Home Attualità Le elezioni, la sinistra, Mesagne e altre facezie – di Giuseppe Florio

Le elezioni, la sinistra, Mesagne e altre facezie – di Giuseppe Florio

da Cosimo Saracino
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Boom del Movimento 5 stelle, centrodestra al primo posto, sinistra ridotta ai minimi storici: ma davvero qualcuno prefigurava un esito elettorale diverso? E poi: c’è scandalo in un voto di matrice protestataria quando la protesta è sacrosanta? C’è da rammaricarsi che un terzo dell’elettorato nazionale (per intenderci: del peso della DC dei tempi migliori) chiedendo ed anzi pretendendo volti nuovi, linguaggi nuovi, politiche nuove dopo anni di governi del Presidente, di elezioni rimandate, di leggi Fornero, di Jobs Act, di ammiccamenti alle lobbies e infine di crescente disperazione abbia trovato uno sbocco costituzionale e non uno sfogo nelle piazze alla greca? Ma davvero è il caso di preoccuparsi se il popolo bue non ha colto la necessità di mandare in Parlamento una classe dirigente formata alle Frattocchie, possibilmente laureata, con qualche quinquennio di militanza da segretario di una cellula comunista?
Io ho respirato in questi anni una fastidiosa aria di presunzione e di conseguente autosufficienza, soprattutto a sinistra, e non soltanto a livello nazionale. Da parte di figliocci politici di una generazione gloriosa ormai morta e sepolta e di vecchie figure esanimi rinvivite dalla vanagloria. Sempre sullo stile del Marchese del Grillo: «Io so’ io e voi nun siete un c…». Gente spesso culturalmente mediocre, politicamente insulsa ed anche eticamente inaffidabile che, per il sol fatto di avere un marchio di denominazione di origine controllata, ha rivendicato una sorta di superiorità culturale, politica, etica. Ma a me è parso che l’elettorato via via se ne infischiasse, negli anni, anche perché di fronte non aveva nessuno che somigliasse a Gramsci, a Togliatti, a Berlinguer. Magari minuti stalinisti di ritorno, ma nient’altro.
Così in queste ultime elezioni. Parlo sempre del campo progressista perché mi è caro, anche perché se appartenessi alla parte avversa sarei realmente angustiato: dopo anni di conservatorismo a presunta trazione liberale (fin troppo debole, più da maquillage), oggi la destra si scopre a guida leghista e cioè razzista, greve, cialtrona, potenzialmente eversiva, perlomeno considerati i lunghi anni di sparate salviniane. La sinistra, allora: si è dapprima frammentata, come da tradizione secolare: una specie di borioso partito degasperiano (ma in senso paradossalmente basso, «di centro che guarda a sinistra», assai disinteressato al proprio tradizionale elettorato), un’accolita di rancorosi vecchi e nuovi con un’ambizione sproporzionata rispetto alle reali forze di cui disponevano, una microridotta anacronistica a più di cento anni dalla rivoluzione d’ottobre. In ciascuna di queste forze tanto diverse tra loro mi è sembrato però che albergasse, oltre a cospicue manciate di incoerenza, la medesima arroganza, fatte le debite proporzioni: cioè quella di sapersi attraenti a prescindere. Mentre intanto il cosiddetto popolo nei fatti guardava da tempo altrove. Noi (cittadini) ce ne siamo accorti, come mai Renzi, D’Alema e le proprie compagnie cantanti no? E’ così largo il loro distacco dalla vita reale, quotidiana, faticosa? Forse è proprio su questo nodo che si dovrà riflettere, anche se non riesco ancora ad immaginare chi potrà farlo.
Poi c’è Mesagne. Che, ovviamente, non è sulla luna ma è ben incastonata nell’ondata grillina. Anche perché, altrimenti, non si spiegherebbe l’impressionante dato (un 50% che è da Guinness) conquistato dal neo deputato Giovanni Luca Aresta. Mi vuol bene e quindi mi perdonerà alcune illazioni, che pure gli suoneranno maliziose. Io non credo che Gianluca sia mai stato grillino e cioè un 5 stelle del vecchio corso: dubito perfino che abbia mai imprecato, sbattendo l’alluce contro il canonico spigolo, nel chiuso delle sue mura domestiche. Ma, secondo me, lui non è neppure un 5 stelle del nuovo corso, per intenderci di quello in grisaglia ben rappresentato da Di Maio: anche quando Aresta lo chiama «il mio Capo Politico» (con quelle insopportabili maiuscole), l’impressione che ho coltivato è che questo tipo di adesione sia più posticcia che reale. Senza alcun intento offensivo, intendo dire che il nuovo onorevole mesagnese mi sembra quanto di più antropologicamente distante dal modello di «portavoce dei cittadini» che ho fin qui introiettato. Se dovessi collocarlo secondo categorie che soprattutto oggi appaiono vetuste, lo definirei un democristiano senza grinze, nella forma e nella sostanza, immaginandolo inamidato in giacca da camera anche nei momenti in cui io giro per casa sbracato: fierissimo cattolico, orgoglioso della professione fino ad esserne impettito, assai formale nelle relazioni sociali, mai un tono sopra le righe neppure sui social che pure inviterebbero Giobbe alla sguaiatezza. Per queste considerazioni che ho volutamente tenute succinte, mi fa strano quando da dietro la montatura in stile Le Corbusier pronuncia asprezze contro «il regime piddino-berlusconiano» o pur garbatamente inveisce contro le dissennate politiche degli ultimi governi: quei contenuti proprio non gli si addicono.
Ma «qui trattasi» (così chioserebbe il Nostro) evidentemente di un mio pregiudizio che, come tale, è pronto ad essere ribaltato da un postgiudizio. Per il territorio ma anche per lui stesso mi auguro che faccia bene, nel senso della migliore rappresentanza delle numerose istanze di bisogno di intere fasce sociali e non dei plausibili diktat della “Casaleggio e associati”. Sinceramente e con amicizia, in bocca al lupo.
Quel 50% di consensi non è tuttavia evidentemente reale, nel senso che in questa tornata è mancata una figura di peso come quella dell’uscente Toni Matarrelli, ma anche perché il rassemblement che politicamente regge l’amministrazione Molfetta è andato in ordine sparso, probabilmente più disimpegnandosi che impegnandosi. Se, complice la non candidatura di Matarrelli, questo atteggiamento può essere considerato tollerabile, non lo sarà più se sarà protratto nel tempo: perché alla lunga il mancato ingaggio diventa diserzione.
Io ho più volte, negli amichevoli conversari, sollecitato il sindaco Molfetta a dismettere almeno parzialmente il ruolo di Atlante della cosa pubblica, onerosissimo sul piano energetico e piuttosto improduttivo su quello delle prospettive politiche, intravedendo la possibilità che lui si rendesse invece traghettatore da questa maggioranza geneticamente innaturale verso non una nuova maggioranza politica dai contorni altrimenti definiti, ma in direzione di una visione durevole e strutturata della cosa pubblica. Fuori dai denti: per rifondare il centrosinistra, possibilmente allevando una classe dirigente diversa, più giovane e preparata. Progetto con tutta evidenza irrealizzabile senza fare i conti con il locale Partito Democratico.
Forse le macerie di cui è disseminato lo schieramento progressista ad ogni latitudine, anche – pur non visibilmente – a Mesagne, potranno costringere il primo cittadino e gli uomini di buona volontà delle diverse parti in causa a darsi una mossa. Anche perché i prossimi terremoti, prima di arrivare, non si faranno annunciare.

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