CIVILI.

Se poi si pensa che, parallelamente, il Mossad è riuscito ad individuare e ammazzare il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, in un appartamento di Teheran distante 1.800 km da Tel Aviv, risulta ancora più evidente come fin dal principio Israele avesse realmente come “unico scopo: distruggere Gaza!” (parola di ex ambasciatore israeliano in Italia).

Eh, ma se Israele avesse voluto, avrebbe bombardato tutto”. Perché, non è forse quello che ha fatto? Gli restava solo da sganciare una delle 200 atomiche del suo arsenale nucleare, come peraltro ventilato dal Ministro Eliyahu già a novembre 2023. Non lo ha fatto unicamente per non dover rinunciare all’agognata ricolonizzazione della Striscia.

E adesso tutti a parlare di ricostruzione. Per chi? Per i Palestinesi? Cioè, non gli abbiamo salvato la vita quando potevamo farlo e gli vorremmo costruire casa più bella di prima? Li si è lasciati sterminare per due anni e ora ci fingiamo filantropi? Abbiamo ridotto la gioventù di Gaza nella più grande comunità di amputati al mondo e adesso facciamo i soccorritori di bambini?

Piuttosto, come pensiamo di ricostruire santuari e moschee antichi di secoli disintegrati da bombe da una tonnellata? E una volta costruita la nuova Gaza, moderna e irriconoscibile, che si farà? Dovremmo davvero credere che quegli appartamenti nuovi di pacca verranno donati agli sfollati? O, molto più verosimilmente, verrà messo tutto in vendita secondo leggi di mercato e se li papperà chi avrà la grana, mentre chi non avrà più nulla, vale a dire TUTTA LA POPOLAZIONE PALESTINESE, dovrà trovarsi un altro posto? Allora, non sarà forse un preambolo alla definitiva reclusione dei nativi in stile riserve indiane del nord America?

E questo lo chiamiamo “accordo storico”?

  • Gaza: Destruction of vital lifting gear halts search for thousands buried under rubble – UN-News, 22 aprile 2025
  • Jacob Magid, 83% of all buildings in Gaza City destroyed in Israeli operations, UN analysis finds – The Times of Israel, 8 ottobre 2025

 Luca Debenedettis- Comitato contro il genocidio del popolo Palestinese, contro il riarmo e per la Pace – Brindisi

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