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Dopo il dossier Messe il focus è sul postguerra del Generale – di Giovanni Galeone

da Redazione
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È stato pubblicato a dicembre 2024 “Dossier Messe” a cura di Tranquillino Cavallo e Mario Vinci per l’Istituto Culturale Storia e Territorio di Mesagne, un denso volume (251 pagine) che ha raccolto in ordine cronologico il dibattito che si è sviluppato in questi anni sul generale Giovanni Messe,  a seguito di convegni, pubblicazioni, cerimonie, ricerche personali, etc. Completano il volume dieci appendici (137 pagine) sempre relative al Messe riportanti atti parlamentari, copertine di giornali e libri, foto di riviste militari, decorazioni, fondo di archivio personale, locandine dei convegni mesagnesi. Un lavoro di ricognizione ampio ed encomiabile, certamente utile per studiosi, appassionati, semplici lettori su una vicenda storica che vive periodicamente sussulti e fremiti perché negli anni la ricerca storiografica è continuata e nuovi elementi sono venuti fuori.

Intanto se si è definita, ed è bene prenderne atto, la vicenda della collocazione del busto, non sono certo terminate le schermaglie tra coloro che chiedono un riconoscimento pubblico in sede locale finendo spesso per piegare strumentalmente la storia pur di giustificare qualunque scelta del generale e coloro che attenendosi al rigore storico si oppongono a fughe in avanti di carattere celebrativo. Un dato è certo, sul finire degli anni ’90 fu un’Amministrazione comunale di sinistra, guidata dal sindaco Damiano Franco, a sottrarre la storia del generale dalla logica pregiudiziale in entrambi i sensi e portarla sul terreno dell’approfondimento storico-scientifico. Il lavoro che ne venne fuori fu autorevole e interessante e la carriera militare del Messe fu posta in adeguata rilevanza con l’auspicio che il lavoro di approfondimento fosse completato per l’attività postguerra.

Se un lavoro organico come quello precedente non fu possibile farlo, su quest’ultima fase di Messe sono però usciti negli ultimi anni almeno tre libri che hanno portato elementi interessanti di novità. Premesso che chi scrive non è uno storico, ma solo un lettore di storia attento anche ai metodi della ricerca storiografica, segnalerei il libro di più recente pubblicazione di Junio Valerio Tirone “Giovanni Messe – Un Maresciallo d’Italia nel parlamento della Repubblica” – Edizioni Efesto 2022, poi quello di Davide Conti “Gli uomini di Mussolini” – Edizioni Einaudi 2017 e infine il libro di Giovanni Fasanella e Mario Cereghino “Le menti del doppio Stato” – Edizioni Chiarelettere 2020.

Il libro di Tirone, assegnista di ricerca dell’Università di Trento, ha fatto riferimento all’archivio personale del generale versato all’archivio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito riportando anche un inedito, nonché alla documentazione militare e agli atti parlamentari. E’ noto che Messe ha avuto un’articolata carriera politica, nel 1948 quale Presidente della discussa AIL (Armata Italiana di Liberazione) si candidò nel Blocco nazionale, una coalizione di estrema destra che prese il 3,8% a livello nazionale e non fu eletto, nel 1953 si candidò poi con la Democrazia Cristiana al Senato a Brindisi e fu eletto, nel ’56 dopo aver costituito l’UCI (Unione Combattenti d’Italia)  lasciò la DC per entrare nel gruppo del PMP, il Partito Monarchico Popolare di Achille Lauro col quale aveva raggiunto un accordo, a destra c’era ancora un altro fronte costituito dal MSI (Movimento Sociale Italiano) e PNM (Partito Nazionale Monarchico) ma in divergenza, quest’ultimo infatti si staccò dal MSI e si unì al gruppo di Lauro e Messe, successivamente nel ’57 Messe raggiunse un accordo anche con l’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini.

