Home Cultura Nelle poesie scolastiche dagli anni ’50 ai ‘60 il riflesso di un paese in trasformazione. Venerdì di versi alla Di Vittorio

Nelle poesie scolastiche dagli anni ’50 ai ‘60 il riflesso di un paese in trasformazione. Venerdì di versi alla Di Vittorio

da Cosimo Saracino
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Che dice la pioggerellina di marzo, che picchia argentina sui tegoli vecchi del tetto, sui bruscoli secchi…. versi forse rimasti nella memoria di chi negli anni ’50-60 frequentava la scuola italiana.

La filastrocca di Silvio Angiolo Novaro ha dato il titolo a una raccolta di liriche curata da Piero Manni dell’omonima casa editrice leccese sulle poesie riportate nelle antologie scolastiche degli anni ’50 che ha avuto un sorprendente successo di vendite.  A questa raccolta del 2016 ha fatto seguito un anno dopo, il volume sulle poesie degli anni ’60 intitolato Cloffete, cloppete, clocchete” dai versi della poesia “La fontana malata” di Aldo Palazzeschi.

Un’operazione di nostalgico amarcord? Forse, ma non solo, a ben vedere anche uno strumento di indagine storico-culturale su come sono state declinate agli alunni di allora le nozioni letterarie del tempo e quale è stata l’evoluzione stilistica e di contenuti che è seguita man mano che il paese si risollevava dando vita al suo boom economico.

Se ne parlerà venerdì 1 Marzo alle ore 18,00 presso la sede dell’Associazione Di Vittorio di Mesagne, alla presenza del curatore, con la lettura di diverse poesie riportate nei 2 testi ad opera degli attori Giampiera Di Monte e Mario Cutrì e con intervalli musicali del chitarrista Andrea Marzio.

Dal primo volume emerge come la letteratura destinata ai giovanissimi nel primo dopoguerra non era poi così diversa da quella impartita negli anni del fascismo, i valori che venivano esaltati erano quelli che avevano portato consenso nel ventennio: religione, patria, famiglia, natura, conformismo, nei fatti una retorica buonista delle piccole cose e della vita semplice in un Italia fortemente cattolica e timorata, ne veniva fuori la descrizione di un’Italia dedita al sacrificio e al lavoro, chiusa negli affetti familiari e nell’esaltazione del passato. Ovviamente assenti in quei libri i poeti meridionali, rappresentanti di una parte d’Italia che non aveva voce in capitolo.

La prefazione al volume del critico letterario Piero Dorfles attira l’attenzione sulla lingua aulica e artificiosa di quelle poesie che nessuno parlava più, versi però di indubbia musicalità e più facili da imparare a memoria, ne risultava per Dorfles “una fondamentale ginnastica intellettuale”. E via così alle liriche dei cosiddetti poeti dei banchi, Renzo Pezzani, Ada Negri, Zietta Liù, Lina Schwarz che scrivevano proprio per i libri di testo, assieme ai classici Pascoli, Carducci, Leopardi, ai patrioti Mercatini, Cavallotti etc.

E proprio sulla memorizzazione si è aperta una dialettica tra diverse visioni. Mandare a mente una poesia può essere faticoso e talora essere vissuto come una tortura, ma può anche essere gioco, emozioni a portata di memoria, bagaglio di conoscenze e di rievocazioni per la vita, una colonna sonora interiore piena di reminiscenze, immagini, accostamenti.

Memorizzare i versi è un’operazione culturale che interiorizza le parole e il ritmo, ma favorisce anche una meditazione che può accompagnarci a lungo. Sapere a memoria delle poesie dice il poeta Fabio Pusterla è un tassello della bellezza che uno si porta appresso, nei ripostigli della mente talvolta riaffiorano in maniera quasi involontaria.

Nel secondo volume si evidenziano invece significativi cambiamenti di stile e contenuto. Negli anni ’60 si evince che la letteratura apriva le sue porte alla modernità, un mondo andava scomparendo e un altro ne veniva avanti, dalle campagne si passava alle città, una parte del paese emigrava verso le fabbriche metalmeccaniche del nord e il confronto tra le due antologie riflette il diverso contesto dei rispettivi decenni, dal dopoguerra alla ricostruzione, dal boom economico al Sessantotto

Nella seconda antologia sorprende la presenza di autori stranieri (Lee Masters, Neruda,  Brecht etc) che in pochi però ricordano, fa capolino la poesia dialettale (Di Giacomo), si affacciano i testi delle canzoni di musica leggera (Gaber, De Andrè), entrano prepotentemente temi nuovi, la memoria della Resistenza (Calvino), le ingiustizie sociali (Pavese), l’impegno contro il razzismo e la guerra (Hughes e Lumumba), il male di vivere (Montale, Leopardi, Baudeleire e Rimbaud). Spuntano timidamente anche le voci del sud con i poeti Rocco Scotellaro, Alfonso Gatto, e il Nobel Salvatore Quasimodo.

Spunta anche la voglia di sdrammatizzare e ironizzare su certo poetare retorico e di grondante compostezza: ridendo e scherzando le poesie di Gianni Rodari hanno restituito un senso critico e ironico di grande spessore, insegnando che la parola contiene un mistero da cercare.

In quegli anni si realizza anche la riforma della scuola media e si creano le basi del’68, nello squarcio che la realtà apre recando con sé la contemporaneità, penetra una poesia meno stereotipata e più problematica, che interpreta i dubbi e le contraddizioni della modernità.  E nel singhiozzo dell’acqua che proviene dal cannello della fontana malata di Palazzeschi che “cloppeta e cloccheta” si rispecchia il travaglio dell’uomo contemporaneo.

Nelle poesie di questa doppia raccolta c’è una storia che riguarda tutti noi.

Giovanni Galeone

 

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