Il mesagnese Cosimo Pasimeni, appassionato di storia locale e fervente devoto della Madonna di Mater Domini, consegna ai nostri lettori un nuovo studio che riguardano il Santuario con una particolare attenzione alle tele che sono conservate di Mesagne. Dopo l’intervento sull’Icona di Maria SS.ma di Mater Domini, oggi pubblichiamo questa ricerca che evidenzi nuove prospettive rispetto all’attribuzione del dipinto di San Tommaso. Buona lettura
Apparato iconografico del Santuario Mater Domini in Mesagne – Seconda parte
Nella prima parte di questa ricerca è stata presa in esame l’icona di Maria SS.ma Mater Domini che rappresenta il dipinto di maggior pregio perché è alla base di tutta la storia di questo Santuario. Segue ora la presentazione del restante corpus pittorico partendo dalla tela raffigurante “L’incredulità di San Tommaso” o forse più correttamente “L’atto di fede di San Tommaso”, ma storicamente, come vedremo, diversamente identificata tra cui con “Gesù con i suoi Apostoli” e erroneamente attribuita al pittore mesagnese Gian Pietro Zullo (1557-1619).
Questa grande tela centinata della misura di circa cm 460 x 310 si trova sull’altare nella navata sinistra, frontalmente a chi guarda (Foto 1). La prima pubblicazione che ne parla è il volume «Lo Zodiaco di Maria» del 1714 di fra Montorio: “La miracolosa Immagine fin dal principio di quella fabbrica fu collocata con gran diligenza sù l’Altare maggiore, ed alcuni anni di poi ivi si pose un Quadro grande ad olio perforato in modo, che comparisse tutta la Sagra Effigie. In quella tela fu dipinto il fatto di S. Tommaso Apostolo, quando incredolo toccò le piaghe del risorto suo Maestro divino, e non per altra ragione, se non perché, avendo Monsignor Falces Arcivescovo ordinata la sollenne Festa nella Domenica in Albis, pareva convenevole rappresentarsi un tal mistero avvenuto in quel giorno”.
Sicuramente Fra Montorio non è mai stato a Mesagne né negli altri luoghi e per la redazione del suo volume di circa 750 pagine (una copia originale si trova esposta nel Museo di Arte Sacra Cavaliere – Argentiero) si è affidato ad una corrispondenza epistolare con le varie diocesi del Regno di Napoli; questo è confermato dalla nota che aggiunge alla fine di ogni descrizione: “Estratte da relazione dell’Arcivescovo…”.
Per la Diocesi di Brindisi la prima chiesa descritta è “Santa Maria del Casale fuori le mura di Brindisi” con alla fine questa nota aggiuntiva: “Estratta da relazione dell’Arcivescovo in data delli 17 settembre 1711”, mentre per le altre chiese aggiunge semplicemente: “Estratta da relazione dell’Arcivescovo come sopra” (cioè Santa Maria del Casale).
Era quello un periodo di sede vacante dalla morte del Vescovo Barnaba De Castro avvenuta l’11/12/1707 e protrattasi per circa 8 anni fino alla nomina del suo successore Paolo De Villana Perlas il 16/12/1715 e quindi tale relazione sarà stata sicuramente redatta o comunque approvata dall’allora Vicario Diocesano.
Per quanto riguarda Mesagne descrive le seguenti chiese: Santa Maria del Carmine nella Terra di Mesagna Diocesi di Brindisi, Santa Maria in Bettelemme, ovvero della Sanità nella medesima terra, Santa Maria della Misericordia fuori le mura della stessa Terra, Santa Maria Mater Domini fuori le mura della stessa Terra.
Purtroppo su quanto descritto dal Montorio, almeno per la Chiesa di Mater Domini, e al di fuori della tela in esame, possiamo già individuare alcuni errori:
Il primo di essi è il seguente: “La miracolosa Immagine fin dal principio di quella fabbrica fu collocata con gran diligenza sù l’Altare maggiore”; questo non è assolutamente vero in quanto l’affresco non fu rimosso dal posto originale prima del 1783.
Prosegue con: “alcuni anni di poi ivi si pose un Quadro grande ad olio perforato in modo, che comparisse tutta la Sagra Effigie” anche questa descrizione è errata in quanto tale dipinto fu collocato, in seguito vedremo quando, “in testa” all’affresco e che non fu mai perforato; questo è chiaramente visibile osservando sia la parte pittorica sia il retro della tela che non presentano assolutamente tracce di tagli in orizzontale. (foto 2 retro)
Probabilmente chi gli ha trasmesso la relazione avrà scritto “tagliato” o un sinonimo ed interpretata dal Montorio con perforato aggiungendovi proprio questo particolare. Una simulazione approssimativa, ma in scala, su come sarebbe stata con la perforazione è la (Foto 3); in seguito cercheremo di capire perché il termine più corretto potrebbe essere stato “tagliato” e non perforato.
Quello che è certo è che il quadro nel 1711, anno della trasmissione della relazione al Montorio, si trovava sull’altare maggiore da circa cinquanta anni, ma in testa al dipinto con la centinatura superiore, e che la concomitanza della festa, voluta dall’Arcivescovo Falces nella domenica in Albis, abbia indotto a ritenere congruente la commissione ad un pittore del tempo per rappresentare proprio il brano del Vangelo che si proclama in quel giorno.
