Home Politica “Messe fu tra i protagonisti della costruzione di un apparato paramilitare clandestino” – di Mario J. Cereghino e Giovanni Fasanella

“Messe fu tra i protagonisti della costruzione di un apparato paramilitare clandestino” – di Mario J. Cereghino e Giovanni Fasanella

da Cosimo Saracino
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Caro direttore,

Come abbiamo già spiegato pubblicamente nelle nostre pagine Facebook, non intendiamo intervenire nella “guerra del busto” dedicato al Maresciallo d’Italia Giovanni Messe. Lo mettano dove vogliono, se vogliono. È questione che non ci riguarda: il nostro compito non è quello di schierarci da una parte o dall’altra, ma raccontare senza omissioni e reticenze. Ed è ciò che facciamo da quasi un ventennio scandagliando la documentazione custodita in quei luoghi di studio che gli storici, soprattutto quelli che non scendono mai dalle cattedre, dovrebbero frequentare più spesso: gli archivi.

Chiediamo ospitalità, quindi, soltanto per replicare ad alcune affermazioni contenute nella lettera di Aldo Mola, da voi pubblicata, in cui si fa diretto riferimento al nostro libro “Le menti del Doppio Stato” (Chiarelettere, Milano 2020).

Innanzitutto, le nostre «carte», alle quali Mola fa riferimento senza specificare di che si tratta, sono documenti conservati negli archivi nazionali statunitensi (College Park), italiani (tra questi, l’Archivio Centrale dello Stato) e britannici (Kew Gardens). Dunque, fonti primarie e di grande autorevolezza, dalle quali emerge un Maresciallo molto diverso da quello celebrato in Italia.

Del suo passato fascista a noi importa relativamente, come pure delle sue idee monarchiche. Ciò che invece molti italiani ignorano è che nell’immediato dopoguerra Messe fu uno dei protagonisti – certo non l’unico – della costruzione sotto l’egida dei servizi segreti britannici e del capitano statunitense (anglofilo) James Jesus Angleton (Oss, poi Cia) di un apparato paramilitare clandestino (nulla a che fare con Gladio, che nacque dopo e che, a nostro avviso, aveva anche una sua legittimità) formato da monarchici, ex fascisti, repubblichini, squadroni della morte mafiosi, massoni; e che allungava i suoi tentacoli anche verso formazioni “rivoluzionarie” di estrema sinistra ostili alla dirigenza moderata del Pci di Togliatti.

Un “Doppio Stato” occulto e aggressivo che non aveva come obiettivo la difesa della libertà del nostro Paese da una fantomatica minaccia dell’Armata Rossa. Pericolo inesistente per gli stessi britannici e americani, ma enfatizzato ad arte proprio da quel milieu di cui Messe faceva parte. Ingigantito attraverso operazioni di guerra psicologica per creare consenso intorno ai progetti eversivi contro lo Stato legittimo, rappresentato dai governi di unità nazionale antifascista. Quel milieu perseguì in modo violento – per fortuna con scarso successo, grazie soprattutto alle amministrazioni Usa e alla tenuta dell’asse democristiani-comunisti-socialisti-laici – tre obiettivi ben precisi.

Il primo: impedire il Referendum istituzionale e l’elezione di un’Assemblea Costituente per l’approvazione della Carta dell’Italia post fascista.

Il secondo: smembrare, se fosse stato necessario, la stessa unità politico-territoriale del Paese, giocando di sponda con i servizi segreti britannici (Soe) e in collaborazione attiva con quelli francesi (De Gaulle) e jugoslavi (Tito). Tutti interessati a creare il caos per provocare l’implosione italiana e, di conseguenza, la spartizione della penisola in aree di influenza.

Il terzo: provocare un «lago di sangue», cruda espressione utilizzata in alcuni rapporti degli stessi Servizi italiani. In altre parole, la continua provocazione dei comunisti – anche armata, attraverso l’eliminazione fisica dei loro dirigenti – per indurli a una reazione violenta e avere così il pretesto di metterli al bando.

