Riceviamo e pubblichiamo da Vincenzo Marino: La scorsa domenica, passeggiando per le vie del nostro centro cittadino, incontro il sig. Bianco (“Franco per me”), che piacevolmente mi introduce nei suoi pensieri; mi conduce verso gli alberi centenari della Villa Comunale di Mesagne e mi chiede di ascoltare il loro grido inascoltato, che simile ad un antico verso del Satyricon di Petronio, sembrava dire: Serva me, servabo te (proteggimi, e ti proteggerò).
Ho compreso pienamente l’urgenza di ciò, quando Franco, conducendomi vicino ad esso, mi ha pregato di osservare quello che probabilmente è l’ultimo albero di leccio centenario della Villa Comunale, oramai morente. Con parole di saggezza e non poca amarezza, mi ha fatto comprendere che: l’essere umano che dimentica gli alberi non preoccupandosene, trascurando uno dei suoi compiti importanti, rischia di fallire!!
Con parole appassionate, Franco mi ha ricordato… che gli alberi, sono tra gli abitanti più importanti di questo pianeta, certamente ancora più di noi. E’ grazie a loro che ci è resa possibile la vita (chissà ancora per quanto). Su questo substrato chiamato Terra, che gli alberi abitano da molto prima di noi, vi è una comunione e scambio di informazioni, che rappresenta una simbiosi a noi ancora sconosciuta.
Sicuramente i nostri nonni lo sapevano meglio di noi uomini “moderni”. Essi piantavano in città alberi secolari e di prima grandezza, sapendo quanto questi fossero importanti per la salute di tutti, e di come i benefici di questo fondamentale compito da essi svolto, ci sia stato tramandato “gratuitamente”. Troppo velocemente purtroppo, in questo mondo che va sempre di fretta, le cose stanno cambiando. Si pensa che questi “giganti benevoli” non siano più adatti a vivere con noi negli ambienti cittadini (per la nostra sicurezza dice qualcuno), e che al loro posto bisogna piantare piccole piante, come ad es. i melograni cinesi.
Troppo facilmente forse si dimentica, che una comunità che voglia difendere e conservare le sue radici e la sua identità, può mantenere il contatto con la sua storia e le proprie radici culturali, anche attraverso il suo patrimonio arboreo che a pieno titolo è parte dell’essere e della Storia di quella comunità.
Così caro direttore ho pensato di scrivervi affinché il grido del Sig. Bianco, che è solo l’eco del più importante grido degli alberi stessi, non resti inascoltato. Il leccio, come qualunque altra tipo di pianta, può essere colpita da parassiti e malattie. Una di queste è proprio la fillossera, una malattia facile da riconoscere. Foglie con macchie giallastre (come fossero bruciature) e lembo fogliare deformato sono i sintomi più comuni di questa malattia. Sono le punture degli afidi a danneggiare in questo modo il leccio, provocando la caduta delle foglie e, nei casi più gravi, la morte dei corrispondenti tessuti. Individuatane la causa, un’arma spesso vincente e soprattutto esente da rischi per la salute umana, consiste nel dare il via ad una battaglia biologica fra insetti. Gli acari sono in natura dei temibili nemici degli afidi (e di conseguenza della filossera). Quindi, perché non sfruttare i rapporti di antagonismo tra questi organismi viventi? Può sembrare strano dover ricorrere a dei parassiti per combattere altri parassiti, ma agire in questo modo è spesso utile, e soprattutto: agire in difesa di questi nostri indispensabili amici è necessario. La lotta biologica fra specie ci aiuta a tenere sotto controllo l’intero ecosistema ed a garantire un adeguato livello di biodiversità, riducendo parallelamente il rischio di danni per l’uomo.
Quando un nostro simile, un congiunto o comunque una persona cara si ammala ed è in difficoltà, non ci sogniamo minimamente di abbandonarla a sé stessa, semplicemente sostituendola con qualcun altro. Allora non facciamolo nemmeno con questi secolari amici. Chi può faccia qualcosa per il bene di tutti.
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