La descrizione del Montorio è stata più volte riportata in altre pubblicazioni successive ed anche fino ai nostri giorni.
Un esempio è il seguente volume del 1840: «STORIA DEI SANTUARI PIU’ CELEBRI DI MARIA SANTISSIMA SPARSI NEL MONDO CRISTIANO» Del Proposto Antonio Riccardi – SANTUARIO DI SANTA MARIA MATER DOMINI presso Mesagna diocesi di Brindisi.
“La miracolosa Immagine collocata sopra l’altare maggiore; e pochi anni dopo la circondavano di un grande quadro a olio, rappresentante il fatto di S. Tommaso Apostolo nell’atto di toccar le piaghe di Gesù Cristo. In questo modo si formava un ornato più decoroso all’altare: ma il quadro stesso si tagliò in modo che lasciasse apparire la venerata Effigie dipinta sul vecchio muro, allora ella stessa ritoccata con nuovi colori”.
Ma sicuramente, come vedremo, la storia di questo quadro è diversa da quella finora creduta. Per prima cosa osserviamolo nei particolari:
Quello che immediatamente si nota ad occhio nudo è una centinatura che taglia tutto il dipinto per la sua larghezza all’altezza di circa 310 cm dove la parte inferiore è l’originale attribuito a Gian Pietro Zullo mentre la superiore è quella aggiunta in seguito (dopo il 1783).
Altri particolari ci inducono a ritenere che questa tela esisteva già in Mesagne e soprattutto con una forma diversa, molto probabilmente rettangolare in senso orizzontale e decisamente più grande.
Il primo indizio è dato proprio dalla centinatura superiore che potrebbe coincidere con la parte “tagliata” ed eliminata per adeguarla alla nuova collocazione.
Analizziamo la parte inferiore e osserviamo il vessillo: Gesù in tutta l’iconografia raffigurante la risurrezione viene sempre riportato con un vessillo o stendardo dove sulla parte terminale o puntale dell’asta c’è sempre la Croce. Nel nostro caso in effetti noi vediamo che manca proprio questo importante particolare, ma riportato sulla parte superiore aggiunta successivamente e quindi, se effettivamente quella tela fosse stata commissionata per essere posizionato in testa all’icona della Madonna, l’artista non lo avrebbe trascurato.
Inoltre la croce della parte terminale del vessillo riportato sull’appendice superiore supera in altezza la curva massima della centinatura; anche questo particolare ci induce a ritenere che l’originale era più alto.
Altro particolare non trascurabile sono le figure dei due apostoli posti ai lati, specialmente quello di sinistra dove si evidenzia un deciso ridimensionamento laterale e ciò sempre per l’adeguamento alla nuova collocazione.
Fatte queste considerazioni, se effettivamente tale tela fosse stata commissionata per l’altare della chiesa di Mater Domini, l’autore avrebbe sicuramente fatto rientrare tutta la scena nello spazio a disposizione, magari riducendo le dimensioni dei personaggi raffigurati. Questi particolari ci dimostrano che non fu realizzato per la chiesa di Mater Domini e a conferma di ciò ci sono di aiuto proprio i documenti delle prime visite pastorali riguardanti la nuova chiesa:
- Visita Pastorale dell’8 agosto 1606: Arcivescovo Falces: (1605-1636) La chiesa è ancora in costruzione;
- Visita Pastorale del 21 ottobre 1624: Arcivescovo Falces: “Die 21 mensis octobris 1624. Illustrissimus et reverendissimus dominus d. Ioannes a Santo Stephano et Falces pro continuazione accessit ad terram Messapiae ….. Eodem die ill. dominus archiepiscopus accessit ad ecclesiam Sanctae Mariae Matri Domini … Visitavit sacristiam … Uno quatro della santissima madre Teresia. Un altro quadro grande di S. Antonio”; se ci fosse stato quello di San Tommaso, anch’esso di grandi dimensioni, sicuramente l’avrebbe annotato;
- Visita Pastorale del 1638 Arcivescovo Francesco Surgente: nessun accenno ai quadri
- Visita Pastorale del 30 novembre 1640: Arcivescovo Dionisio Odriscol: solo: Icona Mater Domini e altare Santa Teresa (forse col succitato quadro);
- Visita Pastorale del 12 marzo 1646: Odriscol nessun accenno ai quadri
La prima presenza di un quadro di Gesù Cristo e Tutti i Santi sull’altare maggiore ci viene attestata con la visita pastorale del 1651 svolta dal vicario generale don Giovanni Battista Villanova, essendo morto l’arcivescovo Odriscol. Die octava novembris millesimo sexcentesimo quinquagesimo primo d. Ioannes Baptista Villanova u. j. D. thesaurus et vicarius brundusinus unam d. Josepho Riccia u.j.d. archipresbiterus brundusino d. Apollonio Leanza canonico et actuario ordinario se consulit ad terram Messapiae ad finem prosequendi visitationem generalem.(…) Die 13 eiusdem ibidem Reverendissumus dominus vicarius capitularis visitationem se contulit ecclesiam Sanctae Mariae Matris Domini vocatum quae fuit per illustrissimum et reverendissimum Archiepiscopum Odriscol collegiata subrogata, stante illius ruina et distrutione. Visitavit in ea altare maius cum icona d. n. Iesu Christie et Omnium Sanctorum, et etiam adest imago Beatissimae Virginis fundato. Altare reperit omnia nacessaria ad celebrationem. Adest etiam in dicta ecclesia aliud altare Sanctae Theresiae.
