Riceviamo e pubblichiamo: La vittoria della Meloni e la nascita del suo Governo, insieme alla caduta del Conte II, la nascita e la fine dell’Esecutivo Draghi, le alleanze nate e fallite in vista delle elezioni possono essere meglio lette aggiornando le vecchie categorie politiche della destra e della sinistra. Non perché la destra e la sinistra non esistano, anzi è esattamente il contrario, la prima governa il mondo e la seconda è frantumata, dispersa e senza stella polare di riferimento. Oggi però, nella stagione del Pensiero Unico dominante, è necessario precisare cosa fa da discrimine tra destra e sinistra, pena il rischio di dare giudizi totalmente distorti poiché tanti soggetti politici, apparentemente ostili nelle “sceneggiate” dei talk show, sono molto più uniti di quanto lasciano trasparire.
Alle categorie interpretative inadatte si aggiunge poi il marketing emotivo che fa passare in primissimo piano a scapito dei contenuti gli aspetti più effimeri. Emblematico quanto deludente l’esaltazione delle “prime volte” per una donna: oggi la Meloni, ieri per la Cartabia alla Corte costituzionale. Stessa enfasi con Ursula Von der Leyen alla Commissione Europea o con Kamala Harris vicepresidente USA. Si esalta ad arte il genere di appartenenza per evitare di guardare alle loro storie e alle loro scelte, specchietti per le allodole che puntualmente funzionano.
Eppure, basterebbe guardare con lucido distacco, emancipandosi dalle suggestioni e dalle frivolezze, per lasciarsi “almeno” interrogare da alcuni fatti che sono lì nella loro macroscopicità. Innanzitutto, quando mai in Italia la vittoria di uno schieramento era così scontato da mesi quasi che le elezioni dovessero solo ratificarlo e manco si sono insediate le Camere ed il Governo era già pronto? Una inesorabile ineluttabilità, senza che nessun reale ostacolo sia stato frapposto per impedirlo. Troppo strano per non destare domande sul perché ciò è potuto capitare.
Appare fragile l’argomentazione secondo la quale un partito – per quanto sconquassato e allo sbando come il PD, con il suo segretario ed i suoi 208 componenti del Consiglio nazionale – abbiano sottovalutato, tutti insieme e contemporaneamente, il pericolo ampiamente annunciato. Così come è difficile possa essere stato decisivo l’aspetto umorale\psicologico, pur dilagante nell’elettorato ma si presume più contenuto nei dirigenti, dell’avversione fino al disprezzo per Giuseppe Conte ed il movimento pentastellato.
Sono invece illuminanti, per trovare una lettura alternativa, le rassicurazioni che, già un minuto dopo le elezioni, la premier in pectore lanciava in direzione dei vertici americani ed europei per tranquillizzarli in ordine alle scelte militari ed economiche che sarebbero state assunte e che poi sono state confermate nella compagine di governo. Come non cogliere nella rapidissima metamorfosi della sovranista e populista Meloni lo svelamento delle nuove categorie che vanno utilizzate per leggere gli avvenimenti in Italia? Non lasciamoci ingannare dalla cortina fumogena provocate, anche queste ad arte, degli scontri sui diritti civili e sui prevedibili allarmi di invasioni di immigrati. Sono pensate per marcare una differenza, certamente non secondaria ma non decisiva, per lasciare inalterata – qualsiasi sia il Governo – le posizioni che davvero fanno la differenza: il ruolo di alleato fedele e ossequioso dell’Italia nell’Alleanza atlantica così come l’accettazione senza obiezioni delle suicide, per imprese e cittadini, politiche economiche imposte dall’Unione Europea.
Una categoria discriminante per capire quello che accade diventa pertanto l’autonomia di forze politiche e governi rispetto a quello che c’è da fare per uscire dalla guerra, dalla speculazione e dalla crisi economica. Qui ci sono i paletti strettissimi che impediscono ai singoli Stati di essere autenticamente “sovrani” e di poter veramente farsi carico delle domande di pace, di giustizia e di lavoro che salgono dai loro “popoli”. Su questi aspetti il “Pensiero Unico” perde il suo fairplay ed è capace di azioni forti per impedire che siano alterate le scelte che vengono decise fuori dall’Italia. Ecco perché nel nostro Paese è al massimo concesso di cambiare i “musicisti”, i quali vengono subito istruiti, ma non la “musica” che viene “scritta” altrove. E se per caso una forza politica diventa elettoralmente significativa e strimpella qualche “nota” in autonomia allora si scatena una complessa azione, difficile da decifrare all’occhio superficiale, tesa a renderla irrilevante e ricompattare un quadro dove tutto appare diverso senza che nulla realmente cambi.
