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“Psicologia giuridica. Modelli Strumenti Leggi”

da Cosimo Saracino
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(di Giuseppe Florio) – Devo ad Alida Summa – psicologa, psicoterapeuta relazionale, pedagogista di lungo corso – una lauta porzione della mia salute (salus, -utis: salvezza). Va da sé quindi che, una volta tra le mani la sua opera prima (“Psicologia giuridica, Modelli strumenti leggi”, Cacucci editore) dovevo avvertire la necessità di scriverne, non da specialista, ma da affezionato (ex) paziente.
Impresa non facile perché, nonostante la generosa dedica alla mia «intelligenza dinamica e focale», un volume che ha per sottotitolo «L’etica della complessità e del cambiamento come sfida verso modelli riduzionistici di non cambiamento» è davvero troppo per i miei lontani e magri studi.
Però. Però ho avuto una ragionata dimestichezza con la dottoressa Summa, frutto di anni di sedute fiume in cui, mentre si cimentava con alterne fortune ad aiutarmi nella elaborazione ora di un matrimonio fallimentare, ora delle mie inadeguatezze intellettuali (appunto), ora di altri intrighi sentimentali (quanto danno, l’amore), evocava compulsivamente il bisogno epocale di una revisione degli impianti legislativi, dei modelli educativi e finanche degli stessi atteggiamenti morali dinanzi alla evoluzione delle neuroscienze. Per meglio spiegarmi: per la Summa era diventato una sorta di leit motiv, di mantra, ma anche di sgomenta ossessione il fatto che nei tribunali, nelle scuole, nelle famiglie si utilizzassero strumenti (normativi, pedagogici, di indirizzo) che non tenessero in alcun conto la complessità psicologica e biochimica delle menti di cittadini, studenti, figli. Le avrò sentito citare brani di questo gigantesco monologo intellettuale perlomeno un milione di volte.
Compulsando – con particolare resistenza – questo libro così poco attraente per me (e poi, quella copertina in tinta unita, rosso Ferrari, che sa tanto da addetti ai lavori!), ho capito almeno una cosa: che Alida Summa era riuscita, dopo tanto lavorìo, ad assemblare i tasselli del proprio puzzle esistenziale. Che aveva compiuto la sua missione di vita, mettendo insieme pezzi tra i più variegati: certamente gli appassionati studi, e poi le esperienze professionali cumulate in tanti lustri psicanalitici, e la genuina curiosità dell’altro, e la tensione civile, quasi una militanza per una intellettuale che nessuno direbbe «engagée» ma che a me è parsa molto ingaggiata, specie sui temi della costruzione delle future generazioni.
La stessa struttura del tomo riflette (mi perdonerà, spero) la sua macrofagica ansia di tenere tutto insieme, persone, ispirazioni, gratitudine: comincia con quello che lei stessa definisce un “Dialogo tra prefazioni» e che io avrei denominato «Waltzer di omaggi», raccogliendo la considerazione (e le considerazioni) di dieci tra docenti universitari, psicoterapeuti di chiara fama, giuristi da più fronti (avvocati e magistrati), medici e perfino un sindaco. Nel mezzo, una dissertazione solo apparentemente tecnica, ma che è in definitiva un testo di Politica (intesa come teoria e pratica delle relazioni umane, semplici e complesse). Termina, se possibile, in maniera assai più inconsueta, illustrando i curricula vitae di diversi titolatissimi supervisori ed enumerando, quasi uno per uno, i destinatari dei ringraziamenti dell’autrice: dai genitori a chi «ha condiviso un modello di rete culturale e pro-sociale», da coloro che «hanno rinforzato i pilastri concettuali di una visione sistemica» a chi ha collaborato anche per poco. Pure quell’elenco pressoché interminabile restituisce un po’ della natura di questa opera e della stessa Summa: racconta dei sassolini raccolti giorno per giorno nel corso in una intera esistenza per ritrovare il filo di un discorso etico e morale che ora è lì, a disposizione di chi vorrà approvvigionarsene, per migliorare un po’ delle proprie attività pratiche e di pensiero e, in definitiva, della nostra sbilenca società.

Giuseppe Florio

(Pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 01/7/2018)

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