Home Politica Un Governo senza i 5S svela la sua vera identità – di Giancarlo Canuto

Un Governo senza i 5S svela la sua vera identità – di Giancarlo Canuto

da Cosimo Saracino
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Riceviamo e pubblichiamo: La “raccontano” come una crisi politica al buio, incomprensibile, irresponsabile, con enfatizzazioni tese a drammatizzare quanto più possibile gli scenari, con un profluvio di appelli anche da parte di chi tace da decenni. Eppure, sul piano delle maggioranze numeriche, essa è simile alle varie crisi della Prima Repubblica, quando un partitino satellite della Dc fuoriusciva, dopo lunghe liturgie, ma senza nessun sostanziale mutamento.

Perché allora oggi, pur avendo numeri parlamentari tranquillizzanti, questa crisi viene raccontata come decisiva per le sorti del Paese fino a mettere a rischio la “Sicurezza nazionale”? Perché nonostante “quei” numeri pare che l’Italia sia sull’orlo del baratro? Perché pur disprezzando ciò che rimane dei 5S o rientrano o meglio votare? Queste così palesi contraddizioni non paiono strane anche a voi, realisti sostenitori di Draghi e della stabilità?

La mia tesi, che proverò ad argomentare, è che la fuoriuscita dei 5S toglie la fittizia e sbiadita denominazione di “governo di emergenza nazionale” svelandone invece la sua vera e colorita identità: un governo conservatore, di restaurazione e di destra, che ha reso ancora più precarie le condizioni di vita di tanta gente.

Andiamo brevemente a ritroso.

Il secondo Governo Conte (quello MS5/PD/LEU) viene giudicato dai “poteri forti” troppo a sinistra per l’Italia e fu abbattuto, con la complicità del Capo dello Stato, pur avendo ancora una maggioranza in Parlamento, risicata ma esistente. Non ebbero alcuna remora a far cadere Conte pur col Paese in piena pandemia, con il Recovery Fund (ottenuto proprio grazie a quel Premier) tutto da gestire. Anzi queste ragioni furono capovolte per costruire un clima da emergenza nazionale, da cui era difficile sottrarsi, teorizzando e facendo nascere un Esecutivo del “tutti dentro” per gestire Covid e risorse europee guidato da un super partes. Fortunatamente, per gli ideatori del colpo di mano, a non rendere il tutto eccessivamente “antidemocratico” giunse pure la gradita collocazione all’opposizione della Meloni. E così il quadro fu perfetto.

Fin dalle prime ore il premier Draghi non fu né tecnico né superpartes. D’altronde la sua storia di “sommo sacerdote” dell’iperliberismo parla chiaro e solo chi ignora o finge di farlo può crederci. E così il rimasuglio di progressismo presente in Parlamento si trovò in trappola dentro il suo Governo. Ben oltre un anno a sostegno di un Esecutivo che, al di là degli sbandierati appelli all’unità per affrontare l’emergenza, era nato con una identità e una mission precisa: restaurare politiche di obbedienza cieca all’Europa; ristabilire una fiducia incondizionata nel “mercato” e nelle sua capacità di far riprendere il Paese; scongiurare ogni politica redistributiva e ostacolare gli interventi dello Stato a favore dei salariati o in cerca di lavoro; sostenere senza pudore le Imprese perché le uniche in grado di creare occupazione, a basso costo, restando competitive sul mercato internazionale; derubricare ogni politica a difesa dell’Ambiente e per una autentica transizione ecologica; e, infine, dopo lo scoppio della guerra, subordinare le proprie azioni in politica estera a quelle che sono le direttive stabilite da Usa e Nato.

Linee guida e provvedimenti che si collocano in continuità col passato dei governi liberisti (da Berlusconi a Monti passando per Prodi) ma soprattutto con lo scopo di “resettare” ciò che si era “intravisto col Conte II. In piena pandemia, infatti, quel Governo scelse (poteva non farlo come accaduto in altri Paesi occidentali) di ripristinare e valorizzare al massimo l’intervento dello Stato a tutela di tutti i cittadini. E in tanti finalmente si accorsero – letteralmente sulla propria pelle – delle conseguenze di decenni di tagli alla spesa sociale e sanitaria dei governi iperliberisti” che avevano portato il nostro Paese nel tunnel di una crisi profondissima. L’attuazione di un massiccio intervento statale a difesa dei più deboli e di chi aveva perso il lavoro, l’aumento vertiginoso della spesa sanitaria per coprire in tempi rapidi i saccheggi e gli smantellamenti dei decenni precedenti sono stati – per quanto possano essere considerati emergenziali, limitati e precari – una straordinaria inversione di tendenza che ha turbato fortemente i poteri che realmente contano in questo Paese.

