Quanti insegnamenti si possono trarre da questa ultima triste pagina di cronaca politica italiana non solo per la pochezza politica e morale del ex leader 5S ma per quello che ciò significa in profondità e per gli scenari futuri. Illuminante in tal senso mi è sembrato soltanto la lettura che ne ha data Domenico Gallo (il Fatto Quotidiano il 29 giugno 2022 https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/06/29/con-di-maio-e-natoun-mini-cossiga/6643340/ perché mette il dito nella piaga della fragile democrazia italiana ed io aggiungo proprio su questo altre mie considerazioni.
Innanzitutto per farmi una mia idea e per giudicare gli avvenimenti politici osservo sempre chi esulta e chi è mortificato e poi, subito dopo, come fosse lo zoom di un obiettivo, provo ad allontanarmi da ciò che è accaduto oggi per vedere se c’è un “filo” (in questo caso “nero”) che si collega con qualcosa avvenuta ieri.
Guardando a chi esulta, a mio giudizio, viene fuori una Italia politica del 2022, da Di Maio a Meloni, passando da Letta, Renzi, Berlusconi e Salvini, rappresentabile in un “unico” grande partito mimetizzato dietro divisioni fittizie o marginali ma che vede tutti questi soggetti impegnati ad eseguire lo stesso “spartito”, esaltando ad arte le distinzioni sui diritti civili o su tematiche che meglio distraggono l’opinione pubblica (vedi immigrazione), ritrovandosi invece alla perfezione nell’obbedienza alle direttive del “Pensiero Unico” in tema di Economia e di Guerra. Tutti insieme, questi partiti e partitini, raccolgono (quando si riesce a votare) solo 1/3 dei voti dell’elettorato attivo ma si atteggiano a maggioranza nel Paese, spalleggiati come sanno bene sia dalla grancassa della Informazione e sia dalla pigrizia e dall’egoismo del moderatissimo elettorato italiano che non vuole cambiamenti per non correre il rischio di stare peggio.
Se poi si allarga lo zoom per “vedere” nel tempo cosa è accaduto in Italia, ci si accorge che veniamo da decenni di “unità” effettiva celata dietro una “instabilità” fittizia al fine di trasmettere l’idea (riuscendoci alla grande) che i problemi del nostro Paese sono stati causati proprio dai continui cambiamenti, così come sembrerebbe testimoniato dalla sfilza infinita di Governi che si sono succeduti tra loro. Ma basta una lettura più attenta per rammentare agli smemorati che la Dc ha governato ininterrottamente, coi suoi vassalli, fino a Tangentopoli (1946-1994) e quando Mani Pulite ha comportato una frantumazione del quarantennale sistema politico si è provveduto rapidamente a ricomporlo con la creazione “dal nulla” di Lega e Forza Italia che, sotto mentite spoglie, hanno continuato largamente a rappresentare gli interessi della Italia corrotta ed egoista annidata per anni nel ventre gonfio del pentapartito del secolo scorso. La caduta del Muro di Berlino provocò poi l’implosione del Pci (il più votato di Europa ma “congelato” all’opposizione lasciando ad esso solo la guida di Regioni ed Enti Locali e “assorbendolo” in una gestione consociativa che ne attenuasse le differenze) ed ha favorito un progetto che sarà sembrato inimmaginabile agli occhi degli stessi “Poteri Occulti e Forti” italiani ed esteri: governare l’Italia, proprio nel momento di massima crisi, senza nessuna autentica opposizione.
E così il primo vero punto di rottura di un sistema consolidato, fatto di presenza nelle sedi politiche e in quelle burocratiche sempre delle stesse persone o loro fiduciari, che aveva ininterrottamente governato l’Italia per decenni fu prontamente saldato. Nacquero partiti “nuovi” per ospitare politici “vecchi” all’insegna del grande trasformismo all’italiana abile nel fare “confusione” senza mai modificare gli equilibri che contano. Un po’ come accade oggi col gran parlare delle “liste civiche” spacciandole per luoghi dove confluisce la società civile e invece altro non sono che “abiti” che i politici di sempre si confezionano su misura per riciclarsi.
