Et unde hoc mihi, ut veniat mater Domini mei ad me?
A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me
Lc 1,43
La chiesa di Mater Domini, in rapporto alle dimensioni, dispone di un buon apparato iconografico, pitture e statue, di cui sicuramente il più prezioso, sia dal punto di vista religioso, sia artistico, è senza ombra di dubbio il dipinto che si trova in testa all’altare maggiore con l’immagine di Maria SS.ma Mater Domini rinvenuta martedì santo 17 marzo 1598 in una vecchia cappella abbandonata e chiusa al culto e come la descrive il Montorio: [Nota 1] “in modocché la Immagine della Vergine, che ivi era dipinta in un frammento di muro, offesa dalle pioggie, avea quali già perduti i suoi colori, e poco ò niente vi compariva del suo volto”.
Dal punto di vista realizzativo è l’unico, ad eccezione di quelli del secolo scorso, di cui si conosce il nome dell’autore ed il periodo della sua realizzazione.
Questo dipinto viene definito erroneamente “affresco”, ma ciò non corrisponde alla realtà in quanto quello che osserviamo non è l’originale; infatti era l’immagine originale ad essere dipinta a fresco sul muro, ma essendo ormai sbiadita e poco visibile, si rese necessario un suo restauro che fu affidato ad un artista mesagnese che però la modificò completamente coprendone l’originale.
Ci è stato tramandato che questi, dopo aver provveduto a dipingere i panneggi “mentre un giorno per riposare, addormentossi per qualche poco di tempo, altra mano usurpossi le sue fatiche, perché volendo doppo svegliato dar mano a’ pennelli per dipingere il volto della Vergine, avviddesi, non senza eccessivo stupore, che tanto l’uno quanto l’altro erano perſezzionati da altro pennello molto più esperto del suo , e che non potendo quello essere stato d’uomo mortale, dava chiaro indizio, che la mano ſu Angelica, ò divina; onde egli sopraffatto dalla maraviglia, e dalla riverenza, prostosi a’ piedi della miracolosa Immagine, adorando in essa la infinita bontà divina, che si sbracciava, per dir così, per accrescere alla sua Madre le glorie.” (dallo «Zodiaco di Maria» di Fra Montorio del 1715)
Anche se modificata, resta un’immagine odigitria in stile bizantino, ma con un particolare che rende il dipinto di Mesagne un “unicum” che è dato dalla mano sinistra; in tutte le immagini odigitrie si nota Maria che con una mano regge il Bambino e con l’altra lo indica a conferma proprio del termine che significa “colei che conduce, che indica la via”; nel nostro caso la mano libera della Madonna è raffigurata con il palmo frontale; purtroppo non possiamo sapere se questo particolare si trovava nell’affresco originale oppure fu una libera interpretazione dell’autore; da una ricerca sul Web, tra le tante immagini di icone bizantine non se ne trova un’altra con questo particolare così definito.
Ma chi fu l’autore? Al momento non abbiamo documenti originali, ma possiamo con certezza risalire alla sua identità ed all’arco di tempo in cui fu realizzata. Ci viene in aiuto Daniele Geofilo Piccigallo con la pubblicazione: «Breve RELATIONE – COME FU TROVATA e dei primi miracoli che fece S, MARIA MATER DOMINI» In Mesagne della Provincia d’Otranto – con alcune rime in sua lode DEL SIG. DANIELE GEOFILO PICCIGALLO / IN NAPOLI, / Per Gio. Battista Sottile. MDCV
In seguito riparleremo di questa relazione, ma ora soffermiamoci su un particolare di questo volumetto di 23 pagine dove le ultime quattro riportano alcune preghiere tra cui questa in particolare:
ALLA BEATA VERGINE
ALMA del Ciel Regina, / Madre di Dio, e Sposa, / Tu c’hor stai infra i Celesti Chori.
Più di tutti beata, e gloriosa / Benigna à c’hor s’inchina / Hoggi quì mostra tue gratie, e favori.