Nel 1958 si candidò con il PMP che prese il 2,63%, non fu eletto ma subentrò nel ’61 quando Achille Lauro divenne sindaco di Napoli, dopo poco passò al PLI (Partito Liberale Italiano) con cui fu rieletto nel 1963 rimanendo alla Camera sino al 1968.  Di questa complessa attività politica Junio Tirone, che nel libro ha un sostanziale taglio giustificativo delle scelte del Messe, riporta molti dettagli e conferma l’asprezza degli scontri che egli ebbe su più fronti, non solo con il PCI, ma anche con il MSI, infatti Almirante in diversi articoli lo attaccò come traditore (come aveva fatto a suo tempo Mussolini) per essersi messo al servizio del nuovo governo del Sud come Capo di Stato Maggiore; anche la Voce Repubblicana (giornale del PRI) lo attaccò per il suo passato e deplorò anche la DC che lo aveva accolto tra le sue fila, ma lo criticò anche per la sua proposta di riforma costituzionale “che puzzava di fascismo”, e “per il fondo nazionalistico delle sue vedute, inconciliabili con l’inserimento pieno dell’Italia nella grande politica europea e mondiale.”

Degni di nota anche le aspre polemiche tra la sua Unione Combattenti d’Italia, movimento fondato nel ’55 con forte connotazione politica reazionaria e l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci (ANCR) che era un ente morale controllato dallo Stato su base apartitica (tuttora esistente) che accusò Messe di voler creare divisioni e scissioni interne alle altre associazioni combattentistiche esistenti, lo scontro riguardò anche  gli ex combattenti della Repubblica Sociale Italiana esclusi dall’ANCR e invece accolti nell’UCI che a sua volta non accettava comunisti al suo interno.

Risale anche a quegli anni la polemica tra Giovanni Messe e Pietro Badoglio riportata nel libro con un apposito capitolo a seguito del rinvenimento di una lettera inedita di Messe a Badoglio in risposta a una missiva di quest’ultimo del 29 giugno del ‘54 dai toni molto duri. La querelle era nata dopo l’intervento di Messe in Parlamento, che rispondendo alle accuse del PCI sull’impreparazione dell’Esercito all’atto di entrare in guerra e sul non aver saputo comunicare al paese e al governo fascista questo stato di impreparazione portando alla morte tanti giovani italiani, si tirò fuori da questa accusa in quanto egli era solo uno dei 92 Comandanti di Divisione mentre Capo di Stato Maggiore con compiti politico-militari era il Maresciallo Pietro Badoglio. Da qui la missiva di Badoglio che “non riconosceva in Messe l’autorità, la capacità e la competenza di esprimere un giudizio a suo riguardo” e la dura lettera di risposta di Messe che fu respinta al mittente da Badoglio e che il libro pubblica per la prima volta.

Passando all’altro libro di Davide Conti, in esso c’è proprio un capitolo dedicato a Messe, intitolato “La transizione riluttante di Giovanni Messe nell’Italia democratica”, Davide Conti è uno storico, consulente dell’Archivio Storico del Senato e di alcune Procure e autore di vari libri. In sede locale qualcuno lo ha demonizzato come storico di sinistra e quindi, a proposito di pregiudizi, ha contestato quanto riportato sebbene il lavoro sia frutto di una ricerca storica documentale. Tra l’altro il libro è stato recensito positivamente alla sua uscita da studiosi più che accreditati, da Mirella Serri, docente universitaria, collaboratrice di Rai Storia e Rai cultura, saggista e giornalista di Sette/Corriere della Sera, che nel numero del 24 febbraio ‘17 con dei riferimenti proprio alla vicenda di Messe, sottolineava che il generale, “incaricato di accertare le responsabilità di diversi alti gradi militari che si erano macchiati di crimini di guerra” (è noto che in Etiopia e in Libia ne abbiamo fatte di tutti i colori, si pensi ai lavori di Angelo Del Boca, uno dei maggiori studiosi del colonialismo italiano) “fece di tutto per insabbiare le responsabilità di questi militari e ci riuscì.” Ma c’è un’altra recensione interessante, pubblicata su l’Avvenire, il giornale della Cei, il 26 aprile del 2017, ad opera di uno storico molto autorevole, Franco Cardini, docente universitario in varie prestigiose università italiane, saggista, dichiaratamente e pubblicamente uomo di destra, che così scrive sul libro: “Il bello studio di Davide Conti fornisce ulteriore, abbondante materiale alla storia del nostro paese nel difficile periodo tra immediato anteguerra e immediato dopoguerra e invita a molte riflessioni: storiche e politiche certo, ma anche morali. Conti conosce e utilizza una letteratura storica e documentaria molto ampia per ricostruire con molta onestà scientifica – alcuni profili di alti ufficiali dell’esercito durante il secondo conflitto mondiale, che nell’esercizio delle loro funzioni, furono responsabili di atti in seguito ai quali furono accusati di crimini di guerra o contro l’umanità. Non è detto che queste accuse fossero tutte e sempre giustificate, né Conti lo afferma: egli si limita a sottolineare come nessuno degli accusati venne mai processato in Italia o effettivamente epurato, tutti furono reinseriti negli apparati dello Stato postfascista con ruoli di primo piano…. In un paese nel quale il trasformismo è cronico e anzi è ormai diventato un carattere originale era in effetti difficile capire chi avrebbe dovuto effettivamente essere epurato e chi aveva autentici titoli per poter sostenere il ruolo dell’epuratore”. Questa una parte dello scritto di Cardini.