Da tenere presente la definizione “Omnium Sanctorum” di cui si parlerà in seguito.
Ulteriore conferma della presenza di questo quadro la troviamo nella seconda Visita Pastorale che il vescovo Lorenzo Raynosso compì in Mesagne nel 1654; … il 1° ottobre … nel visitare la chiesa di Mater Domini la trovava bene ornata e provvedeva: “… sumptibus suis ex devotione Beatae Virginis inaurari facendo iconam in qua extit imago eiusdem Virginis et picturarum apponendam curavit Resurrectionis Iesu Christi”.
È evidente che, anche se con definizioni diverse, si intende lo stesso dipinto posizionato sull’altare maggiore di cui si parla solo dal 1651 con la visita pastorale condotta per incarico del vescovo Odriscol dal vicario d. Joannes Battista Villanova.
Ma perché questo dipinto lo troviamo a Mater Domini solo dopo il 1650?
Perché a Mesagne la notte del 31 gennaio 1649, essendo crollata per cause fortuite la Chiesa Madre (senza arrecare danni alle persone), immediatamente il 3 febbraio il Capitolo aveva chiesto all’Arcivescovo Odriscol di celebrare le messe d’obbligo in altre chiese fino al suo restauro; la prima indicata dal prelato fu proprio Mater Domini, ma il 27 aprile il canonico Geronimo Gaudese, procuratore del Capitolo, chiese ed ottenne dal vescovo l’autorizzazione di celebrare anche altrove indicando le chiese di San Cosimo, S. Antonio e quella annessa all’Ospedale.
Il motivo di quest’ultima richiesta era la notevole distanza di circa un miglio dal centro abitato, in aperta campagna e con la strada senza massicciata, ma solo terreno sterrato; quella strada, allora chiamata Via per Materdomini e successivamente intitolata a Maja Materdona, fu costruita solo alla fine del XIX secolo.
Durante questi due mesi successivi al crollo, oltre al trasferimento del Capitolo per le sacre funzioni, furono messe in salvo anche alcune tele presenti nella Collegiata proprio presso la chiesa di Mater Domini in conto deposito come ad esempio si legge in queste visite pastorali:
- 13 nov. 1651: Vicario g. b. Villanova oltre a icona d. n. Iesu Christie et Omnium Sanctorum, aggiunge:
“se contulit ecclesiam Sanctae Mariae Matris Domini” [omissis] “Adest tertium altare Visitationis. Aliud altare Nativitatis Domini, quae fuit trasportatum a collegiata diruta in locum depositi, donec edificetur dicte collegiate.
Visitavit etiam altare Spiritus Sancti de familia Dormio cuius icona cum imagine fuit portata in dictam ecclesiam loco depositi, ob ruinam collegiatae, et usqua ad eius reedificationem et in eo celebrantur quia habet necessaria ad celebrationem”.
Padre Anselmo Leopardi nel suo libro «Mesagne città dalle 50 chiese» scrive, parlando della Chiesa Madre: “L’arcivescovo Odriscol fece trasferire nella chiesa di Mater Domini il Capitolo e Clero nella chiesa dove furono anche trasportati il coro, il fonte battesimale ed altro…”
Tra quanto trasportato nella chiesa di Mater Domini merita di essere citato per importanza il Crocifisso ligneo, attualmente nel transetto destro della Chiesa Madre, come si può dedurre dalla seguente Visita pastorale del Vescovo De Estrada (1659-1671) fatta nell’ottobre 1660:
“Essendo rovinata l’anni passati la colleggiata chiesa di Mesagne il Santissimo Crocifisso quale stava nella cappella sotterranea del choro, per comodità del clero quale per un tempo andò ad officiare nella chiesa di Mater Domini fuora della mura di detta terra, stante che a detto santissimo Crocifisso vi era concessa indulgenza di altare privileggiato perpetua si ottenne da monsigno Odriscol beata memoria nostro predecessore Breve Apostolico da PP. Innocentio Decimo (04/10/1644 – 07/01/1655) che la sudetta indulgenza suffragasse in quello altare ove si situasse detto Santissimo Crocifisso e di questa maniera medesima fu asportato dalla chiesa di Mater Domini nella chiesa del venerabile ospedale dove sin’tanto si è reedificata la nuova chiesa colleggiata ha ufficiato il reverendo capitolo e clero di essa. E perché per alcune differenze insorte la decisione de quale è nella Sacra Congregazione, detta colleggiata chiesa si è ridotta in stato che vi sta officiando detto reverendo capitolo, non per questo sino adesso si è possuto asportare detto Santissimo Crocifisso dentro la detta colleggiata. Pertanto richiamandoci in actu della nostra generale visita di detta colleggiata per comodità del clero e devozione del popolo senza alterare né innovare, dichiaramo per questo presentemente non s’intenda innovata né alterata cosa alcuna, rispetto all’indulgenza al SantisSimo Crocifisso concessa. ma della medesima maniera modo e forma che fu asportato dalla detta colleggiata alla chiesa di Mater Domini e da questa al venerabile ospedale, ordinamo si asportasse dentro la chiesa colleggiata detto Santissimo Crocifisso e si collocasse nell’altare… nell’ala sinistra di detta chiesa s’intanto dalla Sacra Congregazione saranno determinate dette differenze e si determinerà dove si avrà da situare detta cappella del Santissimo Crocifisso”.