Si avversarono poi “case delle libertà” e “ulivi” per altri 20 anni, sempre per avvalorare la tesi di un Paese dai governi instabili che aveva bisogno di “nuove e stringenti regole” che curassero questo male oscuro. E da lì a cascata riforme costituzionali (alcune partorite e altre ostacolate) tutte pensate per arginare la più avanzata Costituzione d’Occidente anziché spendersi per applicarla al meglio. Col medesimo obiettivo si realizzarono riforme del sistema elettorale, prima con la introduzione del maggioritario (col mantra, ripetuto in maniera ossessionante, che finalmente gli elettori potevano sapere chi fosse il vincitore, come se ci fosse vera alternanza di persone e programmi) e poi con la più grande vittoria dei partiti sui loro elettori: le liste bloccate. In modo soft all’inizio attraverso la scelta, operata sempre dalle segreterie romane, dei candidati nei seggi uninominali e poi, in una escalation senza pudore (unanime), con i “parlamentari nominati” dalle segreterie prima ancora di votare, innescando una gara al ribasso per scegliere le persone più servili e ricattabili che via via hanno occupato il Parlamento.
Due riforme sono emblematiche e vanno ricordate per il clima “drogato” ad arte che coinvolse la stragrande maggioranza dei cittadini su quesiti farlocchi. Noi più grandi non possiamo dimenticare la sbornia del maggioritario, propagandato come panacea di tutti i mali, e l’ascesa inarrestabile della meteora Mario Segni: nel 1991 la sua proposta risultò vittoriosa col 96% dei voti. Mentre è storia di ieri l’altro straordinario diversivo con la sforbiciata al numero dei membri da eleggere in Parlamento, guardandosi bene dal ridurre i privilegi ma solo i privilegiati.
A scoperchiare definitivamente il gioco sporco della falsa “instabilità” italiana ci ha pensato poi la crisi economica, aggravata dalle politiche iperliberiste di Bruxellese tradotte senza alcuno spirito critico dai politici nostrani. Una crisi che ha messo in ginocchio il Paese costringendo la “politica” a rendere palesi le finora occultate “larghe intese” anche nella formazione dei governi.
In questo scenario di immutabilità, di degrado della politica, di esplosione della corruzione e della criminalità pervasiva in economia e istituzioni, con una condizione di sempre maggiore “povertà” nella Italia reale, con la sinistra (di qualsiasi denominazione) tragicamente e colpevolmente crollata è nato il fenomeno dei 5 Stelle i quali hanno saputo meglio di tutti intercettare questa marea di malcontento popolare che saliva dal Paese e che non trovava interlocutori nel Palazzo. Il Movimento ha rappresentato pertanto “oggettivamente” una discontinuità perché, aldilà delle loro inadeguatezze, proprio la folla di “carneadi” (dal vocabolario una persona priva di fama, mai sentita nominare, di poco conto) entrati nel Palazzo finora “proibito” ha segnato un potenziale elemento di “rottura” con lo status quo italiano ultradecennale.
I “poteri forti” lo hanno capito benissimo avviando fin da subito una azione demolitrice tristemente, e forse definitivamente, andata a segno in queste ore. L’attenzione ai bisogni della gente è diventato “populismo”, nominare il popolo e le ingiustizie quotidianamente subite diviene uno scandalo, prevedere, come prescrive la Costituzione, sostegni economici a chi si trova in difficoltà si trasforma in aiuto ai parassiti nullafacenti, e via di questo passo. Trovare un politico che non si vergogni di difendere il popolo sofferente diviene una rarità.
Un conformismo ed una omologazione paurosa che ha pesantemente condizionato anche (lasciatemi passare il termine) i “poteri deboli” (cittadini democratici e progressisti, sinistra estrema e moderata) i quali hanno esercitato, verso i 5S, la loro migliore “virtù”: la supponenza, prendendo le distanze, disprezzando e dileggiando ogni germe di novità, bocciandoli pregiudizialmente. Tra tutti emblematica è stata la timidezza ed i distinguo con il quale fu accolto il Reddito di cittadinanza e come oggi viene contrastata l’offensiva liberista che sta sterilizzando la portata innovatrice del provvedimento stesso.