Ma che cosa dice poi questo libro di Conti? Intanto viene evidenziato che in relazione al tema dell’epurazione, Messe come Capo di Stato Maggiore coprì colleghi militari gravemente compromessi col fascismo e sui quali pendevano accuse di crimini di guerra, le lettere di Messe al presidente del Consiglio Bonomi e ai ministri Sforza e De Gasperi a difesa di questi militari sono riportate nel libro “L’epurazione in Italia 1943-48” di Lamberto Mercuri.  Poi ci fu il suo ruolo nell’Ail (Armata Italiana di Liberazione) costituitasi tra aprile e maggio del ’46 che assieme al RAAM (Reparti Antitotalitari Antimarxisti Monarchici) operarono durante il referendum monarchia/repubblica. L’Ail raccolse partigiani monarchici, carabinieri, funzionari legati al vecchio regime, militari del Regio Esercito e fascisti reduci da Salò che formarono una corrente distinta. Nel maggio del ’46 l’Avanti, il giornale socialista denunciò il patto di sangue tra il militarismo e le destre in vista del referendum istituzionale come un elemento di pericolo per la tenuta del fragile equilibrio raggiunto in seno ai governi del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) e ravvisò in Messe la figura di riferimento. In un rapporto dell’Intelligence statunitense del 13/2/46 i RAAM vengono indicati come un’organizzazione filomonarchica operante all’Interno delle Forze Armate e attiva nella preparazione di un’insurrezione armata, al suo comando viene indicato il generale Messe (Tranfaglia – Come nasce la Repubblica). Dopo il referendum, l’Ail modificò il suo indirizzo in un organismo di pressione di stampo reazionario sugli equilibri politici nazionali mantenendo il suo carattere eversivo. Il 24/2/47 ai membri della sua UPA (Unione Patriottica Anticomunista) Messe fece un  memorabile discorso, cominciò il suo dire affermando che li aveva radunati solo ora, avendo preso contatti con tutti i principali movimenti anticomunisti d’Italia sia di natura politica che militare (i Far, Fasci di azione rivoluzionaria che ebbe come uno dei capi fondatori Pino Romualdi,  l’Eca, Esercito Clandestino Anticomunista, il Fua Fronte Unico Antibolscevico, poi gli ex appartenenti alla Decima Mas, alla Divisione Julia e alla Brigata Osoppo), continuò dicendo che sappiamo dove poter prendere le armi necessarie. Poi a proposito del gruppo del generale Muratori che aveva assunto una posizione sbagliata, cioè una dichiarazione esplicita di fascismo disse: “Anch’io, sono stato e sono fascista, ma ora non si può più parlare di fascismo e questo almeno per un ventennio per non avere contro gli angloamericani.” Ha poi parlato di un gruppo di fascisti a cui appartengono gli uomini della Guardia Nazionale Repubblicana (che fu istituita dalla Repubblica Sociale Italiana), gli uomini dei battaglioni M (Mussolini), un gruppo della milizia ed ex detenuti, ha detto che questo gruppo è in gambissima, è il più forte di tutti, il meglio organizzato e il più serio che esista.