Volgi tuoi lumi santi, / Madre del Verbo eletta / Da quel sommo Fattor Rege, e Monarcha
A quei, che questo albergo hoggi ricetta / Al solito non parcha / Mostrat’hor com’hai fatto à tanti, e tanti. Tu, che quelle gran lampe / Della Luna, e del Sole, / Di splendor vinci, e fiammeggianti stelle
Hor volgi di tuoi lumi à quel che vuole Un sguardo à Verginelle, / et à casti Giovenetti al cuor si stampe
Tant’amor, che poi quelli / Non lugubri, e funesti / Cantino carmi, ma tue lodi tante,
Che son, quante stelle, ѽ arene quante
Lo stesso Piccigallo pubblica nel 1609 un altro volumetto dal titolo «RIME» (RIME DEL SIG. DANIELE Geofilo Piccigallo – Amorose boscherecce Heroiche, Sacre, Lugubri e Varie – Di Venegia di primo di settembre 1609) di circa 120 pagine dove a pag. 96 ripropone la stessa preghiera, ma con questo titolo: A Santa Maria Mater Domini di Misagne – di mano del Zullo. Questo è il primo documento che ci consente di conoscere con certezza sia l’autore sia l’arco di tempo: 1605 – 1609 anni di pubblicazione, ma certamente redatti in precedenza.
Ne parla anche Fra Montorio nel suo «Zodiaco di Maria»: “… pensarono quei Reverendi Canonici farla ritoccare, e colorirla di nuovo, che però ſu eletto à quest’opera un tale Giampietro Zullo famoso Pittore di Mesagna.
A tal proposito leggiamo ora quanto il Dott. Domenico Ble ha scritto su questo pittore: «Praeclarissimus Pictor – Gian Pietro Zullo Pittore della Controriforma» pubblicato su «Parole e Storia» Anno XV, n.1/2021 – Rivista della Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo” – Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni.
Omissis…
Opere note e autografe
“Come scritto in precedenza, non si conoscono i tratti biografici salienti del pittore Gianpietro Zullo, né conosciamo fino in fondo tutto l’excursus artistico, ma possiamo capirne qualcosa solo attraverso alcuni “frammenti” della produzione artistica. Tali di pinti, sono la testimonianza della conoscenza di uno stile in voga fra XVI e XVII secolo nel Salento ed in gran parte del Meridione d’Italia, discorso che ci occuperà successivamente.
Un primo dato artistico del pittore è il “recupero” – di fatto si tratta di un ritocco dei colori -, dell’effige miracolosa della Vergine di Mater Domini, icona raffigurante una Vergine Odigiatria risalente al periodo che va dal XIV al XV secolo, ritoccata appunto da Zullo nel XVII secolo.
Nell’affresco vengono “migliorati” i tratti somatici della Vergine e dl Bambino Gesù, infatti il naso, le mani, gli occhi e le gote rosse sono frutto del “rimaneggiamento” apportato da Gianpietro Zullo; elementi questi che rivedremo in seguito nelle tele. Anche il maphorion nelle pieghe e nell’aggiunta dei diademi risente di questo gesto artistico.
Stando alle memorie lasciate, il pittore è stato protagonista in prima persona di un evento miracoloso. Si narra infatti che Zullo, mentre era all’opera, fu preso da un forte sonno e una volta sveglio scoprì con grande meraviglia che l’icona splendeva di lucentezza. Chiaramente questo racconto ha funzionato da amplificatore nei riguardi del culto in onore della Vergine Maria. Bisogna inquadrare l’operato del pittore in Mater Domini, e in base a quanto riportato da Luigi Greco, i lavori di edificazione del santuario risalgono agli inizi del XVII secolo, periodo in cui, ad avviso di chi scrive, Gianpietro Zullo aveva messo mano al “recupero” dell’icona. Dal punto di vista formale e stilistico, l’opera serve a poco in quanto l’artista per l’elaborazione non ha avuto nessun tipo di ispirazione, ma non per questo, il lavoro merita di essere menzionato”.
