Nella gioia della resurrezione la città di Mesagne celebra, da oltre quattrocento anni nel ricordo del 17 marzo 1598, nella prima domenica dopo Pasqua, la domenica in Albis, la festa della Madonna Mater Domini nel Santuario a Lei intitolato. Ma, prima di entrare lello specifico, è bene ricordare l’origine del culto con cui viene venerata (hyperdulia) Maria Santissima.
La prima attestazione per cui è chiamata Mater Domini, Madre del Signore, la troviamo proprio nelle Sacre Scritture e precisamente nel Vangelo di Luca 1,39-56: “Et unde hoc mihi, ut veniat Mater Domini mei ad me? (S. Elisabetta: A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?)” alla cui domanda Maria rispose con quel celebre canto universalmente conosciuto come Magnificat tra cui: “quia fecit mihi magna, qui potens est, et sanctum nomei eius (Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome)”.
La Chiesa universale definì il dogma di Maria Theotókos, ovvero Madre di Dio, il 22 giugno 431 in occasione del terzo Concilio Ecumenico della storia convocato da Teodosio Imperatore romano d’Oriente.
Altra antica attestazione è l’inno Akatistos, uno dei più famosi inni che la Chiesa Ortodossa dedica alla Theotokos di cui questi i primi due versi: “Il più eccelso degli Angeli fu mandato dal cielo / Per dir “Ave” alla Madre di Dio”
Interessante anche tra le testimonianze locali quanto Antonio Mavaro scrive in merito nelle note a margine a pagina 421 ne: «LA MESSAPOGRAFIA» DEL LETTERATO SALENTINO EPIFANIO FERDINANDI», al capitolo XIIII col titolo: “Della Cappella di Mater Domini” “A – Il titolo dato di Mater Domini che vale lo stesso che quello di Mater Dei traendo la sua origine sin dall’anno 431 quando fu celebrato il Concilio Efesino in cui coll’universale allegrezza della Chiesa fu Maria Vergine dichiarata per Madre di Dio Dei Mater: con essere stata condannata l’eresia di Nestorio come dalla storia ecclesiastica è noto. Ma il Cardinal Bona [Giovanni Bona – Mondovì, 10 ottobre 1609 – Roma, 28 ottobre 1674 è stato un Cardinale e letterato italiano, generale dell’Ordine cistercense], e Mabillonio [Giovanni – benedettino?], scrittori troppo noti per le di loro opere, con raggione credettero che il nome dato di Mater Dei alla SS.a Vergine traesse più antica origine. Ed infatti le parole che S. Elisabetta dette, come S. Luca I 43.46 prae gaudio exclamantis: unde hoc mihi veniat Mater Domini mini ad me: nel vedere la detta SS.ma Vergine, che nella di lei abitazione si portò per visitarla giustificano il sentim.to dei divini sacri scrittori Bona e Mabillonio”.
Anticamente la festività liturgica di Maria Santissima Madre di Dio si celebrava la seconda domenica di ottobre, ma nel 1931 papa Pio XI, in occasione del 1500 anniversario del Concilio di Efeso, inserì la festa nel calendario romano generale da celebrare l’11 ottobre; nel 1969, essendo papa Paolo VI, nella riforma liturgica del rito romano fu trasferita al 1° gennaio come “solennità”.
Consultando il registro cassa dello secolo scorso (purtroppo non ci sono documenti precedenti) della Confraternita, che fino all’erezione a Parrocchia nel 1978 gestiva tutta l’organizzazione del Santuario sono annotate nel mese di ottobre le offerte e le spese per questa ricorrenza.
Prima di entrare nell’argomento della festa mi pare obbligatorio parlare di un personaggio poco conosciuto, ma che fu il protagonista principale tutti gli avvenimenti dai primi giorni dopo il 17 marzo, l’intitolazione a Maria SS.ma Mater Domini, la festa annuale ed infine la fabbrica della nuova chiesa: si tratta dell’allora “Reverendo dottor di Leggi, il Sig. Francesco Scolmofora Cantore della Metropolitana Chiesa di Brindisi, che all’hora (perché vacava la sedia Arcivescovile) fu dal Capitolo eletto per Vicario Generale”.
