Il mesagnese Emilio Gianicolo, epidemiologo che da anni lavora e insegna presso l’Istituto di biometria, epidemiologia e informatica dell’Università Johannes Gutenberg di Mainz, città tedesca sul fiume Reno è stato intervistato dall’Huffingtonpost sulla situazione tedesca. La Germania si prepara a trasferire i pazienti all’estero. Il carico degli ospedali è immenso “e le persone non ce la fanno più”: l’allarme arriva dal Baden-Wurttemberg, il land al confine con Francia e Svizzera, dove i malati di Covid-19 potrebbero essere accolti oltre che in Lombardia, che ha già dato la sua disponibilità in uno scambio di solidarietà dopo l’accoglienza tedesca di numerosi malati dagli ospedali bergamaschi durante la prima ondata. La Baviera, nei giorni scorsi, aveva già inviato in Italia due pazienti, a Bolzano e Merano. Intanto Berlino si appresta a varare una nuova stretta per contenere il contagio, mentre il cancelliere tedesco in pectore Olaf Scholz guarda all’obbligo vaccinale generalizzato: il Parlamento, ha assicurato, deciderà entro fine anno, e in caso di via libera la misura potrebbe “entrare in vigore a inizio febbraio o inizio marzo”. Ma cosa sta succedendo in Germania? Riportiamo integralmente l’interessante intervista
Stupisce sentire parlare delle terapie intensive tedesche, fiore all’occhiello del Vecchio Continente, come sature e in affanno. Come si è potuta creare questa situazione?
“È successo che da luglio anche in Germania la variante Delta del SARS-Cov-2 è diventata dominante, ovvero una variante che si trasmette molto più velocemente. Dunque, affinché la collettività raggiungesse un’immunità sufficiente, era necessario pervenire ad una quota maggiore di immunizzati rispetto a quella inizialmente prevista del 70%. È una questione matematica. D’altronde, non era nemmeno sufficiente un’immunizzazione per via naturale, raggiunta cioè senza vaccino. Senza misure di contenimento e senza immunizzazioni, la diffusione del virus porta inevitabilmente all’affollamento delle terapie intensive e all’incremento di decessi che non trova paragoni con altri eventi della nostra storia recente. Ogni 100mila nuove infezioni, infatti, saranno circa 800-900 le persone che avranno bisogno di un letto in terapia intensiva, una parte delle quali non sopravvivrà. Purtroppo rispetto all’inverno scorso, a causa della carenza di personale, in Germania mancano all’appello circa 4000 posti letto in terapia intensiva. Il sovraccarico di questi reparti per pazienti affetti da Covid-19 si traduce anche nella impossibilità di poter offrire a tante altre persone, le cui condizioni lo richiedono, una presa in carico in rianimazione e cure intensive. I numeri parlano chiaro: le terapie intensive tedesche hanno un numero mediano di 12 letti e necessitano di tenere almeno due posti liberi perché, inevitabilmente, possono esserci pazienti da ricoverare perché colpiti da infarto, ictus o perché vittime di incidente stradale”.
Sono tanti i non vaccinati ricoverati?
“I dati del Robert Koch Institute non lasciano dubbi sul fatto che il vaccino protegga la popolazione dagli esiti peggiori del Covid-19. Se nella fascia d’età dai 60 anni in su, ogni 100 mila vaccinati abbiamo 6 ricoverati in ospedale, il dato è quasi sei volte maggiore tra i non vaccinati. Se non si arresta il dilagare dell’infezione, non sarà sufficiente nemmeno un’offerta ancora maggiore di posti letto e di personale formato per assistere i pazienti in terapia intensiva. L’infezione si arresta integrando tutte le misure di nota efficacia: ovvero la vaccinazione, la riduzione dei contatti, la sospensione dei grandi eventi, come le partite di calcio”.
Che ne pensa dell’ipotesi di obbligo vaccinale di cui si sente parlare nelle ultime ore in Germania?
“L’obbligo vaccinale per tutta la popolazione sarebbe di difficile implementazione per diversi motivi, si pensi alla difficoltà stessa di farlo rispettare. Un altro conto, ovviamente, è l’obbligo per alcune categorie professionali che sono a contatto con persone vulnerabili. Il tema è complesso e confluiscono tante valutazioni, come quelle di tipo storico e sociale che richiederebbero una disamina approfondita”.