Restando all’autore del restauro c’è un particolare molto dubbio nella «MESSAPOGRAPHIA SIVE HISTORIA MESSAPIAE» di Diego Ferdinando (1611-1662) – databile intorno al 1655 – al capitolo VIII riporta questa espressione: “A Virginum Suburbio per mediam viam (qua) à Pietro Paulo Leopardo Celestinorum Abbate meritissimo {constructa,}, ob imaginem S. Mariae Matris Domini annis elapsis inventae, constructam; (Traduzione: Dal Sobborgo delle Vergini, si veniva condotti, attraverso la strada di mezzo, davanti alla rinvenuta immagine di Santa Maria Madre del Signore, [Mater Domini] restaurata, negli anni passati, dal devotissimo Abate dei Celestini Pietro Paolo Leopardi….) [Nota 2]
Di questo abate abbiamo notizie al Cap. XI pag. 164 del volume «VIE PIAZZE VICHI E CORTI di MESAGNE» dell’Avv. Antonio Profilo – dal titolo: Corte Mauro Leopardi: “Della famiglia mesagnese Leopardi o Leopardo le prime risalgono alla seconda metà del secolo XVI. Furono di questa famiglia due meritatissimi personaggi dell’Ordine Celestino, Resta e suo nipote Francesco Antonio.
I – Resta, che in quell’ordine prese il nome di Pietro-Paolo, nacque nel 1572 e morì a Napoli nel 1633” (quindi quasi coetanei). Omissis
“Fondò in Napoli il Monistero dell’Ascensione o di S. Michele, del quale con somma lode ebbe la direzione per 16 anni”.
Quindi se questi dati sono esatti l’abate lasciò Mesagne almeno il 1617 e sembra improbabile il suo intervento sull’icona, specialmente quando si parla di restauro che come è accertato fu opera di Gian Pietro Zullo, né probabile un suo eventuale intervento successivo quando ancora lo Zullo era vivente ed in piena attività che continuò fino alla morte avvenuta nel 1619. Possiamo parlare di informazioni errate?
Ritorniamo al restauro e precisamente all’episodio relativo ai volti durante il restauro di cui ne abbiamo parlato in precedenza e ripreso dallo Zodiaco di Maria di Fra Montorio consultando:
«LA MESSAPOGRAFIA» – Del letterato salentino Epifanio Ferdinandi Accresciuta e tradotta in italiano dal latino Da Antonio Mavaro – Libro Primo [Nota 3]
L’autore al § XIIII dal titolo “Della cappella di Mater Domini”, oltre al riportare quanto successo quel 17 marzo 1598 (sudorazione dell’Immagine) sul successivo episodio dà anche un suo personale giudizio che ha come protagonista Gian Pietro Zullo durante il restauro:
… omissis … “Un tal altro stupendo prodigio, sembrerà a spiriti forti dei nostri tempi, uno di quei fatterelli che dalle balie raccontansi a bambini per divertirli. Non voglio entrare ad esaminare le circostanze: solo dico che la miracolosa Immagine tanto della gloriosa Vergine Maria quanto del di lei figlio Gesù Bambino anno in loro stesse un non so che di del Divino e del prodigioso nelle loro fatture: e nel tempo stesso, a chi con vera devozione e fiducia le guarda ne risente nell’interno quella commozione, per la quale ne resta sorpreso in maniera che non può non confessare esservi stato in quelle del soprannaturale e divino”.
Poi sugli stessi argomenti, sudorazione e pittura, riporta questa vicenda:
“La costante tradizione sin ai nostri giorni tramandataci dovrebbe essere una sufficiente prova ad indurci a credere che veri fossero stati li di sopra enunciati prodiggi: Che una tal tradizione si fosse mantenuta costante sin dalla di lei nascita, ce ne somministra la chiara ed incontestabile prova di quanto sarò per esporre.
Nell’anno 1683 nel di 25 del mese di aprile fu tenuta da quelli illuminati, e dotti Soggetti, che componevano l’Accademia degli Affumicati di questa città (di cui ne feci parola nell’AGGIUNTA sopra al Cap. XXI) una di loro assemblea entro la Chiesa della sopradetta Cappella di Mater Domini e fu proposto il seguente problema cioè: Come s’avesse dimostrata più affettuosa essa Madre di Dio a prò la nostra Patria, come aversi fatta ritrovare pittata miracolosamente, o per aver sudato il suo Santissimo volto.
N’era della suddetta Accademia Segretario in quell’anno il Segretario d. Antonio Longo, Sacerdote, e Succantore di questa Collegiata, il quale nel Registro ch’egli fece d’una tal Assemblea intestò che il dottor Stefano Gionfilo fosse stato quello che ne fece l’introduzione: che Lucantonio Resta difese il punto circa la miracolosa pittura, ed Oronzo Verardi quello del sudore aggiungendo che: sopra li divisori punti …. Accademi furono varie dotte Composizioni in latino, in greco o spagnolo ed in lingua volgare recitate.