La dedicazione
Vediamo ora alla nostra storia partendo proprio dalla dedicazione di questo Santuario a Maria Mater Domini che troviamo nell’ultimo capitolo della RELATIONE del Piccigallo a pagina 19: “E chiamata la Madonna S. Maria MATERDOMINI, che tal nome piacque a Sua Divina Maestà, che se li dia, e lo confermò dopo il sopraddetto Vicario Generale, Gentil’huomo di singolar bontà; Questa adunque humilmente havemo da pregare, che mentre siamo viatori ci conduchi alla Patria, mentre siamo naviganti ci conduchi nel porto, mentre siamo soldati ci conduchi nel carro per incoronarci di alloro, e mirto, e spogliati dal mortal velo, che mostra al suo figliolo l’intatte poppe, e il figlio al Santissimo Padre le piaghe, per mezo di quali habbiamo d’havere, tenere e possedere quelle alte maggioni, ove soggiornano con allegrezza, canti, e melodie quelli felici Spirti insieme col Padre, Figlio e Spirito Santo per tutti i secoli de’ secoli”.
Anche Fra Montorio nel libro «LO ZODIACO DI MARIA» così scrive all’inizio del capitolo riguardante la nostra chiesa: “Ed eccomi o mio divoto Lettore un’altra immagine di MARIA col medesimo titolo di Mater Domini, come la poco fà narrata Città di Brindisi titolo il più eccellente, che darsi possa alla Vergine, come ivi accennai con S. Tommaso, ed ora con S. Bernardo soggiungo: Nec enim decebat Deum alia Mater, quam Virgo, nec Virginem alius Filius, quam Deus, quia nec major inter matres, nec major inter filios nasci potest”.
La festa annuale
Non avendo a disposizione documenti che lo confermino, ma solo la Relatione del Piccigallo, possiamo dedurre che ogni anno in occasione a memoria dell’avvenimento del 17 marzo, si svolgeva una festa, ma dato che tale ricorrenza cadeva (e cade) sempre nel periodo di quaresima fu opportunamente spostata alla prima domenica dopo Pasqua. Da alcuni documenti risulta che tale decisione fu presa dall’arcivescovo Falces:
– Il volume di Fra Montorio: se non perché, avendo Monsignor Falces Arcivescovo ordinata la sollenne Festa nella Domenica in Albis”;
– relazione dell’8 maggio 1752 del Canonico Roberto Guarini: “Onde in esecuzione delli riveritissimi ordini emanati da monsignor illustrissimo d. Angelo de Ciocchis arcivescovo di Brindisi ho fatto la presente sottoscritta da mia propria mano: Relazione della chiesa della Gloriosa Vergine Maria sotto il titolo di Mater Domini di Mesagne ” … (omissis) avendo monsignor Falces arcivescovo ordinata la solenne festa nella domenica in Albis (omissis) Ordinò medesimamente il detto zelante pastore, che il sabato avanti si preparasse una solenne processione di ambedue i cleri, acciocché si portassero alla chiesa sudetta a cantare i primi vesperi, e la mattina della domenica la santa messa con ogni possibil pompa, siccome presentemente s’osserva”.
