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La ragióne del NO. Né riformisti né conservatori – di Manuel Marchionna

da Cosimo Saracino
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marchionnamanuelassessoreQueste sono alcune considerazioni dell’avvocato Manuel Marchionna in merito al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. Dal vocabolario Treccani: ragióne – La facoltà di pensare, mettendo in rapporto i concetti e le loro enunciazioni, e insieme la facoltà che guida a ben giudicare, a discernere cioè il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, alla quale si attribuisce il governo o il controllo dell’istinto, delle passioni, degli impulsi.

La ragióne del NO. Né riformisti né conservatori.

Riteniamo che la modifica del testo costituente la nostra identità repubblicana non possa essere oggetto di slogan elettorali né di petizioni di principio.

Abbiam deciso di capire.

Secondo le intenzioni del legislatore la legge di riforma costituzionale sottoposta al vaglio referendario del prossimo 4 dicembre dovrebbe – in estrema sintesi – consentire il superamento del bicameralismo perfetto in modo tale da:
a) Avere leggi in tempi più rapidi;
b) Garantire maggiore partecipazione dei cittadini;
c) Chiarire le competenze di Stato e Regioni;
d) Diminuire i costi della politica;

Obiettivi nobili e condivisibili.
Ma la riforma assolve allo scopo?

Per rispondere occorre ragionare.

Sarà superato il bicameralismo?

In verità, secondo la riforma, il Parlamento resterà in composizione bicamerale:
1) la Camera dei Deputati, composta da 630 membri eletti, con funzione legislativa;
2) il Senato della Repubblica, composto da 100 membri nominati,rappresentativo delle istituzioni territoriali;

La novità è chiaramente la creazione del “nuovo” Senato cd. delle Autonomie

Come e da chi sarà composto?
L’ art. 57 del testo di riforma così recita: “Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica.
I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. Nessuna regione può avere un numero di senatori inferiore a due; ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due”.

Come spiegato a più riprese dalla Ministra Boschi, avremo in Senato 21 sindaci e 74 consiglieri regionali. Questi i calcoli: 1 sindaco-senatore a ogni regione e 1 a ogni provincia autonoma;ergo, 19 regioni + 2 province = 21 sindaci.
Dato pacifico?
No, perché in realtà in Italia i Consigli Regionali sono 20 e non 19; il Trentino Alto Adige, difatti, pur essendo una provincia autonoma, ha anche un Consiglio Regionale.

Quella che ai più sembrerà una minuzia, porterà ad un vero e proprio paradosso: il Trentino Alto Adige che conta poco meno di un milione di abitanti avrà 6 senatori (3 sindaci, un consigliere regionale e due consiglieri provinciali), mentre per esempio la Toscana, che conta quasi 4 milioni di abitanti e per la sola Firenze un flusso di turismo stimato in 9 milioni di visitatori l’anno, ne avrà 5.
In conclusione e più correttamente, nonostante le intenzioni della riforma, il nuovo Senato dovrebbe essere composto da 22 sindaci e 73 consiglieri regionali.
In tutta sincerità, oltre al paradosso della rappresentatività, disturba che una norma confusionaria e non scritta bene finisca nel testo costituzionale.

arciSi dice, ancora, che i nuovi senatori rappresenteranno le Autonomie locali: regioni e comuni per intenderci.
Sul punto, già agli occhi di uno studente di giurisprudenza al primo anno il “pastrocchio” giuridico è piuttosto evidente: posto che l’art. 67 Cost. post riforma conferma l’assenza di “vincolo di mandato” per i componenti di Camera e Senato, i senatori (sub specie consiglieri regionali), di fatto, NON potranno rappresentare le istituzioni locali per espressa previsione di una norma costituzionale.
Quanto alla presenza dei sindaci, chiamati a rappresentare i loro Comuni, l’irragionevolezza della previsione è ancora più marcata: perché favorirne 22 sugli 8.000 complessivi? Ma se anche con successivo regolamento si stabilisse che i 22 nominati debbano agire in rappresentanza di tutti i comuni, può lo 0,25 % dei sindaci italiani rappresentare tutte le autonomie comunali?
Quanto ai 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica, francamente, non è dato comprendere in che modo essi possano rappresentare le autonomie locali.