Dell’anno 1598, in cui seguì il miracoloso sudore, l’invenzione, e prodiggiosa pittura sino al sopradetto anno 1683 in cui fu tenuta la detta Accademia erano già decorsi anni ottantacinque: vale a dire che la tradizione, che quelli dell’Accademia n’avevano ricevute dai loro antenati, era ancora recente: onde se essi non ne furono di quei prodigj testimonj oculari: non ci si potrà però negare che li loro Padri e Congiunti il fossero stati: da che più ritengo della di loro età non era scorso: onde n’avevano per ciò inteso il racconto ad essi fatto colla viva di loro voce: ci si potrà dunque contro d’una tal vera e costante tradizione opporre cosa in contrario? Certo che nò: Gli atti e Registro della cit. Accademia sono esistenti ed originali: onde non può presumersi la minima alterazione de’ sopra esposti fatti, e de’ sopradetti prodigj che il Signore si benignò d’operare in questa Città per la maggior gloria della Beatissima Vergine” … … omissis
Un altro prodigio, ma poco conosciuto, è riportato nel volume «Zodiaco di Maria»:
… omissis … “Or per autenticare la Vergine, e far conoscere quanto grata sia questa santa opera nella stessa sollennità, e. mentre cantavasi la Messa sollenne nell’anno 1698 in accostarsi allo Altare della Vergine una donna di nome Porzia ossessa da diece anni avanti, restò immantinente libera affatto da’ spiriti tormentatori, del che sia sempre lodata MARIA, della di cui potenza come Madre di Dio disse San Bernardo (ser.1.de Assum.) Nihil enim sic potestatis eius, seu pietatis magnitudinem commendare, nisi forte aut non creditur Dei Filius honorare Matrem”.
Ritorniamo all’icona: Sicuramente ha subito diverse modifiche nel corso dei secoli specialmente sui due volti e questo a causa della precarietà del muro di fondo composto da pietre con un leggero e sconnesso strato di intonaco.
Ovviamente se non fanno fede le varie riproduzioni, ma le foto (Foto 1 e 2) del secolo scorso ce lo confermano, ultimo in ordine di tempo il restauro del 1998. Un particolare riportato su molte riproduzioni antiche è dato dalle corone in testa; non siamo in possesso di documenti attestanti se l’incoronazione avvenne con l’approvazione della Santa Sede o dell’Ordinario diocesano, ma sappiamo con certezza che nella relazione della visita pastorale dell’arcivescovo Falces del 21 ottobre 1624 è annotato che in sacrestia vi erano custodite: “tre corone d’argento: unam Sanctissimae Matri Domini et duas eius filij”.
Interessante è il testamento [Nota 4] del canonico Raffaele Dormio rogato presso il notaio Giuseppe Antonio Luparelli nel 1721 che prevedeva la vendita dei suoi beni, consistenti in alcune case, stimate dal maestro Mauro Capozza di Lequile per il prezzo complessivo di quattrocento ducati. Il canonico della confraternita aveva inoltre deliberato che una parte della somma ricavata andasse in beneficio alla stessa e in particolare aveva legato quaranta ducati per l’acquisto di un investimento sacerdotale “… quale lascio e dono alla Beatissima Vergine di Mater Domini e di altri ducati dieci per la compra “voglio che si facci bella Corona a Gesù e Maria Materdomini mentre giorni addietro ce li rubbarono, e supplico perciò il Sig. Arciprete che abbia il pensiero della compra delle Corone e del vestimento sacerdotale a farli venire da Napoli e
che siano di tutta perfezzione e bontà“. Dato che le due corone che si appongono sulla testa della Madonna e del Bambino Gesù nelle festività liturgiche importanti e mariane riportano inciso il punzone “I – ESPOSITO” e che questo cognome rimanda ad un’area geografica specifica si può ipotizzare un argentiere napoletano e quindi essere proprio quelle del testamento.
Nel breve capitolo sul volume «Santuari e insigni monumenti mariani della provincia di Brindisi» di Alberto Del Sordo – 1969, in merito all’incoronazione troviamo erroneamente questa affermazione “Il 17 marzo 1914, Santa Maria, Mater Domini, fu solennemente incoronata dal Capitolo Vaticano”; questo evento riguarda la “Madonna del Carmine” Patrona di Mesagne.