Confrontando le date si nota che la nomina ad Arcivescovo di Brindisi è il 4 luglio 1605 quando già la festa si faceva in questa data come risulta nella RELATIONE del Piccigallo pubblicata il 5 febbraio 1605: “La mia cara Patria, come ricordevole d’un sì tanto favore fa continuamente festa, e giubilo, con render grazie al Sommo monarca, ed a sua Beatiss.[ima] Madre, la quale hà voluto ingrandirla, e arricchirla di sì gran tesoro. Per questo ogni anno il dì della sua festività; qual’è la prima Domenica dopo la Santa Pasqua di Resurrettione fa bellissimi squadroni di vaghissimi, e valorosi soldati, li quali a gara l’un con l’altro, con bellissima ordinanza, con tamburi, con scoppi e con altri ordigni martiali, vi vanno à render lodi e gratie à detta Beata Vergine; Oltre; Che in sì festivo giorno vi si sparano molti maschi, e falconetti, e fulmini per l’aria, e razzi ancor vi si fanno per la buia notte. Vi [si]fa anche nobili, e ricchi apparati con sontuosi e bellissimi architravi, con molte colonne d’ordine Ionico, e belli e politi catafalchi; e gran theatri, con ordine di Corintho. (omissis); e finalmente tutto il Popolo gioisce, festeggia, giubila, e mostra allegrezza grandissima, chi con Toscane e dotte Rime, chi con argutissimi, ed eleganti versi e chi finalmente con varij Epigrammi, Panegirici, Hinni, Odi, Elegij, Emblemi, ed Imprese, che par che sentesti tanti Candidi Cigni sù 1a riva del Po, dolcemente cantare.
Li Fanciulli, e quelli più minori, e di età e ingegno non possendo con questi Cigni dolcemente cantare, vi portano in mano chi rami di palide olive, chi di stridente lauro, e chi dell’Oriental Palma. Le donne, e quasi tutte le Verginelle di bianchissime vesti adornate vanno, e offeriscono duoni al sacro Tempio. Chi rubicondi coralli, altre oriental pietre in un cerchio d’oro, altre preziose perle, e altre stimate calamite [cose attraenti], che vedresti correre à gara, così à punto come se di mezo giorno in quella parte vi apparisse qualche Cometa, che à Regi suole apportare sovente morte”.
L’attribuzione dell’istituzione della festa nel giorno della domenica in Albis viene attribuita all’Arcivescovo Giovanni Falces, ma fu sicuramente il Vicario Scolmofora e questo nel periodo di sede vacante di diciassette mesi tra la morte di Giovanni De Pedrosa avvenuta il 24 gennaio 1604 e la nomina del suo successore; poiché necessitava dell’approvazione ufficiale dell’Ordinario Diocesano, che non ci fu durante la reggenza di De Pedrosa, fu poi decretata ufficialmente dopo la nomina del nuovo arcivescovo attribuendo a questi la paternità. Possiamo dire con un buon grado di plausibilità che l’istituzione della festa da celebrarsi con data variabile in base al calendario liturgico avvenne il 1604 ed il 1605.
La processione
Sempre dalla RELATIONE del Piccigallo si apprende che già nel 1604 c’era la processione: “Per questo ogni anno il dì della sua festività; qual’è la prima Domenica dopo la Santa Pasqua di Resurrettione …” (omissis) Vi si conduce il Capitolo, e Clero della Colleggiata Chiesa di tutti Santi di Mesagne, e con solenne Processione con tutti gli ordini delle Religioni e Compagnie, ed ivi si celebra con molta sollennità di musica instrumentale e vocale 1a Santiss.[ima] Messa” Anche in due documenti successivi troviamo la conferma delle due processioni: Relazione dell’Arciprete d. Antonio Moranza rispondendo alle richieste dell’Arcivescovo Mons. Antonio Sersale (visita pastorale del mese di giugno 1744) “Die 16 mensis iunij 1744 ecc.
“In esecuzione di quanto si ordina a i parrochi nel capitolo primo delle istruzioni della prima santa visita di monsignor illustrissimo d. Antonio Sersale arcivescovo di Brindisi, signore di S. Donaci e S. Pancrazio, consigliere a latere del re dell’una e l’altra Sicilia.
Brevemente per quelle notizie che mi hanno capitato alle mani io don Antonio Moranza, arciprete, prima dignità e parroco dell’insigne collegiata chiesa di Mesagne, in adempimento del mio ufficio rapporto. (omissis) La festa poi si fa con tutta solennità. Si fanno due processioni una nel sabato nelle prime vesperi. l’altra la domenica mattina col’intervento nell’una e l’altra del clero secolare e regolare precedendo l’invito del procuratore della mensa arcivescovile, di cui è della chiesa, e vi si canta la messa solenne in musica con sparo di mortaretti, e si fa ancora il panegirico ili onore della Vergine. Io d. Antonio Moranza ho risposto alle presenti istruzioni”.
