Negli anni ‘50 e ‘60 era molto difficile parlare con i familiari o amici che vivevano lontani dal proprio paese.
Tutto si svolgeva nel proprio rione e solo in alcuni casi era necessario rapportarsi con altri.
Si viveva nelle famiglie numerose ed allargate con tutti i parenti (zii e nipoti).
Qualche volta però era necessario telefonare al figlio che si trovava a svolgere il servizio di leva, oppure a qualche parente emigrato in Germania, in Svizzera o trasferitosi al Nord Italia.
Ricordo che in quel periodo ovattato della mia infanzia, vi era un altro rito che avveniva.
A quel tempo, il portalettere era il confidente di ogni casa del quartiere, quello che sapeva tutto dei rapporti che intercorrevano tra i parenti, trattandosi di colui che molto spesso doveva leggere le lettere dei propri parenti alle mamme e alle nonne.
Molta gente allora non sapeva leggere, non aveva frequentato la scuola e quando riceveva una lettera, solo il portalettere (il postino) era l’uomo di fiducia a cui poter chiedere questo favore.
In via Roma, nel mio quartiere a Mesagne, ricordo che il postino anni ‘50 era Mestru Nino Cavallo e dopo qualche anno gli subentrò Erminio Colucci.
Per molte famiglie però era difficile telefonare, perché bisognava andare ad una postazione esterna della propria abitazione dato che in moltissime case non vi era ancora il telefono.
Negli anni ’60, il posto per telefonare era situato in via Roma vicino al Municipio e dopo la fine degli anni ‘80 da Nella Francioso alla edicola in Piazza IV Novembre.
Molto spesso per impostare il numero telefonico ci si rivolgeva al titolare del posto, perché non si era in grado di barcamenarsi con lo strumento del telefono, soprattutto per la gente più anziana.
Dopo un po’ di anni, agli inizi degli anni ‘70 e per tutto il decennio degli anni ‘80 abbiamo dialogato tra parenti ed amici tramite l’uso del gettone telefonico, oltre al fatto che in molte case era già arrivato l’apparecchio telefonico.
Il gettone telefonico e la cabina della Sip erano diventati molto comuni per le famiglie, specie nei momenti in cui si era fuori di casa. Telefonare era diventata un’attività più autonoma, ma non più semplice.
Le code a volte, nelle ore di punta alle cabine telefoniche, l’interruzione della telefonata mentre finivano i gettoni, la richiesta all’amico di altri gettoni, il parapiglia nel voler continuare a telefonare per non perdere il proprio turno e non avere lo strumento (il gettone) per continuare la conversazione.
Gli inizi degli anni ’90 rappresentarono invece la svolta dei telefonini.
Ricordo personalmente che nel 1994 comprai il primo telefonino. Pesava moltissimo, con una batteria assai grossa, che si scaricava rapidamente. Il telefonino era ingombrante, difficile da gestire, con un peso enorme da tenere in tasca.
Era il periodo dei primi telefoni Motorola.
Negli ultimi 10 – 15 anni poi è esploso Internet, con gli smartphone di ultima generazione e tutto è cambiato, rendendo più semplice e immediata la comunicazione.
Tuttavia, mentre un tempo la richiesta di aiuto ad altre persone o le altre forme di solidarietà si consolidavano nelle strade e nei rioni, oggi si guarda il mondo con gli occhi bassi e fissi su uno schermo, con dialoghi che avvengono molto spesso soltanto con amici virtuali, senza che si entri in contatto realmente con nessuno.
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