Inoltre un particolare venuto alla luce durante l’ultimo restauro è dato dalle aureole che circondano il capo della Madonna e del Bambino che è riportato in tutte le riproduzioni; non sappiamo in quale occasione furono coperte e neppure se furono aggiunte da G. P. Zullo oppure, come più probabile, c’erano già nell’affresco originale.
Come già detto molte sono state le riproduzioni: su tela, stampe e su muro come quelle dell’edicole facciali (es. Via Cuneo), ma due meritano una citazione particolare.
La prima, olio su tela, si trova presso il Monastero delle Clarisse in Grottaglie (foto 3); è innegabile che tale dipinto, anche se con il manto tutto decorato con le stelle, riproduce l’icona di Mesagne che oltre alle due lettere M e D [Mater Domini] ha la mano sinistra con il palmo frontale. Di essa, contattate le consorelle del monastero e che la chiamano Madonna Mater Domini, non si hanno notizie né sul periodo né sulla provenienza.
La seconda è esposta nel Museo d’Arte Sacra “Argentiero-Cavaliere” in Mesagne; proviene dal Monastero delle Benedettine di Ostuni insieme ad altri documenti provenienti dall’ex monastero delle Clarisse di Santa Maria della Luce di Mesagne che sicuramente furono portate in Ostuni dopo l’abbandono totale di Mesagne; a tal proposito è interessante un dattiloscritto di mons. Antonio Epicoco: [Nota 5] “Andate vie le tre decrepite monache nel 1906, (le ultime tre, avanzatasi di età, nel 1906, uscirono dal Convento, una si ritirò presso la famiglia e le altre due chi nel Convento delle Benedettine in Ostuni e chi nel Convento degli Angeli in Brindisi).
É quindi presumibile ritenere che il materiale ora esposto nel museo di Mesagne sia stato portato in Ostuni proprio da quella monaca.
Osserviamo il dipinto (foto 4): una suora orante davanti alla sacra Immagine e questa scritta sulla destra (foto 5):
٨ M٨ D [Mater Domini] S. GIoVAoNA CANA
Come interpretarla?
La lettera S. potrebbe significare “Suora” e quindi identificare la figura ritratta oppure semplicemente la sua firma come autrice o addirittura entrambe, ma, data la provenienza originale, cioè il monastero delle Clarisse di Mesagne, è plausibile fare un’ipotesi più suggestiva e forse più realistica, e cioè che, fermo restando la firma dell’autore, la suora ritratta potrebbe essere addirittura Suor Angela Azzolino che all’epoca del rinvenimento dell’affresco fu protagonista di un evento miracoloso come descritto da Daniele Geofilo Piccigallo: “… Dopo a venti giorni la Beata Vergine sanò ancora dello stesso morbo (Nota: il paralitico Lucio Leucio) una Gentildonna detta Soro Angiola Azzolina, Guardiana del Monastero di Santa Maria della Luce in Mesagne, la quale dodeci anni era stata à letto, priva della sua sanità, e havendosi voltato devotamente alla Gloriosiss[ima] Madonna, e pregatola, che li donasse aita; ecco un giorno ad un subito si levò dal letto senza alcun soccorso, chiamandosi le sue Sore Monache e con una torchia accesa in mano camminando come se mai morbo alcuno havesse havuto, scese al Choro, e ivi si vide prostrata, e con humor a gl’occhi, che rendeva gratie alla Regina del Cielo, del duono havuto; Onde di questo stupendo miracolo vi corsero molti huomini, e donne Mesagnesi, ed anche dei convicini luoghi, dove con gran devozione bagnavano il pavimento di lagrime, vedendo detta Guardiana, qual hoggidi molto devota vive in detto monastero”. –
Un’altra immagine è quella che si trova all’esterno sul nel timpano spezzato che sormonta il portale centrale (foto 6) dove si vede solo il volto della Madonna.
