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Francesco Rogoli confermato alla guida del Pd di Mesagne, Fusco eletta segretaria provinciale

da Cosimo Saracino
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Il segretario uscente del Circolo di Mesagne del Partito Democratico, il giovane studente mesagnese Francesco Rogoli, è stato riconfermato dall’assemblea degli iscritti. Due giorni di discussione e votazione nella sala di vetro di Parco Potì hanno delineato il futuro del partito renziano nella nostra città. L’occasione è stata utile anche per votare il segretario provinciale. La signora Rosetta Fusco è stata eletta alla segreteria provinciale del partito dopo un lungo periodo di commissariamento.

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Ecco l’intervento del segretario cittadino Rogoli ai lavori congressuali.

Abbiamo l’occasione di celebrare questo nostro congresso mentre ricorre il decennale della nascita del Partito Democratico e dovremmo a mio avviso approfittare per fare il punto sull’utilità di questo strumento e su ciò che dobbiamo fare per renderlo funzionale ad affrontare le sfide, enormi, che si parano davanti a noi. Dal 2007 ad oggi questo partito ha rappresentato l’elemento che, pur tra limiti e insufficienze determinati anche dalla contingenza storica ed economica della grande recessione, ha tenuto il Paese ancorato all’Europa, evitando così che l’Italia perdesse i suoi principali connotati storici ed insieme la possibilità di determinare negli anni a venire il suo ruolo di protagonista nel mondo nuovo. Un mondo dove non mancano stridenti contraddizioni e dove la democrazia ha un ruolo sempre più residuale, un mondo in cui il capitalismo, rotto in maniera definitiva il compromesso con il mondo del lavoro, sposta con velocità impressionante capitali, che certo contribuiscono a far uscire dalla povertà assoluta milioni di uomini, ma al caro prezzo dei diritti e riproponendo sulla scena, dominata per decenni dalla pace, una pericolosa equazione tra politica e guerra che minaccia con sempre più forza il futuro dell’uomo.

Un quadro nel quale avanzano e ritrovano vigore nemici giurati della pace come il protezionismo, il razzismo, un neo – mercantilismo di stampo nazionale che costituiscono una pericolosa illusione per un ceto medio impoverito dalla crisi e privato delle certezze che il secolo scorso aveva portato in dote. In questo contesto paradossale, il Presidente delle Repubblica Popolare Cinese esalta il ruolo della globalizzazione e l’inquilino della casa bianca al grido di “Make America Great Again” invita ad un arroccamento dentro i confini nazionali, abbandona i trattati mondiali sull’ambiente facendo leva sul sogno di nuova occupazione per gli americani.
E’ cosi che il dibattito pubblico è dominato da colossali menzogne prive spesso di ogni fondamento scientifico e date in pasto a cittadini che hanno sempre meno strumenti a loro disposizione per valutare (anche se potrebbe sembrare il contrario). In un quadro che alimenta una mentalità cospirazionista e contro la scienza (valga per tutti l’esempio della lotta contro i vaccini), e in cui è incessante l’opera di delegittimazione del potere politico e di “mercatizzazione” della vita, è venuta in discussione la stessa democrazia rappresentativa con gli strumenti di cui essa si era dotata. E’ allora su questo tema che resta valida per oggi e per il futuro l’idea fondante del Partito Democratico, è su questa frontiera che resta viva la sua ragion d’essere. Certo non mancano i limiti e inutile sarebbe negarli, ma questo non può far cessare l’impegno verso la formazione di una nuova cultura politica, di un asse politico – culturale di riferimento che rappresenti il perimetro dentro cui storie diverse possano convivere con eguale dignità forti di una causa comune di portata storica.
Dopo tutto cosa è un partito se non un’entità storico culturale e cosa è la politica se non storia in atto? Se questo è, ed a mio avviso questo è, noi dobbiamo guardare al compito che la storia ci ha assegnato e che oggi corrisponde a dare rinnovato vigore alla democrazia seriamente messa in discussione dalla perdita di certezze dalla distanza che si è acuita tra chi era povero ed è diventato più povero e chi era ricco ed è diventato più ricco. Allora bisogna cogliere la domanda di rappresentanza di molte e di molti che emerge da questa drammatica questione sociale dentro la quale tanti si sentono oramai privi di ogni riferimento politico e destinati alla marginalità. Chi è il legislatore e cosa rappresenta? Quale insieme di diritti, bisogni, aspirazioni? Nella sua breve vita il Partito Democratico ha già provato a dare una risposta per via istituzionale a queste domande e lo ha fatto attraverso la proposta di riforma costituzionale poi bocciata dal referendum del 4 Dicembre 2016, per ragioni di cui tanto si è parlato e sulle quali è inutile tornare in questa sede.