Non sappiamo invece quando ebbe inizio la processione con la partenza dal Santuario verso la città. Possiamo solo avere delle indicazioni leggendo il § III delle: Regole e Statuti per la fondazione e la direzione della Confraternita della Beatissima Vergine di “Mater Domini” di Mesagne in cui si parla solo della processione della Domenica in Albis:
S III – Dovrà ogni Fratello tenere la propria Veste, consistente in un Camice di tela bianca, cintola, e mozzetta parimenti bianca sopra la quale vi sia l’efficie della Beatissima Vergine, e con tal’abito dovrà intervenire non solamente nella Processione che si farà in ogni Anno nella Domenica in Albis, in cui dalla Confraternita si solenniza la Festa in onore di Maria Santissima, ma ben anche in tutte l’altre Processioni pubbliche”.
Della redazione di questo manca la data di redazione, ma è sicuramente successiva al 1742 in quanto riporta questo riferimento: “al’occorrente a rendere da Cap I del Concord e degli Ordinari del Sovrano, specialmente di 12 Gennaio 1742”.
Lo stesso paragrafo è riportato nella successiva Regola della CONFRATERNITA munita del Regio assenso del 26 – set – 1785
- : III. Dovrà ogni Fratello tenere la propria veste, consistente in una camicia di tela bianca, cintola, e mozzetta, parimenti bianca sopra la quale vi sia l’effigie della Beatissima Vergine e con tal abito dovrà intervenire non solamente nella processione che precedenti le debite licenze si farà in ogn’anno nella Domenica in Albis in cui dalla Confraternità si solennizza la festa in onore di Maria Santissima
Dai documenti di fine XVIII secolo non risulta presente in chiesa una statua processionale. E’ probabile che quando si parla delle processioni del sabato e della Domenica in Albis i confratelli si univano al clero secolare che partiva dalla Collegiata; solo quando ne fu commissionata una si stabilì la partenza dal Santuario verso la città.
Tradizioni orali, ma non confermate da documenti, parlano che la prima portata in processione fu quella intitolata alla Madonna delle Grazie, statua che attualmente si trova in chiesa esposta nel transetto sinistro e che si dice proveniente dalla Chiesa dei Cappuccini. Neanche di quella che attualmente si porta in processione e che riproduce nella posa l’affresco con la mano sinistra aperta frontalmente e il Bambino benedicente si hanno notizie. Ma un documento conservato nell’archivio parrocchiale ci fornisce una probabile indicazione.
Questa come altre simili sono chiamate “statue vestite” composte cioè da una struttura interna in legno a cui poi vengono aggiunte la testa le braccia e la parte inferiore delle gambe. La nostra statua ha a disposizione due vestiti, di cui uno di maggior pregio per le due solennità del 1° gennaio e della festa. In quel periodo era anche consuetudine affidare la custodia del vestito della festa, che nel nostro dialetto è chiamato “rrobbi ti la Matonna” ad una famiglia prestigiosa. Un documento conservato nell’archivio parrocchiale ci induce a ritenere la presenza dell’attuale statua agli inizi del XIX secolo.
Si tratta di una lettera di Giovanna Granafei di Serranova, che scrive alla sorella per chiedere all’Arcivescovo di risolvere un contrasto tra i fratelli della Confraternita e che alla fine aggiunge: (omissis) … “Poi dirai pure a Sua Eccellenza che facesse una preghiera per me, ma molto fervorosa per le mie spine che sempre mi perseguitano, cioè per il vestire della Madonna e le robe di sposa … (omissis) Prega la Vergine … che mi farà la grazia di far ritornare le robe in casa mia come erano stati per più di 80 anni”. Tale documento porta la data del 22 aprile 1912. Quindi possiamo dire che tale statua era già presente nei primi decenni del XIX secolo.