Da un esame da vicino si nota che questa pittura si trova nell’intercapedine tra la facciata ed il muro è la parte superiore di una più grande che sicuramente riproduceva l’intera icona; con tutta probabilità è coeva alla costruzione della chiesa, ma poi quasi completamente coperta quando fu costruita l’intera facciata realizzata tra gli anni venti/trenta del XVIII secolo come si evince dal capitolo Venerabile Chiesa di Mater Domini sull’«Apprezzo del Feudo di Mesagne» eseguito da Pietro Vinaccia del 1731: “… fra le quali colonne stà la principal porta per cui si entra in detta Chiesa, come a suo luogo, sussegue al detto cornicione il 2° ordine, anche jonico non ancora compito”.
Venne scoperta nel 1987 in occasione dei lavori di restauro della facciata consistenti principalmente nella rimozione dello spesso strato di calce che la ricopriva completamente mettendo in evidenza la struttura in carparo; fu allora deciso di intervenire anche sul dipinto che si trovava sul portale, ma ormai del tutto deteriorato tanto da rendere quasi invisibile l’immagine, ma essendo realizzato su lamiera fu deciso di asportarlo per un restauro e fu così che si scoprì il primitivo affresco che tuttora si vede.
Non fu poi possibile restaurarlo in quanto il fondo metallico era completamente tutto arrugginito. Tra le varie riproduzioni tra presenti nei locali parrocchiali due di esse meritano di essere citate: la prima, olio su tela del XIX secolo, per decenni era esposta in chiesa sul muro laterale destro dove adesso si trova la teca con la statua.
Alla sua base c’era una lastra di marmo che serviva per i lumini e le lampade votive consistenti queste in un bicchiere di acqua con uno strato superiore di olio d’oliva e lo stoppino realizzato dai fiori essiccati della ballotta (nel nostro dialetto chiamata “fiuri ti lampa”); con l’avvento delle lumiere elettriche questa usanza venne abbandonata e rimosso il quadro che in pratica costituiva un doppione in chiesa.
L’altro quadro, opera di Antonietta Devicienti, ha il privilegio di essere stato benedetto da Papa Francesco il 14 marzo 2018 in Piazza San Pietro. Da allora, subito dopo la Croce, apre la processione cittadina il giorno della festa ed è ospitata nelle famiglie in occasione della Peregrinatio Mariae del mese di maggio.
Ritorniamo ora sulla figura di Daniele Geofilo Piccigallo autore della Relatione del 1605 e ciò che scrive in merito a quanto successo il 17 marzo 1598, martedì Santo, in qualità di testimone oculare; “… alle cui grida concorse quella quantità di genti…; tra cui fui io indegno e misero peccatore, che vidi scaturire da quel benedetto, gratioso, venerabile, e santo volto gocce di sudore, del che s’arricciarono a tutti, che presenti eramo i capelli”
Il Dott. Domenico Urgesi, Presidente della Società storica di Terra d’Otranto, nella presentazione dell’estratto della Relatione del Piccigallo così si esprime: … “Quello che leggiamo appare come una cronaca giornalistica, come se un giornalista stesse raccontando un avvenimento da lui visto. Lo ha visto, lo sta raccontando, quindi è vero”.
Di questo avvenimento ne parlarono il Dott. Saverio Gaeta direttore di Famiglia Cristiana ed il mariologo Padre Stefano De Fiores durante una trasmissione Porta a Porta nei primi anni del duemila riferendo che, ma senza entrare nei dettagli, la “prima manifestazione mariana in Italia” avvenne alla fine del XVI secolo a Mesagne in provincia di Brindisi.
Utilizzando questa dichiarazione come fonte per una ricerca sul Web è emerso che la natura del prodigio/miracolo del martedì santo 17 marzo 1598 bene indicata nel breve succitato brano del Piccigallo come “gocce di sudore” si trova travisata, anche su riviste religiose, in lacrime di sangue;
Qui di seguito alcuni di questi articoli:
1 LE LACRIME DI MARIA
da Medjugore a Civitavecchia
Un itinerario mariano
Di Rino Camilleri
Editore Mondadori (28 maggio 2013)
Partendo dalle apparizioni più antiche, quella del 2 gennaio 40 a Saragozza a San Giacomo e nel mese di luglio del 47 a Le Puy (a una donna di nome Vila, sul monte Aunus). De Flores cita lo storico Sozomeno, che già nel V secolo diceva essere la Madonna “solita a fare le apparizioni”. Di visioni, apparizioni e direttive ai santi e mistici è costellato il Medioevo, ma è significativo che la Vergine cominci a piangere appena usciti dai secoli cristiani, cioè in quel Rinascimento paganeggiante che vedrà pullulare maghi e occultisti. De Flores apre la lista con un’immagine mariana dipinta su un muro a Pennabili, oggi in Emilia Romagna che nel 1489 inizia a versare lacrime provocando universale sconcerto. Nel giro di pochi anni anche altre località italiane sono interessate da analoghi fenomeni, attorno ai quali sorgono santuari mariani. Nel 1511 accade di peggio: a Ponte Nossa, in quel di Bergamo, le lacrime sono di sangue. Lo stesso a Mesagne, vicino Brindisi, nel 1598.