C’è stata così una quasi unanimità che ha visto uniti “vertici” e “base” dei cosiddetti “progressisti”, nel mostrare il proprio disprezzo verso i “carneadi” in quanto ignoranti e incompetenti. E faceva impressione ancor di più questo giudizio di valore proprio perché avveniva nella stagione più modesta non solo nelle qualità etico-politico dei leader e dei partiti ma anche della società civile, stracolma di gente che si “vende” per una ambizione, per un incarico, per un compenso, con soggetti capaci di scrivere e dire cose meravigliose ma agendo esattamente al contrario.
Se invece nell’area progressista si avesse avuto più a cuore l’interesse generale del Paese non sarebbe stato difficile accorgersi che, dopo il naufragio della svolta innovatrice provocata da Tangentopoli ad inizio anni ‘90 (simbolica l’evoluzione dalle monetine gettate a Craxi dal popolo inorridito seguito, 20 anni dopo, dalla vergognosa riabilitazione) non era mai stato così vicino un elemento “dirompente” che sparigliasse e riaprisse, con la “Politica” esercitata al meglio, scenari di autentico cambiamento nella “musica” e nei “musicisti”.
Quel punto di rottura che i 5S potevano rappresentare non è stato valorizzato (tranne rare eccezioni, tra tutti Bersani) da chi in Italia autenticamente lavora per il cambiamento, unificando gli sforzi per contrastare il potentissimo “Partito Unico” e costringendolo a scendere a patti. Senza attendere rivoluzioni che mai giungeranno ma “attenuare” quanto più è possibile la forza devastante di chi governa il Paese da sempre e non ha mai fatto entrare nessun “carneade” nei luoghi che contano. L’avversione dell’establishment per Giuseppe Conte è inversamente proporzionale alla empatia stabilita col popolo e meglio di queste mie interminabili riflessioni ne riassume il senso. Ma purtroppo quello che resta della sinistra (leader o popolo) ha preferito (lasciatemi passare la abusatissima metafora) “guardare il dito e non la luna”, a guardare cioè più i limiti del Movimento che la fase storica che si apriva in Italia, ritrovandosi – forse ben aldilà delle proprie intenzioni – a pensare e a scrivere sui 5S le stesse cose della destra più retriva.
Non che i 5S fossero privi di contraddizioni e né si sono indeboliti (o stanno per dissolversi) solo per l’attacco concentrico ricevuto. Come la stragrande maggioranza di tanti politicanti e di tanti cittadini comuni anche tantissimi di loro si sono lasciati sedurre con eccessiva facilità dall’ubriacatura del potere e dall’attaccamento agli stipendi notevoli. Mentre sul piano dell’agire politico l’acritica accettazione (come tutti gli altri anche qui) di essere “guidati” (comandati?) da un leader che può decidere tutto forse risulterà la causa primaria della loro afasia. Così come l’allergia verso la “politica” (ripetendo anche loro, come insegna il “pensiero unico”, che destra e sinistra non esistono più), dichiarando in più occasioni che l’unico scopo della loro azione è “risolvere” i problemi, ignorando (consapevolmente o meno) che le soluzioni, a seconda di che interessi privilegi, possono essere plurime e opposte tra loro, rendendo necessarie scelte di campo, visioni, letture critiche e punti di vista. La Guerra in Ucraina e i diktat dell’Alleanza Atlantica ne sono un fulgido e drammatico esempio.
Il fortissimo ridimensionamento della esperienza pentastellata porta quindi con sé conseguenze che dovrebbero amareggiare (e chissà forse far pentire) i “cuori puri democratici” anziché farli gongolare. Passeranno adesso molti altri anni prima di far democraticamente “scendere” dai “Palazzi” i “soliti noti” che dal dopoguerra ad oggi “malgovernano” l’Italia. In questo momento, e chissà per quanto ancora, non si profila nessuna organizzazione politica capace di raccogliere un significativo consenso popolare necessario al fine di essere rilevanti, e quindi “fastidiosi”, e impensierire i padroni del vapore. Ed il sottoscritto nato e cresciuto nella sinistra radicale quando vede l’ennesimo partitino che nasce, mostrandosi verdi fuori e rossi dentro ostentando i cocomeri, con gli attori di sempre che hanno distrutto quegli stessi colori e sgomitano tra loro in continuazione per uno strapuntino, mi confermo che per una speranza di cambiamento occorre ancora attendere molto.
Mesagne, 7 luglio 2022
Giancarlo Canuto