Tra l’Ail e i partiti antifascisti ci fu un duro scontro politico sul tema dell’epurazione dall’esercito e del ricambio dei vertici militari. Davide Conti rileva che “Il combinato disposto dell’assorbimento del personale Ail e della progressiva epurazione rovesciata dei partigiani dalle forze dell’ordine costituì un terreno di scontro radicale tra gli ex generali del fascismo e le sinistre. L’Ail di Messe in sostanza si adoperò per divenire un canale di transito delle formazioni anticomuniste nelle strutture dello Stato così da realizzarsi una sovrapposizione della discriminante geopolitica dell’anticomunismo su quella storica e legittima dell’antifascismo.”

Nel ’55 Messe fondò l’UCI (Unione Combattenti d’Italia), nel ’56 assieme ad Achille Lauro si pose l’obiettivo di abrogare la legge Scelba contro la ricostituzione del Partito Fascista, perché questa legge per loro rappresentava una dannosa eredità della guerra civile, ma l’altro fondamentale proposito era la revisione costituzionale. Guglielmo Giannini riconobbe nelle attività di Messe il tentativo di avviare un processo di ricomposizione della destra militare, politica ed economica, e attraverso l’UCI si proponeva di aggregare un blocco sociale anticomunista più radicale della DC. In questo senso è nota la lettera di Indro Montanelli inviata all’ambasciatrice americana Claire Booth che indicava in Messe il generale cui affidare il comando, in caso di vittoria elettorale delle sinistre, di un’organizzazione segreta, in grado attraverso centomila bastonatori, di eseguire un colpo di stato che pur sacrificando la democrazia avrebbe salvato la nazione dal comunismo. In un intervento al 1° Congresso nazionale dell’UCI il 1° giugno del ’57, propose la trasformazione da movimento di reduci a movimento politico di destra con l’obiettivo della revisione di talune soluzioni costituzionali perché la Costituzione era stata approvata sotto la spinta affrettata di una confusa maggioranza politica.

E veniamo all’altro libro, Le menti del doppio Stato, di Giovanni Fasanella e Mario Cereghino, questi due studiosi archivisti di notevole rango, molto apprezzati per i loro rigorosi lavori, hanno fatto un importante lavoro di scavo sui retroscena della Storia d’Italia a partire dalla caduta del fascismo, negli anni che vanno dal ’45 al ’47. In quella fase delicatissima infatti la sostanziale assenza di sovranità politica e militare ha permesso ai servizi segreti angloamericani di interferire pesantemente nelle scelte di politica interna ed internazionale, quindi loro hanno fatto uno studio approfondito di documenti ufficiali desecretati dagli archivi nazionali statunitensi, il College Park che detiene le raccolte della Cia, quelli inglesi del Kew gardens che detiene molti documenti  della Germania nazista e dell’Italia fascista requisiti alla fine della seconda guerra mondiale, l’Archivio centrale dello Stato Italiano. Perché è importante questo volume? perché accanto alla storiografia ufficiale con questo lavoro di ricerca viene evidenziato un fuoriscena della politica italiana, una dimensione invisibile e coperta, ma reale, che aggiunge, approfondisce, e costituisce un complemento prezioso della ricerca storiografica.

Di seguito alcune pilloline dei documenti declassificati in cui non gli autori (che hanno reso pubblici i documenti su richiesta), ma i servizi inglesi, americani e italiani raccontano del Maresciallo d’Italia.  Alcuni documenti coincidono con quelli studiati da Conti, ad esempio il discorso di Messe all’UPA (Unione Patriottica Anticomunista), gli altri sono riportati di seguito.