2 adnkronos
MADONNA: QUATTROCENTO ANNI FA LE PRIME LACRIME DI SANGUE
Roma, 19 gen. 1998(?)-(Adnkronos)-
Oltre novecento apparizioni in meno di Duemila anni di Storia. Tra queste almeno 90 episodi in cui le icone o le statue di Maria hanno versato lacrime. E, in almeno una trentina di casi, si trattava di sangue, esattamente come nel fenomeno-miracolo verificatosi a Civitavecchia. L’impressionante mole di notazioni è stata raccolta da due studiosi austriaci, Gottfried Hierzenberger e Otto Nedomanski, particolarmente interessati al culto mariano, ora raccolti in un saggio pubblicato dalla casa editrice piemontese di impronta religiosa, Piemme.
Il primo episodio di lacrime di sangue censito dai due studiosi avvenne curiosamente 400 anni fa, nel 1598 in un paesino della Puglia di nome Mesagne. Il fenomeno fu visto e attestato da numerosi testimoni.
3 FAMIGLIA CRISTIANA
BEATA MARIA VERGINE ADDOLORATA
15 settembre 2021
Nei periodi tardomedioevale e moderno emerge il fenomeno delle lacrimazioni mariane; nel 1489 Pennabilli, nelle Marche; nel 1494 ad Assisi, nel 1522 a Treviglio, nel 1553 a Dongo, dove le immagini di Maria che lacrima danno origine a santuari. Non occorrerà attendere molto per trovare le prime lacrimazioni di sangue: quella di una immagine a Ponte Nossa (Bergamo) nel 1511, quella di Rho (Milano) nel 1583 e quella avvenuta nel 1598 a Mesagne (Brindisi).
4 Tempidimaria.com
12 novembre 2017
- Il fenomeno. Dati storici
Seguono, nel XVI sec., altre due lacrimazioni di sangue: quella a Copacabana e a Mesagne.
Per quanto riguarda il primo caso, si tratta di una statuetta della Madonna troneggiante su una grande falce lunare che, nel 1583 in Bolivia, cambia i tratti del volto e versa lacrime di sangue; nella seconda lacrimazione, avvenuta nel 1598 a Brindisi, troviamo un’immagine di Maria vista da numerose persone lacrimare sangue.
5 La Madonna della Guardia
di Genova
Dio ci parla mediante Maria
Gino Salvi
… Correvano, infatti, tempi difficili anzi drammatici per Genova, e per il suo contado.
Tempi che erano già cominciati nel corso del Trecento. E, non soltanto a Genova, perché, dall’autunno del medioevo agli inizi dell’epoca moderna (mentre si sviluppava il culto all’Addolorata), le immagini di Maria lacrimano a Pennabli (1489), ad Assisi (1494), a Trviglio (1522) e a Dorigo 81553), dando origine a santuari. Non occorrerà attendere molto per trovare le prime lacrimazioni di sangue: quella di un’immagine a Ponte Nossa (Bergamo) e quella avvenuta nel 1598 a Mesagne (Brindisi), dove un’immagine della Madonna fu vista da numerose persone lacrimare sangue.
