50 anni della legge 83 sul collocamento agricolo
In un momento in cui si parla (a ragion veduta) soltanto dell’emergenza Coronavirus, mi piace cambiare rotta e iscrivermi al club dei “frattempisti”, mutuando una felice definizione di Michele Serra al tempo dell’11 settembre 2001. Mi piacerebbe spostare l’occhio cioè anche a cosa accade “nel frattempo” nel mondo (pensando in grande), o (in piccolo) a ciò che è accaduto nel nostro territorio.
Raccontare fatti delle nostre comunità e gli avvenimenti di piazza degli ultimi 50 anni ed oltre è un compito tanto importante quanto difficile. Forse reso un po’ più semplice dall’isolamento forzato a cui siamo relegati in questo periodo.
La fine della Seconda Guerra Mondiale ha rappresentato uno spartiacque nel Novecento e, come in tutta Europa, anche in Puglia, ci fu tanta miseria, fame e mancanza di lavoro.
Vi era il “mercato delle braccia” nelle piazze e non esistevano forme regolari di assunzione della manodopera.
I lavoratori venivano scelti direttamente dal datore di lavoro, senza alcuna graduatoria o intermediazione da parte degli uffici del Lavoro.
Poi arrivò il decreto legislativo 929/1947 che prevedeva l’istituzione della Commissione Massima Occupazione Lavoratori Agricoli (M.O.L.A) e disponeva che l’avviamento dei braccianti dovesse essere fatto dalle commissioni comunali presso gli uffici del Lavoro. Molto spesso però negli uffici mancava il personale adeguato per aggiornare gli elenchi delle aziende che erano disponibili ad assumere lavoratori ed iniziarono in tutti i comuni momenti di rivolta e di pressioni sugli uffici.
Negli anni tra il 1947 e il 1950, con l’imponibile di manodopera, vi furono ovunque manifestazioni di “scioperi alla rovescia”: i lavoratori si recavano in quelle aziende che non avevano provveduto a chiamare i lavoratori, nonostante fosse stato stabilito loro l’imponibile di manodopera.
Fu un periodo molto “caldo”. Dappertutto intervenivano le forze dell’ordine per sedare disordini e manifestazioni per il lavoro.
Si scatenò un’ondata di repressione, con molti arresti tra braccianti e dirigenti sindacali (oltre 900 in tutta la Puglia e circa 7000 in tutto il Mezzogiorno).
In provincia di Brindisi, il movimento per il lavoro, per il riconoscimento delle giornate lavorative e per la riforma del collocamento agricolo fu molto vasto e si realizzò soprattutto nei comuni di Mesagne, Cellino San Marco, Torchiarolo, Latiano, Francavilla Fontana, Oria, San Pancrazio Salentino.
Il Prefetto di Brindisi ordinò la mano dura e fece arrestare tutti gli organizzatori nei vari comuni. Il 21 aprile 1949 furono ordinati 80 arresti (21 a Mesagne, 18 a Francavilla Fontana, 12 a Latiano, 10 a Oria, 5 a San Pancrazio). Nonostante il forte movimento di popolo a sostegno delle persone arrestate, i dirigenti sindacali e lavoratori rimasero in carcere 14 mesi.
Dopo tante lotte e sacrifici alcune risposte arrivarono.
Nel mese di aprile del 1949 venne approvata la legge 264, che per la prima volta prevedeva il riconoscimento del trattamento di disoccupazione per i lavoratori agricoli.
Negli anni ’50, il clima teso tra il movimento dei lavoratori e le forze dell’ordine culminò il 9 settembre 1957 nei gravi “fatti di San Donaci” nei quali persero la vita tre giovani lavoratori. La forte speculazione sul prezzo dell’uva, dopo un’annata agraria disastrosa aveva, infatti, scatenato la rabbia dei coloni e dei braccianti della zona ricompresa tra i comuni di Torchiarolo, San Pietro Vernotico, Cellino San Marco e San Donaci.
Erano quelli gli anni in cui si annunciava il boom economico ed il Governo stava pensando ad alcuni insediamenti industriali nelle zone del Sud. Nacque a Brindisi l’azienda chimica della Montecatini e a Taranto l’impianto siderurgico della Italsider.
Così fu data una forte risposta alla domanda di lavoro. Già solo la costruzione del Petrolchimico vide trasferire oltre 10 mila lavoratori dal settore agricolo a quello industriale. Il mercato del lavoro registrò dunque una profonda trasformazione.
Negli anni ’60 la nostra provincia visse una fase di espansione del settore industriale ed il consolidamento della coltura del vigneto con la colonìa e la mezzadrìa. In quelli anni si affacciò nel mercato del lavoro una figura professionale “mista”, cioè di lavoratore agricolo dipendente (in qualità di bracciante) e anche di conduttore di un piccolo podere (a titolo di proprietà o in qualità di colono o mezzadro).
In alcuni casi, si trattava di lavoratore che al mattino prestava la sua opera “a giornata” e cioè alle dipendenze di aziende non soltanto agricole ma anche industriali ed il pomeriggio coltivava la sua piccola azienda, a volte di proprietà, nella gran parte dei casi colonica o di mezzadria.
Furono proprio in quel periodo che il mondo bracciantile chiese una nuova previdenza agricola e una legge nuova per il collocamento. Erano anche gli anni (dal 1963 al 1968), nei quali le lotte dei lavoratori delle fabbriche ricominciarono a farsi sentire.
La parola d’ordine era quella del superamento delle “gabbie” salariali. Il movimento di lotta cresceva e si intrecciava in modo unitario con operai, braccianti e coloni e con il movimento studentesco.
Il bienno 1968-1969 fu un periodo di forti mobilitazioni in tutto il Paese, dal Nord al Sud.