Ritorniamo alla tela di San Tommaso riprendendo il termine “Omnium Sanctorum” della Visita Pastorale del Villanova perché lo troviamo già riportato in quella del 1606 del Vescovo Falces: Il 7 agosto 1606 visitava la Collegiata e ordinava che entro il termine di sei mesi si adornasse il nuovo fonte battesimale. L’altare maggiore era “cum icona magna et effigie Omnium Sanctorum”, ma privo ancora di paramenti: “Visitatio generalis illustissimi et reverendissimi d. d. Ioannis Santo Stephano et Falces archiepiscopi Brundusini facta in terrae Messiapiae … Die 7 aqugusti 1606 de mane in terra Messiapiae Illustrissimus et Reverendissimus dominus archiepiscopus una cum rev. Domino generali vicario et arcidiacono Brundusino Ioanne Leonardo Lombardo u. j. D. Marco Scolano convisitatoribus ac me abb. Paulo Nigrino canpnico Brundusino. Stans in sala sui archiepiscopalis palatij Mmessap. (…) Deinde ad visitationem fontis baptisimalis. (…) Postea ad visitationem altaris maioris cum icona magna et effigie Omnium Sanctorum”.
Anche il vescovo Odriscol (13 nov 1651) e Lorenzo Raynosso (ottobre 1652) nelle visite pastorali a Mater Domini parlano rispettivamente “altare maius cum icona d. n. Iesu Christie et Omnium Sanctorum” e “Resurrectionis Iesu Christi”.
Questa grande tela, che sicuramente dapprima aveva forma rettangolare (in orizzontale), e che come già riportato era posta sull’altare maggiore della collegiata non trovava più posto adatto nella nuova chiesa progettata nel 1650 dal sacerdote mesagnese Francesco Capodieci, dal frate Francesco da Copertino e dal chierico mesagnese Antonio Leugio, dove cinque altari prevedevano quadri delle dimensioni di circa cm 170 di base x 270 di altezza e gli altri di dimensioni maggiori, circa 350 x 600, e trovandosi già a Mater Domini, si ritenne idoneo ed opportuno lasciarlo considerato proprio che l’episodio rappresentato corrispondeva al brano del Vangelo che si proclama proprio la domenica in Albis, giorno della festa istituita dal vescovo Falces come scrive il Montorio: “In quella tela fu dipinto il fatto di S. Tommaso Apostolo, quando incredolo toccò le piaghe del risorto suo Maestro divino, e non per altra ragione, se non perché, avendo Monsignor Falces Arcivescovo ordinata la sollenne Festa nella Domenica in Albis, pareva convenevole rappresentarsi un tal misero avvenuto in quel giorno”.
Pertanto con una modifica strutturale, centinatura e accorciamento laterale, fu posizionato “in testa” all’icona nella e della primitiva cappella. Passiamo ora all’autore del quadro.
Esso è stato attribuito al pittore mesagnese Gian Pietro Zullo, “praeclarissimus pictor” come lo definiva Epifanio Ferdinando (1569-1638). Ma mentre è certo che fu l’autore del restauro, o meglio della sua totale ridipintura, dell’antico affresco, lo stesso non si può dire per questa grande pittura ad olio su tela se non provenienti da studi o analisi critiche solo degli ultimi decenni e addirittura fino ai nostri giorni.
Osservando questo dipinto salta subito in evidenza la figura dell’apostolo di destra con la tunica verde che è l’unico personaggio con cui l’osservatore possa entrare in comunicazione che con molta probabilità è l’autoritratto dell’autore, ma che, se effettivamente fosse stato realizzato per la chiesa di Mater Domini, non può essere G. P. Zullo che all’epoca aveva come età almeno cinquanta anni, mentre quello del dipinto ha un volto decisamente giovanile.
Poiché è ormai accertata la provenienza dalla Chiesa Madre, un indizio circa la sua realizzazione ci viene ancora dalle Visite Pastorali e precisamente dall’Inventario dei beni mobili di proprietà del Capitolo di Mesagne redatto in occasione di quella avvenuta il 28 gennaio 1566 dall’Arcivescovo di Brindisi Giovanni Carlo Bovio (21 giugno 1564 – settembre 1570): “Bona mobilia maioris Ecclesiae sub invocatione omnium sanctorum terrae Meianei sunt infrascripta.
(…) Item Tabernaculum vitreum, ac argenteum, per reponendo sanctissimo sacramento eucharistiae, et deferendo in die sanctissimi corporis Christi, cuius tabernaculi pars aliqua deaurata est, et in superiori eius parte est imago Salvatoris”.