I progetti eversivi cominciarono già nell’autunno del 1944 con il tentativo di sterminare con sessanta chili di tritolo il governo Bonomi (strage sventata in extremis dalla Ps) e si conclusero con l’attentato a Togliatti del luglio 1948, il più noto ma soltanto l’ultimo di una lunga serie che ebbe inizio già all’indomani del suo rientro in Italia e la “svolta di Salerno” (marzo-aprile 1944).

Per «vagliarne l’attendibilità e contestualizzarne generi e contenuti», volendo usare un’espressione dello stesso Mola, abbiamo sempre confrontato i documenti di College Park, Kew Gardens, dell’Archivio Centrale dello Stato e del Pci, un partito che attraverso i suoi servizi d’intelligence aveva una percezione in tempo reale di ciò che stava realmente accadendo in Italia. Piaccia o meno a Mola, le informazioni provenienti da tutte queste fonti coincidono.

Ancora qualche osservazione, scusandoci se abusiamo della sua cortesia, caro Direttore.

L’elezione di Messe in Parlamento nelle liste della Democrazia Cristiana, che Mola esibisce come prova della sua democraticità, non riabilita il Maresciallo. Semmai, evidenzia la lungimiranza della strategia della Dc per il contenimento delle spinte eversive, allo scopo di impedire il “lago di sangue” durante la Guerra fredda. Strategia che aveva un riscontro sul versante opposto, dove Togliatti riuscì in qualche modo a governare le correnti insurrezionaliste di Pietro Secchia e dell’ala militarista del Pci.

Comprensibile la reazione un po’ stizzita di Mola. Si è formato alla scuola di Giovanni Giolitti, il grande statista piemontese che nelle sue memorie raccomandava, «molta prudenza nell’aprire gli archivi» del nostro passato per «non sfatare leggende che sono belle». Se un invito del genere viene accolto da uomini di Stato, che hanno altre cose a cui badare, può essere persino utile. Ma gli storici, i ricercatori e i giornalisti devono fare il loro mestiere, che è diverso da quello dei politici: così funzionano le cose nelle democrazie liberali.

Infine, due parole sul riferimento al «Messe Nero», cioè massone, che Mola esibisce come la “prova regina” della nostra demonizzazione del Maresciallo d’Italia. Se fosse massone o meno, a noi poco importa: contano, ancora una volta, i suoi comportamenti. Ma certo stupisce che, dopo aver a lungo scorso l’indice dei nomi della “Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni”, più di mille pagine scritte da Mola, non compaia mai, per esempio, il nome di Giuseppe Cambareri, una sorta di Licio Gelli ante litteram a cui il milieu di Messe era connesso. Cambareri, fior di massone, fu l’uomo di collegamento fra tutte le componenti eversive del “Doppio Stato”.

Cambareri – a cui Silverio Corvisieri ha dedicato un ottimo volume (“Il mago dei generali”, Odradek, Roma 2001) – lavorava per Angleton e il Secret Intelligence Service britannico proprio negli anni in cui si stava formando il “Doppio Stato”: un prototipo fabbricato nel «laboratorio clandestino italiano» negli anni ricostruiti nel nostro libro ed esportato poi in altre parti del mondo, a cominciare dal Cile di Pinochet, nel corso della Guerra Fredda. Come si legge anche in molti studi e saggi scritti da storici, giornalisti, diplomatici e uomini d’intelligence del mondo anglosassone. E come racconta nella sua autobiografia l’ex direttore della Cia, William Colby, tanto per citare un nome.

Ma ci fermiamo qui. Meglio non sfatare troppe «leggende che sono belle».

Grazie per l’ospitalità.

Mario J. Cereghino e Giovanni Fasanella

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1 commento

Italiano giovedì, 12 Novembre 2020 - 2:52

Hanno minato la democrazia e qualcuno pretende pure un mobumento!

Commenti chiusi.

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