Home Attualità La dr.ssa Patrizia Panico va in pensione e scrive una lettera ai suoi pazienti

La dr.ssa Patrizia Panico va in pensione e scrive una lettera ai suoi pazienti

da Cosimo Saracino
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Mancano pochi giorni al pensionamento della dottoressa Patrizia Panico. I suoi pazienti le stanno inviando i ringraziamenti per il suo impegno lungo circa 40 anni. Una missione che fortunatamente non si ferma, ha già comunicato la sua disponibilità per l’ambulatorio di Casa di Zaccheo. La stessa dottoressa ha voluto salutare con una lettera che pubblichiamo integralmente:

Ai miei pazienti, Fra qualche giorno, dovremo interrompere questo percorso di vita comune, lungo circa 40 anni, che ci ha visto affrontare insieme dolori, gioie, lacrime e sorrisi. Il tempo purtroppo ha le sue regole: segnare i ritmi e i momenti della vita, belli o tristi che siano e non ammette soste. E così termino la mia attività di MMG e avverto l’emozione del distacco.

Devo confessarvi che gli ultimi mesi sono stati per me difficili, avendoli vissuti in un subbuglio di emozioni e sentimenti, rivivendo il “film” della mia vita professionale di MMG. Sono tornate alla mente persone, storie, confidenze, amicizie. Molti di voi erano bambini e li ho visti crescere e poi curare i loro figli. Di tutto e di tutti conservo un vivo ricordo nel mio animo, che nessuno cancellerà e che porterò caro. Ricordi e situazioni che mi hanno arricchito e fatto crescere come donna e come medico. Da tutti ho imparato qualcosa, perché anche la persona più semplice ha sempre una scintilla da regalarci.

Sono arrivata a Mesagne 40 anni addietro, lasciando la mia città, per seguire la mia famiglia. Mi sono ritrovata in una piccola città che, all’epoca, viveva momenti difficili. Con il tempo ho imparato ad amarla e ne sono stata ampiamente ripagata, grazie al vostro affetto e alla vostra stima. Il dispiacere che sento in voi e che manifestate in questo momento ne è l’ulteriore conferma.

Ho iniziato il mio lavoro di MMG in un piccolo ambulatorio di via Generale Falcone, con l’umiltà e l’entusiasmo di chi si era iscritta a Medicina e Chirurgia, agli inizi degli anni ’70, inseguendo un sogno di bambina, forse alimentato da infantili letture e fra queste c’era la “Cittadella” di Cronin con il suo dottor Manson.

Ero una delle poche donne che all’epoca si iscrivevano a Medicina e a questo sogno ho sacrificato i miei 20 anni; alle nostre lauree non c’erano corone di alloro, ma solo qualche foto scattata da una polaroid. Erano traguardi che dovevamo ai sacrifici dei nostri genitori e la festa era dentro di noi per non averli delusi. Ed era comune alla mia generazione.

Sono partita da tutto questo e abbiamo iniziato a camminare insieme. 40 anni di quotidianità scandite da racconti, sintomi, fragilità, visite mediche, con l’imperativo di dover decidere quali esami, quali indagini eseguire e il portarsi a casa tutto questo, con la domanda: ho fatto la cosa giusta? Dubbi che non nascevano dall’insicurezza, ma dalla consapevolezza che in Medicina nulla deve essere dato per scontato e il dubbio ti tiene in allerta, laddove la certezza assoluta può, a volte, essere fuorviante. Pensieri che ti portavi dentro, consapevole che qualcuno aveva affidato la sua vita, il suo stare bene nelle tue mani, perché eri il SUO medico, il suo punto di riferimento nei momenti difficili e quel paziente non era solo un portatore di sintomi da inserire in una fredda cartella clinica, ma un uomo/donna di cui conoscevi tutta la sua vita, le sue aspirazioni, le sue paure, i suoi affetti.

Tutto questo vissuto da sola, nel tuo ambulatorio, sentendo il peso di tanta responsabilità, che si scioglieva davanti a un sorriso che ricompariva su quel volto prima sofferente e a un “grazie dottoressa”. Il peso della responsabilità lasciava allora il posto alla bellezza di poter essere stata d’aiuto a qualcuno e all’aver adempiuto alla tua missione di medico. E tutto questo ripetuto e ripetuto per tantissime volte in tantissimi anni, con lo stesso impegno e la stessa passione di sempre, che è la stessa di adesso.

Ho vissuto le vostre sofferenze, le vostre paure, le vostre ansie, cosi come le vostre gioie, cercando sempre di sapervi ascoltare e anche di andare oltre, in quel “non detto” che il medico deve sempre saper interpretare, per poter abbracciare la globalità della persona e curare non solo il corpo, ma anche le sofferenze nascoste dell’anima. Abbiamo anche pianto insieme quando ci siamo dovuti arrendere a diagnosi impietose e il tecnicismo del medico ha lasciato il posto, non meno importante, alla consolazione dei familiari e all’infondere la forza per continuare ad andare avanti, perché un MMG è anche questo.

Ho condiviso pienamente le vostre vite e non me la sono sentita di abbondonarvi, allor-quando, essendomi specializzata in Pediatria, potevo optare per scelte più remunerative o, per chi non riesce a comprendere l’importanza e la bellezza del lavoro di MMG, ritenute più prestigiose. Non ne ho avuto il coraggio, quello stesso coraggio a cui adesso devo per forza ricorrere, per potervi salutare.

Difficile trovare le parole. Questi anni sono volati via velocemente. Di certo si interrompe un rapporto per così dire “burocratico”, ma non si interrompe un rapporto di affetto, di stima, di vita vissuta insieme. Ciò che riusciamo a strappare al tempo sarà nostro per sempre e io vi porterò sempre nel cuore e ci sarà un triste pensiero anche per quelli che non ci sono più, di cui conservo vivida la parabola della loro vita con la triste conclusio-ne, vissuta ogni volta con un senso di sconfitta.

Vi ringrazio a uno a uno per avermi scelta e avere avuto fiducia in me. Ne sono orgogliosa. Grazie davvero! Ringrazio Anna, mia preziosa collaboratrice per tanti anni, per il suo impegno e la sua dedizione.

Un ringraziamento silenzioso va alla mia famiglia, per essermi stata sempre vicina e, soprattutto, a mia figlia, con qualche piccolo rimorso per quelle volte che magari non ero presente, perché qualcuno aveva più bisogno di me. Lo so che ha perdonato quelle mie assenze. Esse sono state bilanciate dall’impegno, dalla disponibilità, dalla umanità, dalla professionalità che ha visto nel mio modo di essere medico, che le sono state di esempio e che l’hanno portata ad abbracciare la mia stessa professione e a viverla con gli stessi principi e la stessa passione. Grazie di cuore e che la vita vi doni quanto meritate. Patrizia Panico

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