(Milano, 3 ottobre 1945. L’X-2, il servizio di controspionaggio americano al comando del capitano James Angleton a Roma, invia un rapporto “Secret” a varie agenzie d’intelligence anglo-americane. “Il Movimento Tricolore”. È un Movimento Armato anticomunista. Vi si legge:

Giovanni Messe è il «capo nazionale» del Movimento (…) Si tratta di un movimento a «carattere cospirativo» (…) I tricoloristi mirano a posporre il più possibile le elezioni per l’Assemblea Costituente; a rimettere in carica tutti i funzionari fascisti epurati dalle commissioni; a foraggiare i movimenti insurrezionali di sinistra, per avere così il pretesto di adottare misure reazionarie contro gli stessi.» Fonte Nara (National Archives and Records Administration di Washington)

Roma, 25 novembre 1945. Rapporto “Secret” del Counter Intelligence Corps (Cic) intitolato “Organizzazioni monarchiche”. Vi si legge: Le organizzazioni sono guidate da pochi leader, tra cui «il Maresciallo Giovanni Messe», il quale «dirige tutte le organizzazioni monarchiche.” A loro dire, è vitale “rimettere le cose in ordine”. Tra questi violenti reazionari, si riscontra la presenza di Carabinieri e di giovani ufficiali dell’Esercito, elementi assolutamente convinti che la “Costituente” non prenderà vita. Ciò è da valutare alla luce delle informazioni trasmesse da una fonte attendibile, secondo le quali il generale Messe sta organizzando un colpo di Stato.

Il piano [del generale Messe] prevede:

– L’occupazione di tutte le caserme, con l’aiuto dei membri militari del movimento.

– L’occupazione degli edifici pubblici e delle sedi dei partiti politici.

– L’instaurazione di una dittatura militare apertamente favorevole alla monarchia.

– Il divieto di attività a tutti i partiti politici.»

Fonte: Tna The National Archives /Pro, Gran Bretagna, Wo 204/12659.—-

Roma, 21 giugno 1946 (dopo il referendum per la Repubblica). Rapporto dei servizi italiani intitolato “Voci di un complotto monarchico”. Vi si legge:

«Esiste in Roma un fortissimo movimento monarchico deciso a passare all’azione al momento opportuno con un colpo di Stato e rovesciare la Repubblica, diretto da generali, ufficiali superiori, esponenti di partiti e grossi industriali. Sarebbero al corrente di tale movimento il generale Badoglio, il generale [Giovanni] Messe».—

Roma, 6 ottobre 1946. Nota dei servizi italiani. Vi si legge:  «Si sono costituiti clandestinamente i gruppi [Giovanni] Messe], Guzzoni, Sorice per eventuali movimenti [golpisti].»

Fonte: Archivio Centrale dello Stato (Acs), fondo Servizio Informazioni e Sicurezza (Sis), busta 41, fascicolo “Formazioni clandestine armate” —-

Roma, 8 agosto 1947. Nota dei servizi italiani sulle manovre occulte di De Gaulle in Italia:

«Le autorità sovietiche hanno comunicato ai dirigenti del Pci che gli anglo-americani, servendosi del generale Giovanni Messe, tenterebbero di costituire un movimento analogo a quello di De Gaulle esistente in Francia, aggiungendo che a tal fine il movimento degaullista avrebbe già inviato in Italia oltre 100 ex ufficiali dell’esercito francese, forniti di larghi mezzi finanziari e col compito di organizzare nuclei armati tra ex fascisti non compromessi col passato regime, per fiancheggiare un’azione di centro-destra.»

Fonte: Archivio Centrale dello Stato (Acs), fondo Servizio Informazioni e Sicurezza (Sis), busta 44, fascicolo LP39/Movimento anticomunista. —

Londra, 13 agosto 1947. La divisione Western Department (Europa Occidentale) del Foreign Office invia a Aubrey S. Halford – diplomatico inglese a Porta Pia e membro della “Sezione Politica del Comando Alleato, Roma” – un documento “Secret” intitolato “Italia. Movimenti di destra (n. 142)”. Vi si legge: A tale movimento [Unione Patriottica anticomunista] aderirebbero molti ex fascisti repubblichini [della ex Rsi], tra cui l’ex generale della milizia volontaria [Mvsn] Ludovico Muratori e anche il generale [Giovanni] Messe.

