(Stefano Bello– Guida Ambientale Escursionistica e Educatore Ambientale) – Camminando per le campagne e per i boschi della nostra terra possiamo contemplare la variopinta tela che spesso sfugge all’occhio che si perde nel grigiore del dramma Xylella. Tante volte la bellezza si nasconde in piccoli dettagli, frutti e fioriture autunnali che parlano di una natura ancora viva, come un rituale che si ripete da secoli, millenni, che sanno di credenze vecchie come la notte dei tempi. Un quadro perfetto della natura. Non capita tutti i giorni di immortalare la Mandragola e la Vallonea nella stessa immagine, questo perchè si tratta di piante definite oramai delle rarità botaniche, due specie a rischio di estinzione.
La quercia vallonea (Quercus ithaburensis macrolepis), è un bellissimo albero la cui presenza nella nostra regione suscita ancora l’interesse di numerosi studiosi, una delle ipotesi più accreditate è che sia stata introdotta in salento durante il XV secolo perchè le particolarissime cupole delle sue grandi ghiande sono ricche di tannini e al tempo trovavano largo utilizzo nella concia delle pelli, mentre la ghianda vera e propria siccome commestibile era consumata nell’alimentazione umana. Qualunque sia la sua origine nella nostra terra, noi ne abbiamo fatto uno degli alberi simbolo del salento.
La mandragola (Mandragora autumnalis), come lascia intuire dal suo epiteto specifico, si presenta con la sua graziosa fioritura durante l’autunno, tanto bella quanto ingiustamente temuta; è un po’ lo spauracchio di chi si approccia per la prima volta alla raccolta di erbe spontanee in quanto si teme di confonderla con le erbe eduli quando la mandragola è molto tossica. Ma al di là della remota fatalità di incontrare questa pianta e di raccoglierla per una lacunosa conoscenza, la mandragola fin dall’antichità è protagonista di numerose leggende, credenze popolari e dicerie.
Ingrediente delle pozioni magiche delle streghe, di filtri ed elisir potentissimi, è sempre stata creduta una pianta dalle proprietà sovrannaturali, spesso motivate dalla forma “antropomorfa” delle radici che hanno appunto un aspetto vagamente umano, e che la raccolta doveva seguire dei rituali davvero singolari, pensate che durante il medioevo si credeva che appena estirpata dal terreno la pianta fosse in grado di emettere delle grida e di paralizzare o addirittura pietrificare l’ignaro raccoglitore.
Ad oggi fortunatamente certe dicerie non hanno più credito, ma resta comunque una pianta che spesso attira collezionisti che ignorano il fatto che si tratta di una specie inserita in lista rossa e dunque da tutelare. Tralasciando l’inutilità del gesto -perchè una volta espiantata probabilmente è destinata ad appassire- privare un dato luogo di un elemento naturale che gli dona unicità è deplorevole, e per questo mi astengo dal rivelare l’ubicazione esatta del ritrovamento. Potrà apparire un pò egoistico, ma basta dire che nel sito in questione ho visto solo 5 piante in tutto, e si tratta forse dell’unico sito di questa pianta in provincia di Brindisi… spero piuttosto di stimolare la curiosità di armarvi di fotocamera, scarponi, e di uscire a camminare e sperare di trovarla per fotografarla insieme alle tante piccole e grandi bellezze intorno a noi.