Lei ha avuto modo di monitorare attraverso le sue ricerche la disponibilità della popolazione tedesca a vaccinarsi contro il Covid, soprattutto durante la seconda ondata della pandemia. Alla fine si è rimasti attorno al 70% degli immunizzati. Cosa è emerso?
“In un nostro lavoro recente abbiamo indagato in una coorte di persone tra i 25 e 88 anni i fattori associati alla volontà di vaccinarsi. Abbiamo osservato una maggiore predisposizione tra gli uomini rispetto alle donne, probabilmente associata alla maggiore percezione del rischio nel sesso maschile. Un altro fattore che invece riduce la propensione alla vaccinazione è l’alta deprivazione socio-economica e un passato di emigrazione, come confermato anche da una ricerca condotta dall’Istituto di Politica Sociale del Max-Planck Institute. La deprivazione socio economica non è associata solo alla minore predisposizione a vaccinarsi: in un recentissimo articolo pubblicato su Lancet, gli autori rilevano che in Germania vi è un rischio maggiore di decesso per Covid-19 nei distretti dove vivono persone di classe sociale più bassa. Il fenomeno, ovviamente, non è solo tedesco. Le disuguaglianze sociali ed economiche generano disparità anche nell’aspettativa di vita delle persone. Può sembrare un aspetto banale, ma non lo è: i più ricchi presentano in media un migliore stato di salute e una migliore aspettativa di vita rispetto ai più poveri”.
Parlando dello scenario tedesco lei ha usato il termine “sindemia”, spiegando che si tratta di una situazione nata nell’interazione tra pandemia e disagio socio-economico. Ci spieghi.
“Il primo a introdurre questo concetto con riferimento all’attuale pandemia è stato il direttore del Lancet Richard Horton in un editoriale del settembre 2020. C’è un’interazione tra fattori socioeconomici e pandemia che si attua a diversi livelli. Per esempio, chi lavora nelle fabbriche può essere esposto a condizioni che favoriscono il diffondersi del virus: un esempio emblematico è rappresentato dai focolai, che sono esplosi qui in Germania, tra i lavoratori delle aziende di produzione di carni. In questi luoghi si lavora a temperature basse e in ambienti rumorosi che impongono a chi li frequenta di urlare per poter comunicare con i colleghi, favorendo la diffusione delle goccioline di aerosol. Tra questi lavoratori sono numerosi quelli provenienti dall’Est Europa, che spesso vivono in abitazioni di fortuna e sovraffollate. Un altro modello di interazione ipotizzato è quella con l’ambiente esterno, si pensi per esempio con all’inquinamento atmosferico. È stato appena pubblicato uno studio da parte di Kogevinas e colleghi dell’Istituto di salute globale di Barcellona, un gruppo di ricerca molto noto nell’epidemiologia ambientale. Gli autori hanno osservato che l’esposizione all’inquinamento dell’aria è associata a un maggior rischio di ammalarsi di Covid-19. La pandemia, dunque, sia per le interazioni con i fattori socio-economici sia per le interazioni ambientali ha posto in evidenzia la necessità di intervenire nella direzione della giustizia sociale e del miglioramento dell’ambiente”.
Nel frattempo è arrivata Omicron. In Europa, Germania compresa, sono stati confermati i primi casi. La variante apre un nuovo scenario della pandemia, cosa dobbiamo aspettarci?
“Non ci sono ancora dati sufficienti per fare previsioni. Una cosa è certa: il virus non conosce confini di Stati e nazioni e questo impone l’invito ai parlamenti ed ai governi dei paesi del nord ricco e opulento ad assumere tutte le iniziative necessarie per favorire l’approvazione della proposta di India, Sudafrica e altri 100 paesi di sospendere per tre anni i brevetti sui vaccini”.
Intanto i vaccini hanno ridotto di gran lunga i tassi di mortalità. Cosa ci dicono i dati?
“I vaccini, come si è visto negli studi condotti dalla case farmaceutiche, riducono la mortalità. Noi, con una ricerca indipendente e che non ha beneficiato di sponsorizzazioni, abbiamo potuto anche verificare cosa accade nella popolazione reale: incrociando i dati di mortalità per Covid-19 con i dati delle vaccinazioni, abbiamo ottenuto risultati che hanno confermato un riduzione importante del rischio di mortalità tra chi era stato immunizzato. Si tratta di un lavoro che sarà presto pubblicato sull’European Journal of Epidemiology”.