Questi [Messe], anzi, ne sarebbe attualmente il capo [dell’Upa], mentre il Navarra avrebbe avuto in un primo tempo l’incarico di capo di stato maggiore [dell’Upa], incarico dal quale sarebbe stato recentemente allontanato per incapacità o per scorrettezze amministrative. […]

Fonte: Archivio Centrale dello Stato (Acs), fondo Servizio Informazioni e Sicurezza (Sis), busta 46, fascicolo LP124/Formazione Navarra. —

Londra, 11 settembre 1947. Un memorandum “Confidential” del Foreign Office – titolo: “La fine del governo di coalizione” (Il titolo si riferisce alla fine del governo di unità nazionale fra De Gasperi, Togliatti e Nenni, uscito di scena pochi mesi prima, il 31 maggio 1947) – afferma quanto segue:

«[…] Vi sono in Italia diciotto piccole formazioni neofasciste. Tra queste, alcune sono armate e si addestrano militarmente.  Il leader più importante di questi gruppi (…) è il generale [Giovanni] Messe. Fonte: Tna/Pro, Gran Bretagna, Fo 371/67767. The National Archives di Kew gardens

Roma, 22 ottobre 1947. Nota dei servizi italiani intitolata “Comandi militari in collegamento con movimenti clandestini di destra”:

I comandi militari territoriali di Roma, Reggio Emilia e Napoli, e i comandi Cc di Padova e Milano, hanno stretti rapporti collaborativi col Fronte Anti Bolscevico e, contemporaneamente, con l’Upa [Unione Patriottica Anticomunista] del generale [Giovanni] Messe.

Fonte: Archivio Centrale dello Stato (Acs), fondo Servizio Informazioni e Sicurezza (Sis), busta 41, fascicolo “Formazioni clandestine armate”.

Sono tante notizie, troppe per avere dubbi, frutto di documenti ufficiali desecretati da archivi nazionali di notevole prestigio e convergono in un pesante coinvolgimento del Messe in attività eversive, estranee ai dettami della Costituzione antifascista. Si potrebbe dire a questo punto, ma Messe era un anticomunista e il suo attivismo trovava giustificazione nel rischio di un pericolo comunista, anche questa tesi però non può trovare nessun fondamento, né giustificazione per le attività anticostituzionali di cui il Messe è stato ripetutamente protagonista. “Il pericolo comunista” tra molte virgolette, cioè il rischio di una presa del potere violento da parte del Pci in realtà non c’è mai stato, in primo luogo perché questo non era l’obiettivo dei gruppi dirigenti del comunismo italiano che ben presto isolarono qualche corrente più estremista, in secondo luogo perché nel mondo bipolare, l’appartenenza dell’Italia al campo occidentale era un dato accettato anche dal blocco sovietico e viceversa per i paesi del Patto di Varsavia da parte della Nato. D’altro canto, la svolta di Salerno, l’amnistia di Togliatti, la partecipazione alla Costituente, la firma di Terracini sulla Costituzione, la moderazione di Togliatti dopo l’attentato che calmò i suoi ed evitò un bagno di sangue, la via nazionale al socialismo, sono tutti fatti che dimostrano che  il “pericolo comunista” non c’era e fu enfatizzato dall’oltranzismo atlantico, in parte per l’ossessione che caratterizzava la destra americana, e in parte perché alcuni nostri alleati e competitori (nel Mediterraneo) avevano tutto l’interesse a mantenere subalterno il profilo geopolitico dell’Italia anche con azioni violente: per dirla in sintesi il “pericolo” comunista è stato enfatizzato per lucrare rendite politiche interne e rendite geopolitiche internazionali.

In conclusione penso che il rigore storico rimanga l’orizzonte da privilegiare rispetto a forzate  pulsioni celebrative.

Giovanni Galeone

 

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