Avremo leggi in tempi più rapidi?

Secondo l’attuale art. 70 della Costituzione “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due camere”.

Se passerà la riforma, il nuovo e complesso art. 70 prevederà ben 8 procedimenti (contro i 3 attuali) per l’approvazione di una legge:

1) leggi bicamerali (art. 70 comma 1);
2) leggi approvate dalla sola Camera, con possibile esame del Senato entro dieci giorni(art. 70 commi 2 e 3);
3) leggi approvate dalla sola Camera, con necessario esame del Senato entro dieci giorni (art. 70 comma 4);
4) leggi approvate dalla sola Camera, con necessario esame del Senato entro quindici giorni (artt. 70 comma 5 e 81 comma 4);
5) procedimento speciale per leggi proposte dal Senato (art. 71);
6) procedimento monocamerale per approvazione disegni di legge a “data certa” (art. 72 comma 7);
7) procedimento speciale per conversione dei decreti legge (art. 77 commi 2 e 3);
8) procedimento speciale per leggi di iniziativa popolare;

Se consideriamo poi che la composizione della Camera dei Deputati sarà certa per 5 anni, mentre la composizione del Senato sarà “liquida” (il Senato non scade mai e la durata del mandato del singolo componente coinciderà con quello degli organi che rappresentano, ossia regioni e comuni), il rischio è che la maggioranza politica di una camera non coincida con l’altra: di conseguenza, l’approvazione di una legge sarà oltremodo difficoltosa e non certo “snella” così come nelle intenzioni della riforma.

Vi sarà maggiore partecipazione dei cittadini?

Come strumenti di partecipazione all’amministrazione della res publica la carta costituzionale prevede il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro, il referendum abrogativo di leggi e le proposte di legge di iniziativa popolare.
Unico punto a favore della riforma è certamente l’abolizione del CNEL; l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori ed il potere riconosciuto ai sindacati hanno di fatto reso – da sempre – inutile tale organo.
Circa il referendum abrogativo, la novità della riforma riguarda l’abbassamento del quorum (da maggioranza degli aventi diritto al voto a maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei Deputati); troppo poco se si considera la previsione dell’innalzamento delle firme utili per indire referendum da 500 mila a 800 mila.
Quanto alle proposte di legge di iniziativa popolare, le firme per la presentazione vengono innalzate da 50 mila a 150 mila pur prevedendo maggiore snellezza sull’iter per l’approvazione che sarà disciplinato da regolamenti parlamentari non ancora redatti.

Saranno chiarite le competenze dello Stato e le competenze delle Regioni?

Attualmente la potestà legislativa è così distribuita:
1) Competenza esclusiva dello Stato;
2) Competenza concorrente di Stato e Regioni;
3) Competenza residuale (esclusiva) delle Regioni;

La riforma prevede che lo Stato, su impulso del Governo, potrà reclamare di volta in volta la competenza su materie in realtà di potestà regionale: di fatto tale previsione è in antitesi financo con la creazione del nuovo Senato delle autonomie in quanto, con una clamorosa inversione ad U rispetto alla riforma costituzionale del 2001, si sacrificano gli interessi delle autonomie per garantire maggiore accentramento dei poteri allo Stato centrale. In “soldoni” qualora un futuro Capo di Governo decidesse di aprire una Centrale nucleare in una qualunque regione d’Italia, potrebbe farlo avocando a sé la competenza per ragioni di interesse nazionale.

Vi sarà una diminuzione dei costi della politica?

Si, i costi del Senato si riducono di circa un quinto.
E per risparmiare il costo di un caffè c’era bisogno di mettere mano alla Costituzione?

Non siamo contrari ai cambiamenti se questi portano ad un miglioramento della vita democratica del Paese ma crediamo che queste modifiche costituzionali del Governo Renzi e approvate in Parlamento grazie a trasformisti come Verdini o Alfano, possano solo peggiorare il funzionamento delle Istituzioni.

Arci Comitato territoriale di Brindisi

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