Un altro documento legato alla festa è il maritaggio di due zitelle riportato nel testamento del Cardinale Mario Albrizzi (1609-29 Set-1680)
(omissis) “… Celestini, essi Padri si obligarono di darmi in Napoli ottocentoquaranta ducati di Regno ogn’anno durante la mia Vita, e (per) un’anno anco dopo la mia morte alli miei Heredi, voglio et ordino, che li detti ducati ottocentoquaranta, e di più altri ducati cento sessanta, se resteranno debitori (per) le paghe decorse, e quando non restassero debitori, debbano (per) d.a rata di ducati centosessanta supplire l’infr(ascrit)i miei Heredi, e così sino alla somma di ducati Mille in tutto, si depositino in qualche Banco sicuro, ad effetto d’investirli in alcun Censo da farsi con qualche Luogo pio, o Persona sicura in d.a Diocesi di Brindisi, con i Frutti del qual Censo si debbano ogn’anno dare dui Doti a due Zitelle della d.a Terra di Mesagne (per) egual portione; quali Zitelle debbano essere elette dall’Arciprete pro tempore, et altri dui Sacerdoti i più anziani siano, ò non siano Canonici della Chiesa Archipresbiterale di detta Terra, con questo che sempre debbano essere Zitelle honeste e da bene, e che siano maggiori di quattordici Anni, e preferite le più povere; le Cedole delle quali Doti le debbano esse medesime da se prendere la Festa di Mater Domini dall’Altare della med.a Santiss.a Vergine, acciò da questa in tutto le debbano riconoscere, volendo che siano denominati le Doti di Mater Domini, e non solo in d.a solennità, ma anco nelle Feste dell’Annunciatione, et Assuntione della med.a Santissma Vergine, siano obligate, (per)sino che viveranno, a confessarsi c comunicarsi in d.a Chiesa. E, (per) esecutione e puntuale adempimento del sud.o Legato possano e debbano agitare e fare le debite istanze i sud.i ArciPreti e dui più anziani Sacerdoti, et in defetto loro anco l’istessa Università di Mesagne, dandoli a questo fine tutte le facoltà necessarie et opportune”.
Questo parte del testamento è riportato in varie pubblicazioni, ma, senza citarle tutte, è interessante quella dell’Arciprete D. Antonio Moranza del 16 giugno 1744 dove si parla in dettaglio delle operazioni di assegnazione del suddetto maritaggio. (omissis) “… Saputosi del miracolo maggiormente crebbe il fervore ed il concorso de popoli, e l’impetrazione delle grazie, il registro delle quali si dice che lo portò l’eminentissimo Cardinal Albricci de principi di Mesagne, il quale lasciò un legato pio a questa chiesa d’annui docati quaranta per due doti e maritaggi a due onorate zitelle nel giorno in cui si celebra la festa solenne ch’è nella domenica in Albis. e tale elezione restò che si dovesse fare dall’arciprete prò tempore e di dui altri sacerdoti li più anziani del capitolo che oggi sono il reverendo d. Francesco Paolo canonico decano Rini e d. Francesco Scelba, con l’obligazione di dette zitelle che si comunicassero così in detto giorno, come nella Santissima Annunziata ed Assunzione della Vergine.