Il 2 dicembre 1968, ad Avola (SR), mentre si svolgeva una manifestazione per rivendicare la riforma del collocamento agricolo, il superamento del sottosalario in agricoltura ed il rifiuto delle gabbie salariali per i lavoratori meridionali, vi furono incidenti con le forze dell’ordine, a seguito dei quali persero la vita due manifestanti.
Giorni dopo anche la Puglia e Brindisi diedero la loro risposta. Il 12 dicembre 1968 migliaia di lavoratori dalle fabbriche e dalle campagne insieme a molti studenti parteciparono allo sciopero generale indetto dalle organizzazioni sindacali. La spinta democratica delle lotte era vasta e forte in tutto il Paese, con rivendicazioni che intrecciavano il superamento delle gabbie salariali assieme ad un nuovo modello di sviluppo. Le gabbie salariali rappresentavano il simbolo della discriminazione per categorie e appartenenza territoriale e pertanto il loro superamento costituiva l’obbiettivo comune da raggiungere.
In quelli anni, il Paese fu diviso in 7 zone salariali. Milano e Torino erano nella prima zona, Brindisi ed altre realtà meridionali nella settima zona. Pertanto, a parità di prestazioni (stesso impiego e monte orario), il salario di un lavoratore a Milano era di gran lungo superiore a quello di un lavoratore a Brindisi.
Pertanto erano molto evidenti le disparità di trattamento tra un operaio del Nord ed uno del Sud.
Nel 1964 le retribuzioni medie annue di un lavoratore a Brindisi erano di 529 Mila lire; nella Italia centrale era di 986 Mila lire; al nord era di 1 Milione di lire.
Il movimento unitario con la sua forte spinta fece saltare questo meccanismo. Infatti, si raggiunse l’accordo tra le parti sociali per il superamento delle gabbie salariali subito dopo lo sciopero generale unitario del 12 febbraio 1969 che vide la partecipazione di oltre 5 milioni di lavoratori.
Il movimento dei lavoratori ottenne anche altri risultati.
L’11 marzo 1970 vi fu la conversione nella legge 83 del decreto legge n. 7/1970 che recava norme in materia di collocamento dei lavoratori agricoli. Fu un segnale di ciò che da lì a poco stava per accadere.
Tre mesi dopo, il 20 maggio 1970, venne approvata l’importante e significativa Legge 300. Entrava così in vigore lo Statuto dei Lavoratori e nasceva la stagione dei Consigli di fabbrica e dei delegati.
La legge 83 sul collocamento appena approvata metteva in evidenza la nascita delle commissioni paritetiche comunali tra rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, la necessità della discussione dei piani colturali delle aziende sui fabbisogni di manodopera, l’aggiornamento degli elenchi anagrafici.
L’approvazione della legge però trovò subito in quelli anni degli ostacoli, dovuti sì alla scarsità del lavoro nelle nostre campagne ma anche alle resistenze delle aziende agricole che frapponevano una serie di motivazioni per non applicare la legge, oltre alla mancata unità di intenti tra le organizzazioni sindacali.
Una svolta si ebbe a metà degli anni 70, perché iniziò ad affermarsi nella zona occidentale del tarantino e nel Metapontino, con l’arrivo di nuovi imprenditori, un’agricoltura intensiva grazie anche ad un sapiente utilizzo dell’irrigazione. Vi fu un’esplosione di richieste di forza lavoro, soprattutto di lavoratrici. Iniziavano a partire quotidianamente dalle zone della collina brindisina centinaia di pullman (senza alcun controllo) con migliaia di lavoratrici. Tutto questo sfuggiva quotidianamente al collocamento, essendo divenuta l’applicazione della legge farraginosa e molto lenta. Dinnanzi a richieste immediate e giornaliere, l’unico che dava risposte puntuali e funzionali era il caporale. Era divenuto ormai l’intermediario privilegiato tra i lavoratori e l’azienda. Erano sempre i caporali che durante le grandi fasi di raccolta dei prodotti fornivano risposte a lavoratori e ad aziende sia nell’organizzare delle assunzioni che nel garantire il trasporto. Il collocamento e la parte pubblica del servizio restavano tagliati fuori, malgrado lo spostamento mattutino delle lavoratrici (specialmente verso il sud-est barese nella fase della lavorazione dell’uva da tavola) interessasse almeno 7/8 Mila lavoratrici agricole al giorno.
Il caporalato, come grande questione civile, arrivò agli onori della cronaca nazionale con il primo grave incidente avvenuto il 19 maggio 1980, dove persero la vita tre giovanissime lavoratrici di Ceglie Messapica. Furono anni difficili di lotte sindacali a causa degli scontri violenti sulle strade e nelle aziende con i caporali che diventavano sempre più violenti e fuori controllo. Furono anni complicati anche perché i rappresentanti istituzionali affrontavano con molto “impaccio” il problema del caporalato. A tante lotte sono seguiti altri tragici incidenti, ultimo dei quali quello che ha colpito la bracciante Paola Clemente il 13 luglio 2015 ad Andria.
La lavoratrice è morta a per un malore causato dalle condizioni di lavoro proibitive per l’ alta temperatura sotto un tendone di uva, durante la solita giornata lavorativa con salario fissato a 2 euro l’ora…
Soltanto dopo questo tragico episodio, si è giunti all’ approvazione della legge 199 del 2016 contro il caporalato. Un importante passo in avanti sul piano della civiltà e del rispetto della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori! Resta intatto il tema del funzionamento del centro dell’impiego, dell’efficacia della rete per raccordare la domanda e l’offerta di lavoro in un settore particolare come quello agricolo. E resta ancora tanto da fare per facilitare lo sviluppo e l’ammodernamento dell’intero comparto agro alimentare.