Questo documento, che già nel 1566 conferma la presenza sopra al tabernacolo dell’altare maggiore della Chiesa Madre di un grande quadro, e riportato anche nella visita pastorale del vescovo Falces nel 1606 “altaris maioris cum icona magna et effigie Omnium Sanctorum”, esclude definitivamente, anche se per la sola attribuzione, Gian Pietro Zullo (1557-1619) e di conseguenza l’autore può essere definito “ignoto”, almeno fino ad oggi, confermando anche il mancato inserimento di questo dipinto nel corpus delle sue opere riportate nella relazione «Praeclarissimus Pictor – Gianpietro Zullo – Pittore della Controriforma», del Dott. Domenico Ble.
L’attribuzione a Gian Pietro Zullo.
La prima attribuzione di questa tela a Gian Pietro Zullo si trova nel volume: A. Bellanova – A. Nitti «IL SANTUARIO DI MATER DOMINI – Mesagne» del 1993 stampato in concomitanza dei lavori di restauro del Santuario: “A nord, nella parte destra del braccio, l’altare è arricchito da una grande tela l’Incredulità di San Tommaso, attribuita al pittore mesagnese G. Pietro Zullo. Questa tela si distingue dalle altre per gli accentuati riferimenti alla scuola veneta. La parte superiore evidenzia i temi coloristici e gli aspetti formali del Tiziano, specie nella trattazione della lanterna e delle colonne di stile ionico. Nella parte inferiore i toni luministici sono maggiormente accentuati e si nota un riferimento alla scuola romana di Raffaello. Nell’apostolo dalla tunica verde ed il manto rosa pallido si ravvisa, nel volto, il ritratto di Raffaello e nel corpo la figura speculare del giovane che vediamo a sinistra sia nell’ affresco la Disputa del Sacramento che in quello della Scuola di Atene (Roma, Stanze del Vaticano). L’intera composizione riprende schemi anch’essi raffaelleschi così come è evidenziato nel cartone per arazzo La consegna delle chiavi (Londra, Victoria and Albert Museum) e nel disegno di Cristo da le chiavi a S. Pietro (Parigi, Museo del Louvre)”.
Due considerazioni, ma senza entrare nel merito della eventuale ispirazione alle citate opere museali: la prima ovviamente riguarda quale autore, anche se per la sola attribuzione, Gian Pietro Zullo, che come abbiamo già visto non è esatta”;
La seconda riguarda quanto riportato nella prefazione della pubblicazione: «Inventario della pittura sacra in età moderna nelle chiese di Mesagne»:
“A cavallo tra XVI e XVII secolo registriamo le prime testimonianze sul mesagnese Gian Pietro Zullo che nel 1605 ritocca l’immagine della Vergine Mater Domini, una pittura originariamente bizantineggiante, al cui nome è dedicata la chiesa in cui si trova. Gian Pietro Zullo, definito “praeclarissimus pictor” da Ferdinando Epifanio è citato dai poeti contemporanei Maia Materdona, anch’egli mesagnese, … (Nella nota in basso alla pagina: Di questo discepolo di Giacomo Palma Veneziano parlano onorevolmente il de Leo, il P. Montorio, ed altri. Epifanio Ferdinando poi lo chiama “Praeclarissimus Pictor, cujus immagines adhuc vivunt: cujus pictura adeo elegans et pulchra, ut mortalium oculos statim ad mirantes trahcrct”)
… omissis …
…. Un corpus di opere per ora scarso, quello dello Zullo che potrebbe arricchirsi a partire ad esempio dalla Incredulità di S. Tommaso della chiesa di Mater Domini, tela che andrebbe identificata con il grande quadro ad olio eseguito per l’altare maggiore e perforato per potervi contenere la sacra immagine della titolare ritoccata, come si è scritto, proprio dallo Zullo… (Nota: A questo punto c’è un richiamo alla nota 9 di pag. 18: … omissis … come ad esempio la figura del giovane apostolo dalla tunica verde che si volge al riguardante indicando l’evento miracoloso che pare richiamare vagamente la postura, qui proposta specularmente, del presunto ritratto di Francesco Maria della Rovere raffigurato da Raffaello nella Disputa del Sacramento delle Stanze Vaticane. L’attribuzione è ripresa da A. Bellanova – A. Nitti: Il Santuario Mater Domini Mesagne – Mesagne 1993, pag. 76, ove si dimentica il rimando bibliografico)”.
Ricostruita tutta la storia della parte inferiore di questa grande tela, cerchiamo ora di capire chi fu l’autore dell’aggiunta superiore che si è ispirato alla facciata della chiesa, allora già completata, riprendendo le due colonne con capitello di stile jonico ed il cornicione; è da prendere in considerazione il pittore mesagnese Domenico Pinca (1746-1813) per un piccolo particolare: si tratta della lampada a tre luci (Foto 4) che è simile a quella riportata nell’ovale dell’Ultima Cena, sua opera, realizzata per la Chiesa Madre (Foto 5) ove attualmente si può ammirare nel transetto sinistro.