6 www.fisicamente.blog
2006
Con Maria nel nuovo Millennio
La storia delle Lacrimazioni della Madonna dai primi tempi del Cristianesimo ai giorni nostri.
di STEFANO DE FIORES
Una Madre in lacrime accompagna la Chiesa
(Come nel paragrafo precedente)
Non occorrerà attendere molto per trovare le prime Lacrimazioni di sangue: quella di un’immagine a Ponte Nossa (Bergamo) nel 1511; quella di una statuetta della Madonna troneggiante su una grande falce lunare che nel 1583 a Copacabana (Bolivia) cambia i tratti del volto e versa lacrime di sangue, e quella avvenuta nel 1598 a Mesagne (Brindisi), dove un’immagine di Maria fu vista da numerose persone lacrimare sangue.
Stesso paragrafo anche su:
8 Latheotokos.it
Perché Dio ci parla mediante Maria
Significato delle apparizioni mariane nel nostro tempo
Stefano de Fiores
Le apparizioni mariane e il bisogno umano di tenerezza
Data: Mercoledi 27 Novembre 2013
- Il volto compassionevole del Padre
Nell’autunno del medioevo e agli inizi dell’epoca moderna, mentre si sviluppa il culto dell’Addolorata, le immagini di Maria lacrimano a Pennabilli (1489), ad Assisi (1494), a Treviglio (1522) e a Dongo (1553), dando origine a santuari.
Non occorrerà attendere molto per trovare le prime lacrimazioni di sangue: quella di un’immagine a Ponte Nossa (Bergamo) nel 1511; quella di una statuetta della Madonna troneggiante su una grande falce lunare, che nel 1583 a Copacabana (Bolivia) cambia i tratti del volto e versa lacrime di sangue, e quella avvenuta nel 1598 a Mesagne (Brindisi) dove un’immagine di Maria fu vista da numerose persone lacrimare sangue.
9 TUTTI I GIORNI CON MARIA
Calendario delle apparizioni 20 febbraio
Di Rino Camilleri
2020 Edizioni ARES Via Santa Croce 20/2 Milano
Madonna di Mesagne
Nel 1598 la Pasqua cadde a fine marzo. Il martedì della Settimana Santa una povera contadina di Mesagne, in quel di Brindisi, era raccolta in preghiera davanti ad un’edicola che raffigurava la Madonna di Mater Domini.
Di colpo vide che dal viso della Vergine stillava un liquido simile a sudore, ma che si rivelò essere un olio dal profumo soave e indescrivibile. L’effusione era così abbondante che molta gente poté inzuppare fazzoletti.
Seguirono numerose guarigioni a contatto con quel liquido e andò a finire che l’edicola venne inglobata in una grande chiesa.
Note di riferimento:
[Nota 1] -. «ZODIACO DI MARIA» – OVVERO LE DODICI PROVINCIE DEL REGNO DI NAPOLI DEDICATO All’ammirabile merito della stessa MADRE DI DIO – DAL P. PREDICATORE GENERALE F. SERAFINO MONTORIO – NAPOLI MDCCXV
Una copia di questo volume, presente nell’Archivio Capitolare di Mesagne, è esposto nel Museo di Arte Sacra “Cavaliere-Argentiero”
[Nota 2] – Francesco Scalera – Dialettismi e volgarismi nella Messapographia di Diego Ferdinando – Estratto da “Rassegna Storica del Mezzogiorno”
– MESSAPOGRAPHIA SIVE HISTORIA MESSAPIAE – Autore DIDACO FERDINANDO Medico, et Philosopho Messapiensi. Manoscritto ms_D/14 – Biblioteca Pubblica Arcivescovile Annibale De Leo – Brindisi. – Fonte: www.internetculturale.it
[Nota 3] – LA MESSAPOGRAPHIA Del letterato salentino Epifanio Ferdinandi Accresciuta e tradotta in italiano dal latino Da Antonio Mavaro – Libro Primo
Antonio Mavaro, da Mesagne – Dottore in Legge – 1725-1812
Biblioteca pubblica arcivescovile A. De Leo, Manoscritti, ms_M/4 shelfmark: ms_M/4
Fonte: www.internetculturale.it
[Nota 4] – Nell’archivio parrocchiale è presente un documento che parla di questo testamento. É una copia di quello originale ripreso dall’Archivio Curia Arcivescovile di Brindisi.
[Nota 5] – Tranquillino Cavallo – «IL MONASTERO DELLE CLARISSE A MESAGNE» Mesagne 2011 –
Fine della prima parte;
Seguirà la presentazione delle restanti tele con una particolare attenzione a quella dell’Incredulità di San Tommaso