Al netto del fallimento sul piano elettorale, però, in quel momento il popolo italiano ha assunto una funzione ri-costituente partecipando in massa a quella consultazione con la convinzione di determinare qualcosa. Io penso che il PD non debba sottovalutare questo tratto di quella grande partecipazione popolare ed anzi deve da li ripartire per rispondere alla domanda di nuova rappresentanza e di ricerca di un riferimento politico. Il tema, a partire dal mondo del lavoro è come si da voce ai tanti precari, a chi è ancora fuori pur non essendo più giovane, a chi un posto ce l’ha ma le sue aspettative sono incerte per via di una rivoluzione tecnologica che, lungi dall’essere vissuta come una minaccia, rischia di espellere nuovo capitale umano. Sarebbe ingeneroso negare i risultati che pure si sono raggiunti negli anni del Governo del Partito Democratico, il segno più davanti all’andamento del PIL, le stime della crescita riviste al rialzo, l’aumento della produzione industriale, i circa 900 000 nuovi occupati, la disoccupazione in calo per la prima volta dall’inizio della crisi; e ancora l’avanzamento sul terreno dei diritti civili, la legge contro il caporalato, il dopo di noi che da speranza a tanti ragazzi che ci sarà sempre qualcuno che si prenderà cura di loro, il fondo per le non autosufficienze aumentato, l’autorità nazionale contro la corruzione e il codice antimafia di recente approvazione, gli investimenti con industria 4.0 che stanno producendo qualche risultato interessante. Non sono mancati anche errori, ma nel complesso questo avanzamento è stato possibile grazie al ruolo che il “giovanissimo” Partito Democratico ha svolto negli anni tremendi della crisi, mostrando di aver mantenuto quel tratto di responsabilità nazionale che il principale partito della sinistra ha sempre mostrato nei passaggi difficili e delicati della Repubblica.

Occorre però non dimenticare ora i molti, ancora tanti, che sono rimasti fuori, non bisogna perdere di vista il dramma di tante famiglie dove i figli che non hanno più l’età per fare i figli vivono una condizione di profonda incertezza, non bisogna dimenticare chi non è più sotto la tutela del welfare ma ugualmente non ha i mezzi per camminare con le proprie gambe, chi vive in condizioni di abbandono dentro periferie dove nascono contestualmente legittime paure, una domanda di sicurezza e una necessità impellente di favorire percorsi di integrazione. Con questi “mondi” non parla nessuno e il Pd deve stare lì su quelle frontiere, è lì che ci giochiamo il futuro e la qualità della nostra democrazia. E’ difficile in queste condizioni richiamare alle responsabilità che comporta la democrazia almeno quanto lo è rispondere al diritto di avere diritti, ed è perciò che io auspico che il PD nei prossimi dieci anni si doti del carattere dei suoi padri, e dei padri costituenti in generale, i quali “educarono” masse di indigenti e analfabeti al rispetto e al riconoscimento delle istituzioni democratiche. È dentro questo solco che dobbiamo costruire il profilo politico e culturale del partito democratico, e per farlo occorre stare dentro il conflitto sociale in atto con coraggio e correndo dei rischi.