Tale elezione di zitelle presentemente con li predominati anziani faccio in questa maniera. Tra il corso della Quaresima e settimana di Pasqua vengono avanti di me accompagnate con li loro parenti le zitelle, le quali desiderano detti maritaggi, delle quali io noto nome, cognome ed età. e persuado le medesime che vadano agli altri deputali anziani, li quali fanno il medesimo notamento. Nel venerdì poi di Pasqua facciamo insieme lo scrutinio di quelle che possono entrare in tale elezione, escludendo quelle di minore età o che abbiano qualche possedimento di roba, o che abbiano ottenuti maritaggi d’altri luoghi pij, così che restano incluse le più onorate e più povere e che abbiano maggior bisogno delle altre. Di queste zitelle incluse nel sabato nelle prime vesperi se ne fanno cautele col loro nome. Si pongono in un’urna ed in un’altra urna altre tante cautele bianche a riserba di due, nelle quali si scrive il titolo della Vergine di Mater Domini, e terminate le vesperi in presenza di tutto il clero ed il popolo che vi concorre vicino l’altare della Vergine Santissima, s’intuona da me il Veni Creator Spiritus, e detto il versetto e l’orazione, si chiama un figliolo, e dopo svoltale più volte nell’urne le cartoline si fa prendere dal figliolo una cartolina delle zitelle, ed un’altra cartolina delle bianche, tra quali vi sono scritti li nomi di Mater Domini; uscendo il nome della zitella ed una cartolina bianca, non è per essa il maritaggio, uscendo poi il nome della zitella e dall’altra urna la cartolina col nome di Mater Domini, di questa è il maritaggio. Onde è accaduto molte fiate che hanno uscito otto e diece zitelle e sempre in confronto delle cartoline bianche. Facciamo adunque l’elezione delle zitelle in questa forma per sfuggire l’impegno e l’umano”
Parliamo ancora della FESTA DELLA MADONNA Di MATER DOMINI riportando la descrizione del Dott. Luigi Scoditti nella sua pubblicazione «RICORDI DI UN PAESE DEL SALENTO INTORNO AL 1606»
“Dopo quella della Madonna di Luglio, la più importante delle feste religioso-civili del paese di Giulio, a base naturalmente di luminarie (cioè «ville» come dicevano i suoi compaesani), di musica in piazza e di fuochi d’artificio, era quella della Madonna di Mater Domini, che veniva celebrata in aprile. Questa festa, aveva luogo in quella lunga e larga strada che, dalla Via del Borgo, portava alla Chiesa di Mater Domini che, con la sua alta e snella cupola, rivestita di mattonelle variopinte, la dominava in tutta la sua lunghezza. Questa strada, per quasi una metà, partendo dalla via del Borgo, era una strada urbana; per l’altra, invece, tra urbana e campestre, essendo in parte fiancheggiata da campagna.
Tra gli altri giardini che davano su di essa, vi era quello detto di Falci, recinto da alto e vecchio muro e con un grande, antico e stemmato portone d’ingresso e coltivato. in gran parte ad aranci selvatici. Nel passato, nel mese di aprile, quando si celebrava la festa di Mater Domini, in quel paese, mancava del tutto la frutta fresca, perché non se ne localmente, nè ne veniva importata da fuori, come avviene adesso. Non si producevano nemmeno gelati e gelatini di tipo economico e di uso popolare, come si producono oggi; ed il popolo era di pochissime esigenze.
Ed allora, il giorno della festa di Mater Domini e, specialmente, il pomeriggio, il popolo, quando si recava sul luogo della festa, si riversava in gran numero allo adiacente giardino di Falci, per consumare le amare ma aromatiche arance selvatiche, che il giardino produceva a quintali. E molte se le portava via, per consumarle a casa
o portarle in dono a familiari, a parenti, ad amici. E si vedevano in conseguenza uomini, donne, ragazzi del popolo in giro per la festa, per le adiacenze, per tutto il paese con in mano le dorate ed aromatiche arance, attaccate a grappoli, a pezzi di ramo.
Oggi, questa simpatica usanza che era come la sagra delle arance, non esiste più; e non esiste più nemmeno l’antico giardino di Falci con il suo antico e stemmato gran portone di ingresso e con le sue arance amare. La famiglia Falci si spense, nel tardo Settecento, con donna Ilaria”.
La festa civile con lo sfarzo delle luminarie per tutta via Maja Materdona, Via Gen. Falcone e Piazza Garibaldi dove veniva allestita la cassa armonica fu interrotta alla fine degli anni sessanta quando si fece la scelta della sola celebrazione religiosa con pochi segni esterni.
Le celebrazioni religiose, che culminano nel triduo ed il giorno della festa, sono precedute, da tempo immemorabile, dai “NOVE SABATI IN ONORE DELLA VERGINE SANTISSIMA MATER DOMINI” che si concludono in quello precedente alla domenica delle Palme.
Il giorno della vigilia, alle ore 12, si recita l’antica supplica.