Il Governo di “Emergenza”, pertanto, è diventato nei fatti della “Restaurazione” e del ritorno al passato, ridimensionando ogni piccolo elemento di rottura introdotto, visto che non poteva essere annullato l’inedito feeling tra un Capo di Governo ed il Paese. Nei palazzi tornano così i vari Gelmini, Brunetta e Giorgetti, la “casta” riprende ossigeno e si rimarcano le distanze con il Paese reale, si chiudono gli occhi sulle condizioni di vita di larga parte della popolazione e si ribadisce in ogni luogo che lo Stato non può essere la balia di nessuno, ognuno deve tornare a cavarsela da solo perché il Sistema trova per tutti uno sbocco se ci metti del tuo.

I provvedimenti governativi parlano “chiaro” quando si tratta di scegliere tra Imprese o Lavoratori, tra il Profitto o l’Ambiente, tra Privilegi o i Sostegni ai Poveri ed anche per i Diritti Civili il timidissimo Ius Scholae ha dovuto soccombere.

E se non bastassero le scelte politiche di chiaro stampo conservatore è arrivata pure la “perla” che ha scoperchiato le modeste virtù umane del super decantato Draghi che colleziona tre “peccati” che solo una Informazione asservita ha potuto ignorare, rivelando invece l’infondatezza di una figura esaltata oltre misura e che si è rivelata non solo pessimo leader di coalizione ma soprattutto dalle modestissime capacità umane. Per primo la penosa ambizione di abbandonare Palazzo Chigi per salire al Colle; poi il meschino inserimento nelle divisioni pentastellate per far fuori Conte; ed infine l’altezzosa reazione di questi giorni quando si dimette da Presidente del Consiglio pur con una netta maggioranza che lo sostiene non ammettendo nessuna obiezione politica nella sua azione.

Questa esaltazione ad arte delle doti – tra l’altro deludenti – di Draghi non sono senza conseguenze devastanti perché esse legittimano un premierato di fatto, non previsto dalla Costituzione, favoriscono il crescere della ostilità verso il Parlamento e la sfiducia nella Democrazia entrambe rappresentate come ostacoli alla libera azione chi governa il Paese, solleticando la arcinota predisposizione italica a privilegiare gli “uomini soli al comando”.

Quel che resta dei 5S ha finalmente sentito insopportabile tutto questo (e mentre scrivo non so se lo sentirà fino alla fine) e ha conseguentemente posto dei problemi politici alla maggioranza. Chi ha fatto politica o soltanto la segue conosce perfettamente (se non è un disonesto intellettualmente) che è normalissimo porre dei punti di contrasto all’interno delle coalizioni di governo. Sarebbe quindi bastato che alle questioni indicate dai 5S sia Draghi che gli altri gruppi, il Pd in testa, avessero risposto con le indispensabili verifiche di maggioranza. Invece, anche qui ad arte, si sono considerate “liturgie” inutili discutere tra posizioni diverse e per i pentastellati è stata scelta la strada della umiliazione, additandoli al pubblico ludibrio, dipingendoli come irresponsabili e magnificando il percorso inverso del loro ex leader Di Maio.

Questo incomprensibile furore si giustifica solo con la rabbia di chi si sente “scoperto” davanti al Paese: la destra che non ha vinto le ultime elezioni governa di fatto l’Italia tra gli applausi internazionali e i silenzi nazionali. Molto preoccupati se Conte e 5S facessero autenticamente l’opposizione ai provvedimenti di Draghi (non come quella finta della Meloni che condivide praticamente tutto), perché in tal caso le istanze di chi non ha voce e subisce l’imperversare della politica inginocchiata agli interessi economici finanziari troverebbero finalmente un riferimento nel Palazzo.

Senza trascurare che all’orizzonte, tranne impossibili colpi di mano, ci sono le elezioni ed il Paese sarà chiamato a esprimere il proprio indirizzo politico. Nessuno può escludere che il forte disagio che viene dal popolo non diventi una valanga che sommerga questa parvenza di democrazia fintamente impegnata a tutelare gli interessi della gente comune per fare in modo di lasciare inalterate le disuguaglianze anzi accrescendo i privilegi in chi li ha sempre detenuti. Come non si può escludere che queste politiche di “destra”, che privilegiano il Mercato e le Imprese a danno dello Stato e dei Lavoratori, siano premiate dal corpo elettorale. Sarebbe una sconfitta amara ma non cambierebbe di molto la sostanza di ciò che già accade anzi sarebbe una operazione “trasparenza” con un governo che non dovrebbe fingere di essere altro e per giunta legittimato dal voto popolare.

Io spero che quel che resta dei 5S e della sinistra (non accecata dall’odio verso questo Movimento) riescano invece a intercettare il disagio e trasformarlo in istanza di cambiamento, privilegiando il benessere delle persone più in difficoltà, salvaguardando l’Ambiente, lottando contro corruzione, criminalità ed evasione fiscale. Non è utopia, Paesi di peggiore tradizione democratica (vedi la Spagna) danno segnali di controtendenza. Se solo si volesse.

Mesagne, 19 luglio 2022

Giancarlo Canuto

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