Riportiamo questa storia scritta da una coppia di mesagnesi che si è dovuta scontrare con l’ignoranza imperante. Lo facciamo per far riflettere tutti sul senso di umanità che probabilmente stiamo perdendo di vista. La vicenda è accaduta a Bari, ma ciò non significa nulla di fronte a tanta cattiveria:
Nina è stata vittima di razzismo. Lo dico senza addolcire la pillola, perché le cose gravi devono essere trattate per quello che sono: gravi. Sì, nostra figlia, 2 anni e 10 mesi, 15 kili, 92 centimetri di altezza e un sorriso ammaliante è stata vittima di razzismo.
È successo un giorno qualunque nel parco che frequentiamo vicino casa a Bari. Lì c’era una bambina biondina con un vestito celeste da principessa che correva da una parte all’altra. Ha attirato la mia attenzione perché era giocosa e carina. Anche Nina l’ha notata ed è andata a chiederle – come fa sempre con tutti i bambini: “giochiamo insieme?” La bambina-principessa ha risposto: “no, perché sei nera e non mi piacciono i neri”. Nina non ha capito bene quello che stava succedendo (lei ha solo due anni). Io l’ho portata via da lì, non ho detto nulla, mi sono abbassato e l’ho abbracciata forte. Ho raccontato a Nadia quello che era successo.
Dopo abbiamo continuato a giocare con Nina. Ad ogni giostra che andavamo, la bambina-principessa ci seguiva e voleva passare davanti a Nina, io non glielo facevo fare. Fino a quando lei si è girata e mi ha detto: “io posso passarle davanti, ma non voglio giocare con lei perché è nera e a me non piacciono i neri. E non mi piaci neanche tu, perché sei nero” (sì, mi sa che le principesse nella vita reale sono più crudeli di quelle delle favole). La cosa più impressionante è che c’era rabbia nelle parole e negli occhi di quella bambina di circa 5 anni. Io le ho risposto che questo era un problema suo e non nostro, perché noi siamo felici di come siamo: neri e belli. Nadia è intervenuta, il nonno della bambina-principessa, che stava con lei nel parco, si è avvicinato e sorridendo ha detto che questa era una cosa da bambini. Nient’altro.
La nostra preoccupazione in quel momento è stata Nina. Cosa stava passando nella sua testolina davanti ad una violenza così? Abbiamo portato Nina in un angolo del parco. Lontano dallo scivolo, lontano dall’altalena, lontano dagli altri bambini. Il razzismo ha allontanato Nina dalle gioie dell’infanzia. Tutto questo mentre la bambina-principessa continuava a giocare tranquillamente. Era diventata la regina del parco. La vittima era stata punita e l’aggressore premiata.
Percepire questo fa crescere una sensazione di ingiustizia in noi. Io e Nadia abbiamo deciso di parlare ancora una volta con il nonno della bambina-principessa, che ripeteva la stessa litania: questa è una cosa da bambini, non ha niente a che fare con il razzismo, la sua famiglia non è razzista, lui stesso, un uomo bianco (mah!) ha già sofferto molto razzismo nella vita. Ossia, ha sminuito il razzismo.
Anche quando facciamo questo siamo un po’ razzisti. Sono molto duro? No, sono solo corretto, perché dobbiamo chiamare le cose con il loro nome e agire con la fermezza richiesta. Basta addolcire la pillola. Se stai leggendo questa storia e non provi indignazione per il fatto di una bambina di due anni sia stata discriminata a causa del colore della sua pelle, non so cosa ti faccia indignare.
Questa, comunque, non è la prima volta che Nina è vittima di pregiudizi. Nel 2020, tra un lockdown e l’altro, quando lei aveva sette mesi, andammo al Centro Commerciale a Mesagne. Per non far stare una bimba in un ambiente chiuso in piena pandemia, io e lei rimanemmo fuori ad aspettare mentre Nadia faceva la spesa. Ad un certo punto una signora che passava di là in macchina, si fermò e scese per darci un’elemosina. Quando si rese conto che non eravamo dei mendicanti, tornò morendo di vergogna alla macchina. “Ah, ma questo non è razzismo”, diranno. Sì, lo è. Lei non ci ha fatto caso. Non aveva visto i vestiti che indossavamo, che non eravamo dei senzatetto, non aveva considerato che potevamo essere anche noi clienti come gli altri. Per lei eravamo solo due persone nere ferme davanti all’entrata del Centro Commerciale, quindi: indigenti. Dettaglio: c’erano altri genitori lì fuori nella stessa situazione ma non furono importunati. Loro erano bianchi. Questo si chiama razzismo strutturale.