O pietosissima Vergine, che in questo lembo di terra nostra ti assidesti Regina e Madre di misericordia, e che ai piedi di questo trono di grazia chiamasti a raccolta i figli tuoi, per accogliere benigna l’espressione del loro ossequio e il fervore della loro preghiera, riversando poi i tesori celesti della tua materna bontà degnati di accogliere oggi il nostro cantico di amore e di fede e ascolta la fervida supplica del nostro cuore.
Quale non deve essere la tua gloria e grandezza, o Maria, dal momento che Dio ti elesse per Madre sua? Egli racchiuse in tutte le perfezioni del creato, tutte le magnificenze della sua gloria, tutte le sublimità del Paradiso.
I nostri antichi Padri non seppero trovare titoli abbastanza degni per glorificare e renderti onore, amore e riconoscenza. E ti chiamarono Mediatrice, ti proclamarono Regina, ti invocarono Madre. Regina del cielo e della terra, perché sei Madre di Colui che è il Re dei Re, il Signore dell’universo, Regina di bontà e di misericordia. Salve, Regina…
Madre! Sì, innanzi tutto sei Madre! Mater Domini et Mater nostra! Madre di Dio e Madre nostra! Perché L’apostolo ci dice che siamo fratelli e coeredi di Cristo, e quindi anche figli tuoi! Madre nostra! Perché come tale ci fosti data per testamento dal tuo Gesù morente, nella persona di Giovanni che tutti ci rappresentava.. Donna, ecco i figli tuoi!..E d’allora in poi, noi ci rivolgemmo a te con filiale confidenza e ti invocammo con i titoli più dolci, con i nomi più soavi! Ed in ogni tempo fosti la Madre nostra pietosissima, sempre premurosa a tergere le nostre lacrime, a lenire i nostri affanni. Ed è perciò che con animo commosso, in questo giorno solenne leviamo a Te la nostra preghiera fidente, ti invochiamo Regina, Madre di misericordia. Clemente, o Pietosa, o Dolcissima Maria! Salve Regina.
L ‘universo intero canta le tue glorie, o Maria! Dio stesso ti saluta piena di grazia, benedetta fra tutte le donne. La santa Chiesa ti invoca Stella del mattino, Mistica rosa, Giglio delle convalli! I Profeti ti predicarono Beatissima, aurora sorgente, bella come la luna, sfolgorante come il sole, redimita di gloria immortale. Ed è giusto, o Vergine bella, perché tu sei la Madre nostra! Vi può essere in cielo e in terra una Madre più amabile e più cara? Il cuore materno è un balsamo che raddolcisce ogni nostro dolore! E’ un rifugio nei dispiaceri e nelle tempeste della vita! E nei pericoli noi gridiamo il tuo Nome, per trovare scampo e salvezza. Qui genuflessi, ai piedi di questa immagine miracolosa, innanzi a cui si prostrarono i Padri nostri, ti invochiamo, come essi ti invocarono, Madre del Signore, Madre Divina, Gloria della nostra città, onore del popolo nostro. A Te noi leviamo i nostri sguardi e i nostri cuori, e, ti invochiamo, Madre e Regina, Avvocata e Speranza, Gioia e Vita nostra. Salve Regina…
Santissima Vergine Madre di Dio, da questa tua Sacra Immagine, rischiarasti le tenebre di una Povera contadina, guidandola al porto di eterna salvezza; splendi sulla vita nostra, perché le tempeste del nostro mondo non ci facciano miseramente perire. Pietosissima Madre del Signore, che con un miracolo di materna bontà, innalzasti in questo Sacro Tempio il tuo trono di Regina di tutte le misericordie, per essere il sollievo, il conforto e l’aiuto di tutti coloro che soffrono; noi ti supplichiamo di vegliare su tutte le umane sventure, perché tu sola sei il nostro rifugio e la nostra unica speranza. Madre pietosa, o dolcissima Vergine Maria. Salve Regina…
La “festa” termina ufficialmente il lunedì successivo con la Messa di ringraziamento. Le foto allegate, dell’archivio della Fam. Leopardi, sono dei primi anni cinquanta.