Continuiamo con le restanti opere cominciando con l’altra grande tela di destra avente le stesse dimensioni di quello di San Tommaso.
Leggiamo ancora la descrizione del Prof. Antonio Bellanova: “…Rappresenta l’indirizzo post-tridentino (Concilio di Trento 13 dic 1545 – 1563) con il corpo di Cristo nella parte bassa del quadro, la disperazione della Maddalena e il dolore di Maria. La croce, che occupa la parte superiore del quadro, emerge in modo significativo, simbolo si curo del sacrificio per l’umanità. La scena si svolge con tinte scure e figure lumeggiate che ricordano le tele del Salviati (1510/1563) riviste dalla Congregazione del Concilio.
I colori del marrò-scuro si contrappongono ai grigi scuri e gli azzurri tenui riprendendo i temi coloristici del quadro delle Anime del Purgatorio, ma è accentuata la prevalenza dei toni scuri su quelli chiari per marcare la tragicità dell’evento”.
Purtroppo non abbiamo documenti che accertino la data di esecuzione e di conseguenza nemmeno l’autore, ma dalle visite pastorali possiamo conoscere almeno il periodo in cui questa tela si trovava già in chiesa.
Come per la tela di San Tommaso che, pur parlando dello stesso dipinto si è vista una diversa descrizione del soggetto, è probabile che anche questa che noi definiamo come “Deposizione” sia stata identificata con titoli diversi come si evince dai seguenti documenti: VISITA IN MESAGNE DI MONS. ANDREA MADDALENA NELL’ANNO 1725 – DECRETI DI SANTA VISITA PER MESAGNE: “Die 12 aprilis Illustrissimus Reverendissimus Dominum continuando sua generalem visitationjem se consulit …” (omissis)
DE ECCLESIA MATRIS DOMINI
“In dicta ecclesia quatuor adsunt altaria, quorum duo sunt iam interdica.
Altare maius est sub titulo Beatissimae Virginis, cuius imago est in pariete depicta et predictum altare est septo ligneo circumdatum.
Aliud vero altare est sub titulo Santissimi Crucifix cum imagine eiusdem”.
Decreta:
De altari Santissimi Crucifixi: Reficiantur et reaptentur due mappae dicti altaris in quo inter duo candelabra collocetur crux cum crucifixo.
Questa descrizione ci indica che c’era un altare dedicato al Santissimo Crocifisso precisando “cum imagine eiusdem – con l’immagine dello stesso” che potrebbe indicare proprio la medesima tela che noi definiamo “deposizione” e quindi già presente nel 1725.
Anche nell’Apprezzo del Feudo di Mesagne del Vinaccia nel 1731 troviamo descritto un altare: “nel lato di man destra veggonsi eretti due altari in faccia al muro, il primo sotto il titolo di S. Teresa, il secondo della Pietà, tutti due con quadro ad oglio”, sicuramente lo stesso quadro.
Una curiosità relativa ai due grandi quadri (Deposizione e S. Tommaso): verso la fine degli anni sessanta presentavano delle evidenti lacerazioni in vari punti ed un rigonfiamento alla base che si pensava fosse dovuto ad un cedimento strutturale; asportate dalle loro sedi, per applicare delle piccole tele sul retro per tamponare le lacerazioni ed operare un restauro, si scoprì la presenza di una colonia di pipistrelli e che il rigonfiamento era dovuto ad un notevole accumulo di guano; questo fu recuperato dai tecnici della Montecatini AFE – Area Fertilizzanti, (lo stabilimento nel capannone di Sant’Apollinare nel porto di Brindisi) per ricerche e prove di laboratorio.
In seguito, chiusi i pertugi delle finestre, i pipistrelli furono catturati e messi in libertà all’esterno.
Parliamo ora delle altre due tele poste una sull’ingresso laterale lato nord che raffigura l’Assunta e l’altra di fronte sul lato sud l’Annunciazione. Misurano entrambe cm 300×320 centinate. Di esse parleremo in particolare quando affronteremo con un capitolo specifico la costruzione della chiesa e la sua evoluzione dalle origini fino ai nostri giorni.
Nel volume «Inventario della pittura sacra in età moderna nelle chiese di Mesagne» del Prof. Massimo Guastella entrambe sono datate metà del XVIII secolo ed attribuite ad autore ignoto di ambito meridionale.
La loro presenza è annotata del Canonico Roberto Guarino dell’8 maggio 1752 nella sua relazione in seguito alla visita pastorale del vescovo Giovanni Angelo de Ciocchis.
La tela dell’Annunciazione è stata restaurata nell’anno 2001 dalla Dr.ssa Rita Raffaela Cavaliere.
Un’ampia recensione dal titolo “Contributo allo studio della tela dell’Annunciazione Conservata nel Santuario di Mater Domini” a cura del Dott. Angelo Sconosciuto è disponibile sul librettino «Nuovi studi di storia e di arte per il Santuario di Mater Domini» pubblicato nel 2001 in occasione del restauro.