E c’è dell’altro. Qualche mese fa Nadia ha incontrato un vecchio amico. Lei stava con Nina e il ragazzo con il figlio. Nina come sempre ha chiesto: “ giochiamo insieme?” La risposta è stata negativa. Inoltre, per peggiorare la situazione, il bambino le ha detto che lei era un mostro perché nera. Era il figlio di un amico di Nadia. Non era una persona completamente estranea.
I nostri amici italiani diranno: “questo è un caso isolato”. Non lo è. E voi lo sapete. E la grande Paola Egonu ne è la dimostrazione. Gli amici brasiliani diranno: “ah, ma l’Italia è un paese razzista, ma non dimenticatevi che il Brasile è un posto estremamente razzista, dove le persone nere non valgono nulla, soprattutto agli occhi della polizia.
Manca poco prima che Nina entri in uno dei posti più crudeli per un bambino nero: la scuola. È un rito di passaggio da un ambiente familiare pieno di amore ad uno ostile che normalmente, nei casi di discriminazione, conta con la permissività dei maestri, dirigenti, padri, madri, tutori, ecc. Mi ricordo il mio primo giorno di scuola (impossibile non ricordarmelo). Io iniziai l’anno scolastico con una quindicina di giorni di ritardo rispetto agli altri. Entrai in classe e la maestra mi chiese di sedermi accanto ad un bambino chiamato Rogerio (vedi come mi ricordo?), che non voleva in nessun modo che io mi sedessi accanto a lui. Litigammo. Indovinate chi fu punito? Quello fu solo l’inizio.
Nina ancora non (credo) è consapevole di essere discriminata. Ma presto lo sarà. Sta arrivando il giorno in cui dovremo sederci con lei e spiegarle che esistono persone alle quali lei non piacerà, anche se non farà nulla di male. Non gli piacerà solo ed esclusivamente a causa del colore della sua pelle. Le spiegheremo che per lo stesso motivo sarà più difficile trovare un lavoro, un fidanzato, un appartamento da affittare. Diremo anche che le persone le toccheranno i capelli senza chiederle il permesso, che sarà il primo sospettato della polizia e che alcune persone faranno una brutta faccia quando entrerà nell’autobus/metrò o si alzeranno in piedi quando vorrà sedersi accanto a loro. Credo che un bambino bianco non abbia bisogno di una conversazione del genere.
Il razzismo è un problema delle persone bianche. Sono loro che offendono, umiliano, gridano, sputano, imitano le scimmie, impediscono i neri di entrare nei locali. I neri stanno solo vivendo le loro vite. Sono le persone bianche che devono smettere di pensare che il razzismo non esiste, che è una fantasia, che è un’esagerazione dei neri e delle nere. Devono smettere di fingere che siamo tutti uguali, perchè non lo siamo, ed è esattamente questa diversità che fa l’umanità più forte e bella. Devono smettere di chiamarci “di colore”. Quale colore, se ne esistono una miriade? Soprattutto devono dire il nome al mostro che regge tutto ciò: razzismo. Solo così sarà possibile affrontare il razzismo senza ma.
Nina, adesso scrivo a te, figlia. Tu sei una bambina gentile, intelligente, incredibile. Io e tua madre siamo molto orgogliosi di essere i tuoi genitori. Continua a fare quello che più ti piace cantare, ballare, disegnare, essere una semplice bambina. Sappiamo che il mondo è imperfetto, ma staremo sempre qui per rendere le cose più belle nella tua vita, come quando cantiamo insieme quella canzone di Jovanotti che ti piace tanto: “I love you baby/ Più chiaro di così non c’era/ I love you baby/ Lo canterò per te stasera/ Domani/ E finché non vedrò/ La luce dei tuoi occhi tornare nei tuoi occhi”.
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