È quello che è accaduto in Italia dal 1994 in poi dove si alternano forze politiche solo apparentemente divise, tanto è vero che hanno governato insieme lungamente, ma che nelle scelte fondamentali di politica economica e militare sono assoggettate alla “sovranità” degli Usa e della Ue. C’è un unico ostacolo che va superato, e ci riescono perfettamente con l’aiuto indiretto dei cittadini, per mantenere “dipendente” l’Italia politica: le elezioni.
Una buona parte di elettori, da Berlusconi in poi, cerca di volta in volta il “salvatore della patria”, e sono davvero convinti che cambiando i “musicisti” possa cambiare la musica. Ovviamente non cambia niente, anzi la situazione economica si aggrava sempre di più, se ne resta delusi e si cambia orientamento scegliendo, nel mercato elettorale, il prossimo venditore di fumo.
Tanta altra parte di elettori, pure con un grado di cultura elevatissimo rispetto ai nostri anziani del secolo scorso, sono incapaci di “leggere” nel suo complesso ciò che sta accadendo. Questo è un problema drammatico, che spegne le speranze in un futuro migliore: gente “plurilaureata” che con colpevole ingenuità afferma che prima di votare vuole sapere la storia dei vari candidati o vuole leggere i programmi delle diverse forze politiche per confrontarli. Ovviamente non ne cava un ragno dal buco e quindi prevale o un voto “emotivo” o, peggio ancora, uno che rassicuri maggiormente che nulla cambi: non perché si sta bene ma per evitare di stare peggio.
Infine, una sempre più larga parte di elettorato che si è ben reso conto che chiunque governi non cambia niente, non vota più da anni. La parola d’ordine è “sono tutti uguali” ma è più riferito alla pochezza morale dei politici più che alla consapevolezza piena del perché fanno tutti le “stesse politiche”.
Se questo è il quadro due compiti fondamentali si presentano allora oggi per quella che una volta si chiamava “area progressista”. La più immediata riguarda la difesa delle categorie più deboli (poveri, immigrati e “diversi”) che subiranno lo scientifico accanimento del governo di estrema destra della Meloni. Saranno pensati e realizzati provvedimenti ignobili come arma di “distrazione” di massa dalla assoluta mancanza di volontà di dare risposte ai reali problemi di fondo del nostro Paese: la crisi economica, l’aumento delle spese militari, la riduzione dei diritti dei lavoratori, l’inefficienza dei servizi per i tagli di bilancio, l’evasione fiscale che toglie risorse allo Stato, l’infiltrazione criminale nella economia e nelle istituzioni, la devastazione del territorio a fini speculativi, l’inquinamento dell’ambiente per accrescere il profitto.
La centralità di questi obiettivi appena accennati rappresenta il secondo impegno di questa area che, pur con soggetti politici diversi ma tra loro alleati, può trovare una intesa nell’impegno comune di applicare la Costituzione, non di smantellarla, e nella autonomia verso le decisioni che vengono imposte da Washington e da Bruxelles. Perché rispondere con provvedimenti di legge ai nodi problematici sopracitati inevitabilmente mette l’Italia in contrasto con le politiche dominanti che stanno portando il mondo sulle soglie della terza guerra mondiale e di una crisi economica irreversibile. Fare del nostro Paese non una piccola e servile nazione alle dipendenze di altri ma una “grande potenza di Pace” che sa stare nelle Alleanze con atteggiamento critico e con la schiena dritta. Che mi appare il minimo sindacale accettabile pure dai “moderatissimi” che credono davvero che la Nato sia la salvezza dell’Occidente.
Tutta la povertà del panorama politico, non solo italiano, sta proprio in questa carenza di autonomia e di criticità, con leader e forze politiche che non vogliono (o non possono perché più legati alle proprie carriere che al bene del Paese) immaginare politiche che aiutino i cittadini e l’ambiente a stare autenticamente meglio, contrastando i potentati economico finanziari e respingendo ogni azione espansionistica per garantire Pace per tutti. Qui si fonda la resistibilissima ascesa al potere della destra, favorita proprio da questo aver giudicato più pericoloso un governo con dentro gli inaffidabili 5 Stelle che “balbettano” politiche autonome da Usa e Ue, che tollerare una destra portatrice di una cultura politica razzista, violenta e fascista ma più affidabile nella obbedienza ai diktat americani in piena guerra in corso.
Spegnere anomalie fastidiose è stato il comune obiettivo dei poteri forti e dei loro emissari nostrani, con la condiscendenza delle irrilevanti forze di sinistra italiane, chiedendo al Pd ed il duo Renzi\Calenda – i più fedeli interpreti di questo servilismo al Pensiero Unico – di attendere in “panchina” qualche tempo perché, anche qui è facile prevederlo, presto la navigazione del Governo Meloni si farà difficilissima e si renderà necessario l’ennesimo Esecutivo di unità nazionale, con tanto di solenni proclami dalle più alte sedi istituzionali.
È un film già visto, perché all’Italia è concesso solo il cambio di “musicisti” ma non di “musica”.
Mesagne, 31 ottobre 2022
Giancarlo Canuto