Anche se non annotate nei documenti finora consultati, meritano, almeno come ricordo, le due tele, della misura di cm 250 x 170, non più presenti in quanto trafugate il 18 aprile 1993, anch’esse di autore ignoto, raffiguranti una “San Gennaro” e l’altra “La Madonna e le Anime del Purgatorio”; quest’ultima è stata più volte descritta come Madonna del Carmine, ma erroneamente perché manca lo scapolare e sicuramente commissionata dopo il 1731 in quanto il Vinaccia indica quell’altare dedicato a Santa Teresa.
Erano collocate sui due altari ai lati nord e sud frontalmente alle grandi tele di San Tommaso e della Deposizione.
Dopo il furto del 18 aprile 1993, non sono mai state ritrovate; le uniche foto disponibili sono opera dell’Ins. Antonio Nitti per conto del Centro Studi Antonucci. (Foto 6 e 7)
Una particolare attenzione merita la tela di San Gennaro.
Parlando di questo Santo subito ci viene subito in mente la città di Napoli e la stessa Campania dove il culto è molto diffuso e radicato tra la popolazione, mentre non solo a Mesagne, ma anche nel nostro territorio è pressocché inesistente; quindi ci si chiede come mai una tela che lo raffigura e addirittura con la dedicazione di un altare?
Si può solo ipotizzare un collegamento con Napoli in seguito all’approvazione della “Regola della Confraternita” munita del Regio assenso di Re Ferdinando IV avvenuta il 26 settembre 1785.
Qui di seguito la prima e l’ultima parte del documento la cui copia originale è conservata nell’Archivio Parrocchiale:
“Ferdinandus IV. Dei Gratia Rex Utriusque Siciliae, et Jerusalem, Jspaniarum Infans, Dux Parmae, Placentine, et Castri, ac Magnus Princeps Hereditarius Etruriae
… (omissis) …
[no]strorum Regium Beneplacitum, servata forma Regalis Rescripti de’ die 29 mensis Iunii 1776 semper stabilis, regalis, valida, fructuosa et firma, nullumque in Iudiciis, aut extra sentiam quomismodo diminutionis incomodum, aut noxae alterius detrimentum pertimescat, sed in suo semper robore, et firmitate persistat. In quorum fidem hoc presens Privilegium fieri fecimus Magno Nostro sigillo pendenti munitum.
Datum Neapoli ex Regali Palatio supradicta die 26 mensis septembris millesimi septingentesimi octogesimi quinti, dico 1785 = Ferdinandus IV”.
Questa rassegna continua con altri tre dipinti più piccoli di forma ovale, olio su tela, delle dimensioni cm 70 x 50 che si trovano, in alto, rispettivamente sull’altare maggiore e su quelli ex Madonna con le anime del Purgatorio e San Gennaro; il primo raffigura l’Eterno Padre e gli altri due Santa Lucia e il martirio di San Cosimo e Damiano.
La datazione è da ritenersi fine del XVIII secolo e sicuramente successiva al 1783 quando furono realizzate le decorazioni del presbiterio e degli altari laterali ad opera “dello mastro Michele Garrofalo, stocchiatore napoletano accasato e commorante in Mesagne ed altri mastri”.
Dietro all’ovale dell’altare maggiore è dipinto sul muro il logo mariano AM; questo è venuto alla luce durante i lavori di pulizia straordinaria del presbiterio nel 2022.
Il Prof. Massimo Guastella attribuisce due di queste piccole tele a pittori ignoti di ambito salentino mentre quello riguardante il martirio dei Santi Cosimo e Damiano a Domenico Pinca. (Foto 8)
Quest’ultimo era stato erroneamente indicato come soggetto “Giuditta e Oloferne”, ma ciò è assolutamente privo di fondamento in quanto non corrispondente affatto a quanto descritto nell’Antico Testamento – “Libri Storici – Giuditta” al cap. 13.
Un’attenta analisi dei dettagli sembra avvalorare che quanto raffigurato riguarda proprio i due fratelli la cui agiografia riporta che, dopo aver subito diversi supplizi, ma rimanendo sempre indenni, furono alla fine decapitati nel 303, durante il regno di Diocleziano, a Ciro, città vicino ad Antiochia oppure ad Egea di Cilicia, in Asia Minore e poi traslati a Ciro.
Osservandolo si notano due particolari che ci rimandano proprio all’area geografica del Medio Oriente e sono la scimitarra in mano al giustiziere ed il copricapo del personaggio che si vede a destra a ridosso del muro.
Che si tratti di un santo martire cristiano è dato dalla figura dell’angelo in alto sopra alle nubi che porge la palma e la corona dove nella simbologia cristiana la palma fa riferimento al Salmo 91:13 “il giusto fiorirà come rami di palma” e la corona al libro dell’Apocalisse al capitolo 2:10: “Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita”.
Continuando l’analisi ciò che si osserva sulla destra sembra essere la bocca “spenta” di una fornace che rappresenta l’ultimo, ma inutile, tentativo di supplizio prima della definitiva decapitazione, mentre il volto che si intravede a ridosso potrebbe essere quello dell’altro fratello in attesa del proprio martirio.
Anche i colori rosso e verde del vestito sono tipici nella raffigurazione dei due Santi Medici.
Infine in primo piano è raffigurata una donna in preghiera che a prima vista può sembrare una religiosa, ma osservando bene si può escludere questa condizione in quanto manca il velo sulla testa; forse la committente?