È qui che dobbiamo ricostruire un sistema di alleanze dentro la società, restituendo credibilità al patto con i giovani che si formano ma poi sono costretti ad andare via per coltivare le loro speranze e ambizioni, nelle reti associative, nelle organizzazioni, nel mondo del lavoro dipendente ma anche delle autonomie, delle professioni e delle piccole imprese. Per farlo abbiamo bisogno di una capillare organizzazione territoriale nella quale si promuovono gruppi dirigenti selezionati sulla base della capacità di stare a contatto con questi problemi, che abbiano a cuore il destino di chi è rimasto indietro, una sorta di “simpatia umana” come l’avrebbe chiamata il più grande pensatore della sinistra italiana del 900, abbiamo bisogno di donne e uomini che non rinuncino ad uno sforzo di approfondimento necessario per aggredire in tutta la loro complessità i problemi di cui parliamo. Per questo qui ed ora a partire dalla nostra provincia dobbiamo profondere uno sforzo importante per ricostruire il nostro partito, per renderlo strumento utile ai cittadini, per organizzare “l’intelligenza di chi è senza potere”. Restituire insomma alla politica nel nostro territorio credibilità, disinteresse per carriere personali, tornare a coltivare la serietà di un impegno che pur essendo svolto con competenza e preparazione non diventi un mestiere, perché a quel punto alla preparazione, alla lealtà, al bene comune si sostituisce approssimazione, fedeltà e amor proprio. Noi invece abbiamo bisogno di una leva di dirigenti che si occupi del PD e attraverso il PD dei territori, dei problemi concreti e quotidiani, con sguardo lungo e dentro una visione d’insieme di sviluppo economico, sociale e culturale che emancipi chi sta ai margini e dia possibilità a chi sa correre di suo. Credo sia principalmente questa la finalità che dobbiamo assegnare a questo congresso provinciale, ricostruire il partito circolo per circolo, ridefinire a livello locale alleanze coerenti per governare città e territorio a partire dalle prossime elezioni amministrative che vedranno impegnati amici e compagni di comuni molto importanti. L’assenza di discussione e di elaborazione nel partito democratico ha pesato sulla marginalizzazione di Brindisi nel governo regionale, non poche sono le questioni che lo dimostrano: ultima in ordine di tempo la vicenda che riguarda l’aeroporto con l’apertura alla possibilità di portare i voli civili a Grottaglie di fatto stravolgendo la strategia oramai consolidata nel tempo di portare a Grottaglie la produzione e a Brindisi i voli civili, scelta che minerebbe le potenzialità di crescita del nostro aeroporto e di quello di Bari; e poi ancora il piano di riordino ospedaliero: non è accettabile che Brindisi sia l’ultima provincia pugliese nel rapporto tra posti letto e abitanti, con i nosocomi che chiudono e il Perrino congestionato curarsi rischia di diventare un lusso per pochi, a maggior ragione se si comincia a ipotizzare con una certa disinvoltura che l’ingresso dei privati nelle strutture dismesse e ancora non riconvertite non è un fatto rilevante o di cui cominciare legittimamente a preoccuparsi.

È stridente la contraddizione con i dati che testimoniano quanto ormai molte persone rinuncino alle cure per motivi di carattere economico. Certo questo è un territorio che ha le sue responsabilità, ma un PD riorganizzato che ritrovi la capacità di autodeterminarsi deve aprire con il Presidente Emiliano una discussione leale ma franca: questa provincia, i suoi comuni, a partire dal capoluogo, meritano protagonismo nelle politiche regionali che è molto di più della rivendicazione di un assessorato, che certo non guasterebbe fosse anche solo un fatto simbolico, ma il terreno di discussione è l’uguaglianza in termini di diritti e opportunità dei cittadini brindisini rispetto al resto dei pugliesi. Il Pd ha bisogno di riorganizzarsi perché non può mancare la sua voce sulle scelte di una certa portata che in questo territorio bisogna compiere. Ci sono orami linee di produzione che hanno esaurito la loro funzione, messe fuorigioco anche da trattati internazionali. Se non avremo la capacità di determinare il nostro futuro saranno altri a farlo per noi, altre autorità politiche ed economiche così come fu con il primo processo di industrializzazione. Allora non c’è altro tempo da perdere, occorre in fretta provocare una discussione chiamando tutti i protagonisti a misurarsi con il tema di quale deve essere la vocazione di questo territorio.

L’indagine epidemiologica commissionata dalla regione ci ha consegnato dati preoccupanti, che come abbiamo letto nell’intervento del dottore Indolfi poche settimane fa non sono una novità, già più di dieci anni fa, grazie alla sensibilità e alla solerzia di amministratori capaci, a Mesagne un’indagine nell’ambito del progetto citta sane aveva rivelato dati simili ed in particolare lo stesso nesso di causa effetto tra la condizione sociale disagio e l’esposizione a determinate malattie. C’è materia di lavoro per le amministrazioni su questioni quali la vivibilità dei centri urbani, su politiche di moderazione del traffico, sugli stili di vita. Certo paghiamo anche un prezzo al carbone, ma non è dietro questo che dobbiamo nasconderci per non affrontare i problemi che ci sono qui ed ora e riguardano la condizione di vita quotidiana delle persone. Questo, insieme al tema di come guidare la decarbonizzazione, è un tema che anche a Mesagne dovrebbe vedere impegnate su un fronte comune tutte le istituzioni della città. È uno di quei temi sui quali noi abbiamo il dovere di avanzare e promuovere iniziative, in un rapporto dialettico e nell’esclusivo interesse della città, con la compagine amministrativa. È importante che oggi sia presente il Sindaco Molfetta che saluto e ringrazio per questa presenza non scontata.
Noi porteremo a termine il mandato che gli elettori ci hanno assegnato e dalla dalla posizione che gli elettori ci hanno chiesto di occupare e cioè dall’opposizione, ma siamo altrettanto fermamente convinti che esista una civiltà del confronto politico il quale può anche prevedere posizioni diverse ed inconciliabili, come in molti casi in questi due anni, ma deve vedere le istituzioni interamente impegnate a servizio della città. Devo ammettere che non molte sono state in questi anni le occasioni di partecipazione e di confronto sui problemi della città, ma noi Sindaco siamo un partito che questa città l’ha governata e non saremo mai quelli che pur di farle uno sgambetto si mettono di traverso ad un risultato da traguardare. Abbiamo risorse, intelligenza, esperienze amministrative e generosità a sufficienza per approfondire temi individuare terreni di iniziativa utili alla città. A noi il compito di farlo a lei Sindaco quello di cogliere la bontà di uno sforzo da parte di chi fin dall’inizio non ha condiviso la natura del suo progetto politico ed oggi continua a coglierne i limiti. Uscire dall’isolamento per noi deve significare riappropriarci delle questioni complesse e stimolanti che investono il governo della città. Dall’uso e l’assetto del territorio che merita un serio impegno di studio e anche di immaginazione su quello che deve diventare Mesagne nel futuro. Occorre ancora consumare suolo? è urgente adeguare gli strumenti urbanistici ai piani sovraordinati? Non è forse venuto il tempo di pensare a nuovi strumenti urbanistici che riprogrammino lo sviluppo della città cogliendo l’appuntamento con gli aspetti ambientali e di vivibilità che riguardano il futuro?

