c
n vista dell’incontro che ci sarà Lunedi 29 ottobre, con inizio alle ore 18, presso il salone dell’Associazione Di Vittorio, in Via Castello 20 a Mesagne, riportiamo un articolo di presentazione del prof. Mimmo Tardio, relatore della serata.
SULL’OPERA DI TOTO’ E TRILUSSA
del prof. Mimmo Tardio
Totò e Trilussa, una accoppiata straordinaria per raccontare con la satira e l’ironia, l’istrionismo e la fustigazione dei costumi i vizi umani e in particolare quelli italici.
Non è affatto un caso che tutti e due provengano dagli universi culturali ed antropologici delle due capitali d’Italia per antonomasia: Napoli, microcosmo di straordinari movimenti filosofici, teatrali e musicali e capitale del Regno delle due Sicilie e Roma capitale dell’Italia post unitaria, della cultura latina, delle glorie dell’impero romano e della Chiesa.
Totò, che è parte-nopeo e parte… napoletano, è il portatore più autentico delle varie aspirazioni e dei tanti sogni plebei, oltre che del micragnoso mondo piccolo borghese del sud. Come pure dei cascami grotteschi di certa nobiltà decaduta meridionale, sulla quale si è prodotto in parodistiche e insuperabili interpretazioni che hanno lasciato il segno.
La poesia del Principe De Curtis parte dalla napoletanita’, ma celebra l’amore e la pietà per i poveri Cristo. Celebra ricorrendo ad una epicità minore, una sorta di grandezza proletaria. E lo fa, come anche nei suoi films, insistendo con le modalità macchiettistiche e ridanciane, sovente giocate col doppio senso, così care ai suoi sempre amati esordi nella rivista. E tutto ciò finisce per essere universale. Perché allude a tutti i diseredati del mondo, tutta la povera gente che a Bombay o Mogadiscio, come a Rio de Janeiro, sono comunque soccorsi e integrati dalla comunanza nei vicoli, nelle casbah e nelle favelas. Trovando spesso, grazie a questi legami di comunità in qualche senso, una minima filosofia di vita, cui legarsi per vivere e sopravvivere.
Ed anche il viaggio poetico di Trilussa, pur dentro la Città Santa e i mondi della tentacolare burocrazia e dei poteri temporali e religioso, finisce per rivelarsi come un ininterrotto e sviscerato amore per la sempiterna Urbe. Roma è allora per Carlo Alberto Sallustri, al secolo Trilussa, il prototipo di un mondo indolente talora, come pure fatalista, talvolta qualunquista e smagato. Al quale egli offre una penna graffiante, irridente e sorniona. Una grande città che pare abbia metabolizzato ogni tipo di rivolgimento intrapreso o subito. Una Roma, per come la racconta Trilussa, cui anche la sua poesia offre la forza d’una espressività popolare e teatrale che è pari, non a caso, solo a quella napoletana. E che si palesa con il ricorso alla garbata ma sovente strafottente irridenza, che denuda l’animo dei romani, fino a scoprirne la forza della sopportazione ad ogni tragedia. Infatti ancora si ricorda nella Caput Mundi quell’amarissima frase che qualcuno scrisse in grande su un acquedotto romano, alla fine dell’ultima guerra, “Annatevene tutti lassatece soli a chiagnere”.
Trilussa è il cantore di questa Roma, é il giusto erede del Belli e del Pascarella, anche quando usa la favola o l’apologo, i libelli moralistici e il racconto poetico, che si fa triste svelamento delle cattiverie e delle ipocrisie umane. Quindi due grandi poeti della risata e dello sberleffo liberatorio, che tende ad intaccare le tante doppiezze ed ipocrisie umane.
Toto’ e Trilussa sono accomunati anche dal piacere che entrambi elargiscono nell’alleggerire il cuore e anche la mente di chi li legge, vede o ascolta. Tutti e due hanno sempre offerto le più ghiotte occasioni di far riflettere ridendo, grazie anche alle liberatorie risate che loro opere regalano a piene manu. Perché ridere è anche pensare con più allegria e leggerezza, è narrare senza darsi troppe arie e sopratutto offrire una versione della realtà che anche quando appare capovolta è pur sempre figlia della vita e della storia cui allude.
Ecco perché Totò è Trilussa sono ancora tanto attuali: poiché insegnano oggi, ad esempio, che sarebbe bello, come abbiamo amato dire nel ’68 e dintorni, che ogni tanto ci concedessimo un urlo corale, da riservare agli urlatori, ai demagoghi e piazzisti della politica e ai razzisti all’amatriciana di casa nostra, il liberatorio grido “una risata vi seppellirà'”, prima o poi.
Statene certo “poffarbacco”, come direbbe Totò. Già sapendo, per dirla infine con Trilussa, che ogni tipo di “guerra è un raggiro de quattrino, che prepara le risorse per li ladri de le borse”.
Lo abbiamo capito tutti. Già, “‘cca nisciunu é flesso”.
Mimmo Tardio.