Quattro altri dipinti si trovano sui pinnacoli della cupola dove sono raffigurati gli evangelisti, copia di quelli del Domenichino che si trovano nella chiesa di S. Andrea della Valle a Roma; inoltre nelle vele a ridosso delle volte si susseguono sei tondi, anch’essi di autore ignoto probabilmente del XX secolo, con le immagini di San Luigi Gonzaga, l’Angelo Custode, S. Anna con la Madonna bambina, San Giovanni Battista, S. Antonio da Padova e San Giuseppe.
Passiamo ora a quelle di cui si conoscono sia gli autori sia il periodo:
Sulle vele del presbiterio due dipinti raffigurano l’Annunciazione opera del Prof Egidio Ribezzi e l’Assunta del Prof. Salvatore Scoditti. Si tratta di due pitture su tela applicate al muro commissionate il 1950 dall’allora rettore Don Teodoro Magrì.
Mons. Angelo Catarozzolo, durante il periodo 1951 -56 in cui fu rettore del Santuario, fece dipingere dal pittore mesagnese Francesco Rizzi le due tele poste ai lati dell’ingresso raffiguranti lo Sposalizio di Maria e la Sacra Famiglia ispirate ad opere classiche.
Sempre nello stesso periodo fece eseguire i lavori di restauro della chiesa con pitturazione interna delle pareti laterali e della cupola ad opera del pittore Salvatore Murra e figlio Raffaele. Di queste pitturazioni esistono solo due fotografie (foto 9 e 10) pubblicate sul fascicolo «SANTI E SANTUARI» del 1978.
Durante i lavori di restauro dei primi anni novanta l’intonaco della cupola fu completamente rifatto in quanto a causa dell’umidità era decoeso e cadente. Anche i finti marmi del maestro Murra che decoravano il presbiterio furono coperti per armonizzarsi con la nuova tinteggiatura dell’intera chiesa; fu anche occultata la scritta ET VERBUM CARO FACTUM EST che capeggiava in alto sotto al cornicione del presbiterio; forse non sarebbe sbagliato se venisse riportata alla luce.
Ultima tela in ordine di tempo è quella dei Santi Pietro e Paolo opera del giovane pittore mesagnese Mino Tenore eseguita negli anni novanta e posizionata sull’altare dove prima del furto vi era quella della Madonna e le Anime del Purgatorio; all’altro lato al posto di quella di San Gennaro ora c’è un pannello con al centro una stampa della Vergine Immacolata circondata e quindici immagini, stampe, dei misteri del Santo Rosario. Opere minori sono esposte in sagrestia.
A livello di immagini non si possono tralasciare gli otto i finestroni istoriati della cupola con simboli mariani e i quattro ai lati della chiesa raffiguranti la Natività, le Nozze di Cana, la Deposizione e la Pentecoste dell’artista senese Rita Rossella Ciani e realizzati dalla ditta La Diana-Vetrate artistiche di Siena.
Fine della seconda parte.
La successiva riguarderà le varie statue.
Bibliografia/fonti:
- Archivio Parrocchiale;
- Regione Puglia – Massimo Guastella «Inventario della pittura sacra di età moderna nelle chiese di Mesagne – Neografica Latiano Settembre 1993.
- Bellanova – A. Nitti «IL SANTUARIO DI MATER DOMINI MESAGNE» Centro Studi Antonucci – Mesagne 1993.
- Istituto Culturale Storia e Territorio – Università Popolare e della libertà – Mesagne «Nuovi studi di storia e di arte per il Santuario di Mater Domini – Italgrafica Edizioni – Oria ottobre 2001.
- Luigi Greco «STORIA DI MESAGNE IN ETA’ BAROCCA» Vol. III – Schena Editore Fasano 2001.
- Archivio di Stato Brindisi, Arcidiocesi di Brindisi- Ostuni, Amministrazione Comunale Mesagne, Associazione Chiesa Madre Mesagne «La Chiesa Matrice di Mesagne fra storia e restauri» Italgrafica Edizioni – Oria dicembre 1996.
- Città di Mesagne -Assessorato alla Cultura – Società Storica di Terra d’Otranto «L’Apprezzo del Feudo di Mesagne» eseguito da Pietro Vinaccia nel 1731 con l’aggiunta di documenti inediti, a cura di Angelo Sconosciuto, Domenico Urgesi, Mario Vinci – Schena Editore Fasano 2001.
- Rivista della Biblioteca Pubblica Arcivescovile A. De Leo – Parola e storia «Praeclarissimus Pictor – Gianpietro Zullo pittore della Controriforma» di Domenico Ble.
- Fascicolo n° 18 della serie «Santi e Santuari» Rizzoli Editore – 1978 – La vita di San Camillo de Lellis – Il Santuario di Mater Domini a Mesagne.
- Anselmo Cosimo Leopardi «MESAGNE CITTA’ DALLE CINQUANTA CHIESE» Bari 1982.
Foto:
- Foto1, 2 e 4: Dalla relazione della dott. Cavaliere curatrice del restauro.
- Foto 5: Davide Marti.
- Foto 8: Archivio personale.