Noi riteniamo che questo sia una questione da affrontare subito, assieme a quella della mobilità urbana e della viabilità oramai insostenibile nel centro abitato. Occorre un’azione e una pressione politica importante e costante sul completamento di opere come la circonvallazione alla luce delle quali va ripensato e programmato il modo in cui i mesagnesi si spostano e si muovono nelle maglie del centro abitato. Si è riproposta in tutta la sua emergenza ultimamente la discussione sullo sviluppo economico della città, in particolare a cavallo dell’approvazione del PIP e dell’autorizzazione a procedere dell’ampliamento del parco commerciale. Una scelta più dettata dall’emergenza, superando anche le perplessità della regione, pur di cogliere un’occasione che si temeva di perdere. Questa scelta si inserisce in una mancanza di programmazione e di una discussione pubblica che impegni le migliori risorse della città sul nostro futuro produttivo almeno per quella parte che ci compete. Eppure una discussione di questo tipo era stata auspicata e sollecitata nella fase di adozione del PIP. E in quell’occasione il dibattito aveva sfiorato la cittadella della ricerca e l’indotto che si pensava di costruire intorno con realtà produttive eccellenti che qualche anno fa si sono insediate qui e non altrove per quella significativa e qualificante presenza. È un filone da abbandonare? Io credo di no e penso anzi che bisogna mettere la questione al centro di un’iniziativa seria, paziente che non guardi a risultati nell’immediato ma nel medio lungo termine. A queste e ad altre questioni noi pensiamo quando diciamo con forza che le visioni e le idee sono necessarie alla base di un progetto politico. Visioni e idee provengono da identità che, lungi dall’essere un peso, distinguono le soluzioni ai problemi uguali per tutti e definiscono il profilo politico e culturale di un partito, di una coalizione di partiti. Noi riteniamo che con meno di ciò il rischio concreto è di concentrarsi su un eterno presente destinato ad una ordinaria e non sempre buona amministrazione. Anche i problemi piccoli e quotidiani vanno risolti dentro una cornice più larga. Noi vogliamo dare questo contributo alla politica locale, forti della nostra storia e delle nostre identità, pronti anche a contaminarci e a confrontarci alla luce del sole e per obiettivi chiari quando sarà necessario. Ma riteniamo che di questo contributo, morale, civile, etico vi sia bisogno prima che anche in una città come Mesagne che spesso è stato l’ultimo avamposto rispetto a episodi di degenerazione, di trasformismo e di carrierismo si perda la bussola. Saremo qui per provare a dare un riferimento politico a tanti cittadini che sentono di non averlo, e per tornare dove ho cominciato questo discorso, a dargli voce e rappresentanza, a farli sentire parte di un progetto comune, a riconoscere l’importanza e il rispetto delle istituzioni democratiche dei luoghi della partecipazione politica.

Siamo convinti che non c’è morbo peggiore per una città e per un Paese della consapevolezza che il male sia diffuso ovunque e non si può guardare a niente e nessuno con la speranza di alleviare i propri problemi. Allora è questo amici e compagni il compito alto è nobile che ci tocca svolgere, per dirla con Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio

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